Tesekkürler

Tesekkürler

I viaggi a volte iniziano contro ogni volere. Spesso sono gli obblighi a dettare le rotte primo tra tutti, forse, il lavoro. E’ il lavoro che mi ha traghettato fino a qui, il profondo sud della Turchia, quasi come a ribadire che sono e resterò per sempre un meridionale del mondo! L’inizio di questo 2013 ha deciso che io dovessi approdare in terra turca e restarci per oltre 4 mesi. La Turchia sconosciuta ad un salto dalla Siria. Una Turchia vera e cruda dove non c’è turismo ed il tempo sembra si sia fermato al nostro immediato dopoguerra. Il viaggio per raggiungere Dortyol credo resterà indimeticabile, come presumo lo sarà l’intera esperienza nel regno di Ataturk. L’Autista che mi attendeva all’aereoporto parlava solo turco ma, a gesti, mi concesse di fumare in macchina durante il viaggio. Sfrecciava a 180 km/h su un’autostrada deserta che, a tratti, si vede attraversare da pedoni e nello stereo metteva musica a palla da discoteca… molto più occidentale di quella che in seguito ho ascoltato in taksi, furgoncini ed automobili varie! In assetto da corsa avrà percorso i 100 km di distanza dall’aereoporto di Adana fino a Dortyol con i fari abbaglianti accesi fissi  fino a sotto l’Hotel, un 4 stelle lusso totalmente in contrasto con l’ambiente cicostante. Era sera tarda e non c’era anima per le strade. Giusto qualche “capanna” che vende strane bibite, sigarette e frutta secca… insomma… cose che in seguito ho scoperto essere generi di prima necessità nello stile locale. In albergo la cucina era già chiusa ma il buon Johnny, che ha chiuso con questo lavoro dopo questa esperienza (ma non per questa causa), mi ha accolto con la sua innata dolcezza ed abbiamo discusso di cosa stesse accadendo alle opposte sponde del Mediterraneo. Lui intercedette con la integerrimità nulla del personale dell’albergo ed ha lasciato che mi preparassero un piatto di pasta. E’ stata quella l’unica volta in cui ho mangiato pasta in Turchia! Alla mia richiesta di poter avere una birra per accompagnare la cena ebbe seguito una fragorosa risata di Johnny e di Yakup, il cameriere, e mi fu categoricamente chiarito fin da subito che, a tavola, in quell albergo, non avrei visto neppure i fumi di una sostanza alcolica!

Complice la stanchezza non ricordo di aver dato molte attenzioni all’albergo nè tanto meno alla stanza. Giunto in camera credo di essermi addormentato subito. Il risveglio però lo ricordo eccome! Verso le 5:30 del mattino dalle due moschee adiacenti all’albergo si sono innalzate le “voci divine” dei Muezzin che chiamavano i fedeli alla prima funzione religiosa della giornata e della settimana: è stato come essere stuprato in pieno sonno! Dopo la colazione un furgoncino sgangherato ci è venuto a prendere sotto l’albergo per portarci in fabbrica ed alla guida ho visto per la prima volta Ajhi (dubito si scriva realmente così), un ometto cicciotto e scuro che, come tutti qui, parlava solo ed esclusivamente turco. Giorni più tardi gli ho chiesto di poter andare a casa sua una domenica a pranzo ma lui ha inventato mille e più scuse per tenermi lontano. In fondo volevo solo assaporare ancora di più l’aria della normalità di questo posto. Su quel furgoncino ci sono salito 6 giorni a settimana per due volte al giorno per oltre 4 mesi: difficilmente dimenticherò ogni salto fatto per ogni buca incontrata per strada.

