Afghanistan, la street artist che disegna i diritti delle donne

Afghanistan, la street artist che disegna i diritti delle donne

«L’arte cambia la mente delle persone e le persone cambiano il mondo». Sta tutta in queste parole, scritte da lei, la rivoluzione di Shamsia Hassani, la prima street artist donna dell’Afghanistan. Viso definito dal chador tradizionale, mascherina sulla bocca e bomboletta alla mano, Shamsia Hassani, 32 anni, ha portato il suo sogno lungo le strade di Kabul. E l’ha realizzato.

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Così la donna protagonista di ogni suo graffito è comparsa sugli edifici segnati dalla guerra, mai terminata dal 2001, le macerie e infine sulle pareti di alcune stazioni di polizia. «Quando sono in strada a Kabul, con la scala e i miei colori, non sono mai al sicuro», ha raccontato Shamsia, che realizza le sue opere entro i quindici minuti circa per non dare troppo nell’occhio. «Quando le persone mi vedono fuori mentre faccio graffiti, dicono parolacce, imprecano e alcuni lo chiamano peccato. Le persone in Afghanistan non sono contro l’arte, ma contro le donne che vogliono fare arte». Se fosse un ragazzo, per Shamsia sarebbe tutto più semplice.

Per questo Shamsia ha scelto di dare voce alle donne afghane portandole fuori dalle mura casalinghe. E mostrandole con fierezza. «Voglio che la mia arte viva con le persone e diventi parte della loro vita quotidiana» ha raccontato l’artista al Guardian. «Voglio mostrare la mia arte a coloro che non hanno accesso a gallerie e mostre. Le mie opere sono più focalizzate su individui e questioni sociali, ma a volte diventano politiche».

C’è la musica come l’arte che rende liberi, il rispetto della persona, la condanna di ogni forma di violenza. «Poiché le donne hanno più restrizioni rispetto agli uomini nella nostra società, ho scelto come protagoniste delle mie opere le donne. Una donna con gli occhi chiusi e senza bocca, con uno strumento musicale deformato che le dà la capacità e la sicurezza di far suonare la sua voce con forza. I suoi occhi chiusi credono che non ci sia niente di buono da vedere, così desidera non guardare, nella paura che non ci sia niente di buono da vedere».

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