La vita della bellissima attrice Alida Valli raccontata nel documentario di Mimmo Verdesca, e con la voce di Giovanna Mezzogiorno
Non solo attrice indimenticabile, tra le più grandi di sempre nella storia del cinema italiano e mondiale. E non solo una stella diventata, in 70 anni di luminosa carriera, una Leggenda. Alida Valli è stata prima di tutto una grande donna. Piena di colori, di pulsioni, di slanci. La vita l’ha spesso messa alla prova, e lei, Alida, ha sofferto tanto. Ha amato tanto. Ha fatto scelte coraggiose. Sempre nel nome dell’Arte.
La sua anima, complessa, misteriosa, affascinante, spesso impenetrabile, è stata meravigliosamente sfogliata da Mimmo Verdesca in Alida, il primo documentario incentrato su questa grande artista nata quasi un secolo fa (31 maggio 1921) a Pola, in Croazia. La sua storia, la sua vita, vengono raccontate in prima persona dalla calda e malinconica voce di un’intensa Giovanna Mezzogiorno, interprete sensibile e altrettanto straordinaria nel leggere, tra le pagine e tra le righe, il suo stato d’animo. Le parole, inedite, sono della stessa Alida. Sono i suoi pensieri ad essere protagonisti: “Alida era una donna schiva e indipendente – ha raccontato il regista Mimmo Verdesca – che non amava raccontarsi in pubblico ma in privato lo faceva splendidamente. In questo c’è anche la sua libertà, si avvicinava solo a chi riteneva vicino alla sua indole. Amava il silenzio. Per lei la scrittura diventava un modo per confidare a sé stessa paure, emozioni, gioie e desideri”.
Le sue lettere private, i suoi diari, sono infatti al centro del film e sono accompagnate da altri materiali esclusivi come fotografie e filmati girati in famiglia. Documenti preziosi e importanti ai quali il regista ha avuto accesso grazie al nipote della Valli, Pierpaolo De Mejo (suo nonno Oscar, un grande compositore, fu sposato con l’attrice dal 1944 al 1952. Da quel matrimonio nacque suo padre, Carlo, attore scomparso nel 2015). Come un tesoro estratto da un baule, l’immenso archivio privato dell’attrice ha permesso a Verdesca di comporre un ritratto di donna molto profondo e ricco di sfumature.
La ragazza che diventa donna, l’attrice che entra nel mito. Ogni suo lato caratteriale nel documentario viene raccontato da coloro che l’hanno conosciuta, dentro e fuori dal set: figli, parenti, amici e fedeli collaboratori. Sono proprio le testimonianze, prestigiose, che arricchiscono ulteriormente il documentario: da Piero Tosi a Vanessa Redgrave, da Charlotte Rampling all’indimenticabile Bernardo Bertolucci, da Margarethe Von Trotta a Thierry Fremaux. E poi ancora (perché è giusto citarli tutti): Dario Argento, Roberto Benigni, Marco Tullio Giordana, Maurizio Ponzi, Antonio Calenda, Felice Laudadio, Carla Gravina, Mariu’ Pascoli, Lilia Silvi, Tatiana Farnese, Pierpaolo e Larry De Mejo.
Dai loro ricordi, come tessere di un puzzle, emerge il dipinto di una donna (nata baronessa, pensate che il suo vero nome completo è Alida Maria Altenburger von Marckenstein und Frauenberg) diventata uno dei simboli del cinema e del teatro del Novecento. Alida – che nel 1936 adottò come cognome d’arte Valli, scegliendolo a caso da un elenco telefonico – ha lavorato con alcuni dei maestri assoluti della settima arte: da Luchino Visconti a Michelangelo Antonioni, da Bernardo Bertolucci a Pier Paolo Pasolini, da Dario Argento a Roger Vadim, da Orson Welles a Claude Chabrol.
Uno spazio a parte merita Sir Alfred Hitchcock, che diresse la Valli ne Il caso Paradine (1947). Anche se il maestro del brivido spese belle parole sul conto di Alida (che nel film recita in modo convincente al fianco di Gregory Peck), va detto che ad “imporla” al regista britannico (che avrebbe preferito Greta Garbo) fu Selznick, uno tra i più grandi produttori statunitensi che voleva fare della Valli la “Ingrid Bergman italiana”. Anche se inizialmente fu convinta da questo intento, Alida non sopportò mai le regole che le venivano imposte da Selznick (un produttore notoriamente famoso perché voleva avere il controllo totale sui suoi attori) e lottò (pagando una grossa cifra di penale) per ottenere la rescissione del contratto, dicendo (volutamente) addio alla strada che l’avrebbe resa una Diva a Hollywood.
Un rifiuto che si affianca ad altre scelte coraggiose che l’attrice fece per sentirsi libera e indipendente. Ad esempio, qualche anno prima, nel 1943, a differenza di molti colleghi decise di non recitare in film di propaganda fascista rifiutandosi di andare a lavorare al Cinevillaggio di Venezia (negli studi cinematografici del fascismo salodiano). Si nascose a Roma (e in quello stesso anno, portò al grande successo la celebre canzone Ma L’amore no di Galdieri – D’Anzi che lei canta in una memorabile sequenza di Stasera niente di nuovo di Mario Mattoli) prendendo una decisione forte e modernissima che ci fa capire lo spessore di una donna che, attraverso il cinema, è diventata una delle attrici più amate di sempre dal pubblico (nonché premiate: per la sua Carriera nel 1991 ricevette il David di Donatello e nel 1997 un Leone d’Oro a Venezia).
Così algida, eppure così sensibile e bisognosa d’amore. In Alida – selezionato da Cannes Classics 2020 e presentato in prima mondiale alla Festa del Cinema di Roma lo scorso venerdì 23 ottobre nella sezione Omaggi – Mimmo Verdesca (già vincitore di due Nastri d’Argento per altri due documentari sul cinema, In arte Lilia Silvi e Sciuscià 70) smaschera un’artista dallo sguardo profondo e solo apparentemente severo. La sua carriera, o meglio, il suo percorso artistico, riflette la sua personalità: “nel suo nome c’è il suo ritratto – conclude Verdesca – significa ‘di nobile stirpe’, ma anche guerriera. Alida è stata una donna che ha sempre combattuto per l’arte e per l’amore”.
Solo ora capiamo, dopo aver visto questo documentario, quanto grande fosse il suo cuore.