Il parco macchine che si incontrava era a dir poco raccapricciante: i trattori e le vecchie FIAT 131 segnavano gli estremi di un dominio di esistenza del disordinato ma esiguo traffico su gomma locale. Inoltre tanti furgoncini altrettanto sgangherati come quello su cui ero a bordo io abitavano per le strade, pieni di operai, studenti e pendolari in genere. Inoltre motociclette anni ’60 ricordavano scene della serie Starsky And Hutch, guidati da James Dean in stile turco, dalla pelle olivastra con giubotti di similpelle nera. La benzina qui costa più che in Italia mentre lo stipendio medio è la metà di quello percepito nello Stivale quindi possedere un motore endotermico legato ad oggetti rotondi che toccano l’asfalto e che per attrito volvente trasportano esseri viventi equivale ad essere benestanti! Tutto sommato però non c’era traffico. Ero appena venuto via dal mio piccolo paesino di 30.000 abitanti dove per percorrere un km in macchina puoi impiegare anche mezz’ora ed ero arrivato qui dove, nelle ore di punta, puoi viaggiare a 60 km/h in pieno centro.

L’arrivo in fabbrica mi ha per un istante riportato alla normalità! Mentre tutto intorno a me aveva il gusto ed il sapore di qualcosa di sconosciuto, dalla lingua alle tonalità della pelle, ai suoni ed al traffico pressochè inesistente, il vedere un ammasso di ferro inanimato che attendeva le mie cure per prendere forma e vita mi ha riportato con i piedi per terra e mi ha ridato un più che ragionevole alibi per odiare quel posto che invece, fino a qualche metro prima mi affascinava e mi intrigava.

Lì ho conosciuto Kadir, il capo degli elettricisti affidatomi per i cablaggi della macchina, che è stato senza dubbio il mio vero traghettatore in questa avventura turca, se non altro la prima persona che, pur non sapendo una parola di inglese, ha comunicato con me insegnandomi gran parte delle parole turche che ho imparato in questi 4 mesi. Kadir era lì in sostituzione di Davut che, qualche giorno prima, aveva fattto un incidente con la sua moto schiantandosi contro un treno! Sì… in Turchia può succedere anche questo! Detta così potrà sembrare una catasrofe ma se aveste visto le moto ed i treni capireste che ci sono dinamiche ben più pericolose di quella. Kadir mi ha iniziato al “cay”, il the turco. Ne bevono a litri… forse anche per combattere le cariche batteriche dell’acqua definita potabile ma che a volte è Cloro al 90%. Per onorare la tradizione l’ho bevuto solo due volte, la prima delle quali con due zollette di zucchero girate con un cacciaviti isolato a taglio per morsetti elettrici da 2.5 mmq: il non plus ultra dell’igiene! Non c’è da scandalizzarsi: chi fa il mio lavoro ne avrà viste di peggiori!

Ed in fabbrica man mano che i giorni son passati ho affinato il mio turco parlato, imparando a contare fino a 5 ma conoscendo alcuni altri numeri importanti, ho conosciuto i modi di dire locali e le parolaccie, quelle quasi tutte. Ho assimilato il modo di vivere di questa gente che vive di lavoro, lavora in fabbrica e parla dell’Islam e vive di esso, manifestando talvolta anche le sue contraddizioni. Ho conosciuto devoti e blasfemi ed ho assistito al rituale dell’uccisione di un bue come sacrificio affinchè la macchina che stavo partorendo potesse essere feconda e fertile. Di giorno in giorno i capelli corvini, le barbe ed il colore della pelle mi sono sembrati sempre più familiari, temendo quasi il giorno in cui avrei rivisto le carnagioni lattee della mia gente.

