Si può avere la seta senza il baco e la pelle senza il vitello? In un numero dedicato agli animali, è doveroso chiederselo. Capire se sono, e per quanto ancora saranno, fondamentali per produrre la moda. Se come ingredienti di alcuni materiali e tessuti siano rimpiazzabili, se a livello di costi, qualità, sostenibilità esistano vie alternative riproducibili su larga scala.

Nel settore delle materie prime per abiti e accessori, ferve un dibattito che comincia a livello lessicale e si allarga alla sostanza, come racconteremo nelle prossime pagine. Un fermento che va oltre la classica, stantia dicotomia tra innovazione e tradizione, naturale e artificiale, spirito reazionario ed entusiasmo avanguardista. Al cigolio dei bottali si contrappone il ronzio sommesso di un bioreattore, a pinze più martelli si affiancano cannule dentro provette. Il futuro, forse, ha le forme squadrate della pelle cresciuta in laboratorio, in grado di archiviare il concetto del cruelty-free, perché nemmeno di riflesso esige di uccidere vitelli, rettili e affini: da sottoprodotto della macellazione che era, diventa animal-free.

Un fatto è certo: la domanda va espandendosi. Nonostante la pandemia, secondo un rapporto pubblicato pochi mesi fa dalla società di ricerca Mordor Intelligence, il mercato della sola pelle registrerà un tasso di crescita annuo di circa il 6 per cento da qui al 2025. Stando a una proiezione del sito Statista.com, tornerà ai livelli pre-pandemia già nel 2022.

La produzione dovrà adeguarsi mentre rischia di stravolgersi: ci sono mestieri e savoir-faire che potrebbero essere ridimensionati o accantonati, perché i materiali sintetici non hanno pelo, grasso e scarti, dunque richiedono un minore trattamento. Serviranno più chimici, meno artigiani. Più tecnici, meno operai. Il centro di gravità di un’intera industria può cambiare residenza, emigrare dall’Italia e dall’Europa verso la Silicon Valley o altri poli tecnologici globali. Si ragiona di smantellare il concetto della rarità, il suo corrispondente prezzo di mercato, perché anche l’introvabile sarà replicabile. La pelle, la cui storia inizia con la preistoria dell’umanità, non aveva mai intravisto una tale metamorfosi.

Da Vogue Italia, n. 844, gennaio 2021