Il fascino più intenso, comunque, è sempre stato emanato dalle donne. Il capo coperto da preziosi foulards ed il loro fiero portamento sono state senza dubbio le dominanti delle migliaia di foto scattate e resteranno per sempre indelebili nei miei ricordi, le donne come figure venerate e rispettate ma nello stesso tempo “costrette” a regole ferree da seguire. Tale rigidità però spesso era distrutta da donne che del velo non ne facevano affatto uso e sedevano al tavolo con altre che invece fiere ed ossequiose ne indossavano di bellissimi. Insomma una scelta consapevole, uno stile di molte ma non di tutte e per nulla selettivo o fonte di discriminazione. Sebbene io abbia sempre visto la “copertura” del corpo della donna come una “costrizione” me ne sono ampiamente ricreduto. Credo che siano in buona parte scelte consapevoli, magari culturalmente imposte, ma che oggi in questa Turchia sono discrezionali da donna in donna! Il velo delle donne turche non è integrale come può esserlo quello delle donne arabe. Sono veli di tessuti quasi sempre preziosi, dall’aspetto un po’ lucido, abbelliti da spille con fiori o perle. Sotto di esso le donne usano indossare una specie di fascia che si intravede sulla fronte. Uno dei negozi più belli che ho visitato a Dortyol vende eslusivamente foulards… e l’esserci entrato per comprarne uno speciale da regalare mi ha creato non poco imbarazzo. Non per ultimo farsi consigliare da una donna appena entrata in negozio, il tutto esprimendosi a gesti, ha accentuato senza dubbio la sfumatura violacea del mio viso!

Per le strade del paese le bandiere con la mezza luna e la stella ornavano ogni angolo eccezion fatta per la piazza del quartiere kurdo dove io mi rifornivo di tabacco sfuso. In quella piazza si ritrovavano i kurdi, da sempre integrati e parte integrante della popolazione locale. A detta degli abitanti di Dortyol e dei kurdi stessi, da qualche decennio la politica ha fatto sì che questa integrazione andasse via via scemando ed oggi i kurdi non sono più molto ben visti o quanto meno la volontà di mantenere integre delle differenze culturali crea qualche spaccatura all’interno del tessuto sociale. Di che se ne dica entrare nella piazzetta kurda ha un fascino ed un sapore che consiglio a tutti! All’ingresso di quest’area si trovava il mio venditore di tabacco di fiducia. Aveva su un cartello scritto a mano su un cartone in cui pubblicizzava il tabacco a 30 lire al chilo… ma a me l’ha sempre fatto pagare a 50! Il surplus l’ho sempre piacevolmente elargito: le sue rughe. i suoi sorrisi e la sua dolce accoglienza ripagavano ampiamente “la furbata”. Andando oltre si trovavano i bar dove centinaia di persone, vecchi, bambini ed ultracentenari, giocavano a giochi mai visti prima. Una specie di domino giocato con tessere dorate, un gioco da tavolo con delle carte quasi francesi, una strana dama con pedine in legno e tanto tanto tanto cay. Era impossibile passare senza fermarsi a guardare come giocassero ed era altrettanto impossibile non essere notato ed essere invitato a sedersi a bere del cay. Qualche giovane parlava anche inglese e quindi si venivano a scoprire che quel vecchio aveva 105 anni, era kurdo come tutti gli altri d’altronde, ed era stato in Italia, oltre che in mezza europa, a vendere orologi. Intanto passavano bambini in mezzo alla folla con vassoi pieni di ciambelle di zucchero con l’intento di tirar su qualche lira. L’integrazione dei vecchi in questa comunità è sensazionale! C’è un rispetto ed un’osservanza per gli anziani che davvero lascia rabbrividire chi, come me, è abituato a case di riposo e ad altre manifestazioni di inciviltà culturali! Altre persone degne di assoluto rispetto sono i bambini a cui è dedicata una festa nazionale. Non so quanto sia buono questo atteggiamento ma in televisione l’atto del fumare è censurato con un effetto fluo per non rendere visibile ai bambini quel gesto in quanto ritenuto diseducativo. Per quanto paradossale per noi che siamo soliti dire “fumi come un turco” e per quanto antiproibizionista io possa essere, sebbene io non reputi affatto positiva la censura c’è da dire che, comunque, si è tenuta in considerazione la fascia di visione di alcuni programmi ed, in qualche modo, si è tentato di tutelare i bambini!

Così come credo che il the sia una gradevole soluzione al ristabilimento della regolarità intestinale, credo anche che la preghiera contribuisca al benessere fisico prima ancora che spirituale delle persone. La preghiera prevede infatti esercizi fisici di discreta complessità che anche gli anziani sono tenuti ad eseguire  volte al giorno, dall’alba fino a sera. Piccole sedute di ginnastica che rinvigoriscono il corpo e lo spirito, eccezionale per l’organizzazione della società!

L’alcol non è usuale a Dortyol ma lo si trova a caro prezzo in luoghi frequentati esclusivamente da uomini. Andare in questi localini di scarsa fattura significa evadere dalla realtà! Su una terrazza all’aperto, raggiungibile salendo delle scale strettissime, c’era il nostro “pub” dove era possibile bere birra fino a mezzanotte. Una sera, all’incirca verso l’1 di notte, con Yakup  siamo andati in questo locale. E’ vietato dalla legge servire alcolici dopo mezzanotte ma il proprietario ci ha lasciati accomodare all’interno e, al buio, ci ha servito le birre. Fare qualcosa di “vietato” ha sempre il suo fascino… sebbene tale circostanza risulti assurda per le nostre abitudini occidentali.

Quella sera con Yakup abbiamo discusso di donne e della loro figura nella società turca. Abbiamo parlato dei rapporti tra uomini e donne e di come si susseguono comunemente le dinamiche di conoscenza ed innamoramento in una realtà dove le persone di sesso opposto si possono conoscere solo ad eventi come compleanni, matrimoni o altre feste di carattere parentale. Yakup allora ci ha parlato di verginità e dell’importanza della reputazione, di quanto l’apparire sia più importante dell’essere e, per quanto bigotto, è stata sconcertate la semplicità Yakup ha descritto alla perfezione cosa significhi essere giovane a Dortyol e doversi muovere tra mentalità millenarie, improntate sulle tradizioni ataviche, e generazioni moderne con smarphones e connessi con il mondo intero (sebbene con la flebile e raggirabile censura governativa).

E per le strade di Dortyol, alle 2 di notte, ho respirato la puzza di agnello alla brace, sentito ridacchiare uomini che bevevano cay seduti su strani sgabellini alti poche decine di centimetri e visto greggi attraversare il paese. Di giorno ho ascoltato le voci della gente che andava a fare la spesa e sono stato inseguito da bambine che testavano il loro inglese chiedendomi da dove venivo. Sono entrato in una moschea ed ho assistito alla funzione religiosa sotto invito del Muezzin che mi ha concesso di salire al piano superiore, generalmente destinato alle donne, per scattare delle foto. Ho mangiato dolci senza pagarli perchè, in quel momento era mancata la corrente e la ragazza della pasticceria, imbarazzata, mi ha detto che erano un regalo di benvenuto come turista. Ho suonato la chitarra nel ristorante dell’albergo e cantato Bella Ciao accompagnato dal chitarrista, l’unico, del piano bar dell’hotel. Ho mangiato pollo in ogni salsa, forma e colore. In questo piccolo paesino della Turchia ho toccato con mano un po’ di quella che è la quotidianità di questa gente, osservato le loro difficoltà ed apprezzato la loro umiltà e gioia. Non ho vissuto un inverno in quanto il clima è stato quasi sempre mite, ho abbandonato gli affetti e sono venuto qui imprecando, ma devo tanto a questa Turchia sconosciuta, devo tanto alle persone che ho incontrato, devo tanto agli sguardi che ho incrociato per strada ed alle espressioni degli operai che ho conosciuto in fabbrica, devo tanto alla fabbrica ed agli autisti che ogni giorno mi hanno portato a lavoro ed in albergo, devo tanto ai camerieri dell’albergo ed a tutto lo staff, devo tanto ai miei colleghi che mi hanno sopportato ed aiutato, devo tanto alla vita per avermi concesso un’esperienza così forte in un angolo di mondo che mai avrei potuto scoprire. Herkese teşekkürler!

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