Pubblicato su Casa Vogue nell’aprile 2006, con la firma dell’architetto Massimiliano Locatelli, profondo conoscitore dell’intera opera di Osvaldo Borsani, l’articolo è il ritratto puntuale non solo di una figura che ha firmato 50 anni di storia del progetto italiano, ma di quello stesso mezzo secolo, della sua ricchezza di idee e dei personaggi che accanto a Borsani le hanno tradotte in realtà. È il cambiamento della stessa nazione, il passare dalla dimensione della bottega a quella dell’industria: una vicenda che, nello specifico come diciamo spesso, ha portato al successo tanti marchi dell’arredo italiano. E come tutte le storie anche questa è un puzzle di tante altre; appaiono magari solo in controluce, spiragli, porte socchiuse: partiamo per esempio, dall’incontro ad Albisola fra lo scultore Agenore Fabbri, Lucio Fontana e Borsani. Immaginate il panorama: per cominciare la località sul mare del Ponente ligure – allora un paese soprattutto di pescatori lontano dalle dimensioni odierne, dove gli artisti  andavano a cercare lavoro – poi, l’Italia alla fine della guerra, la ripartenza; ma ad Albisola ci sono anche le fornaci di straordinari ceramisti come il futurista Tullio d’Albisola, i Poggi e tanti  altri; così il paese diventa un centro creativo; c’è pure la scrittrice Milena Milani e con lei il collezionista e mercante d’arte Carlo Cardazzo; poi, a quel tavolo Lucio Fontana appena rientrato in Italia…Questo solo per accennare qualcosa di Albisola. Poi c’è tutta la storia della Tecno, che qui la troverete per forza di cose sunteggiata. All’inizio di questo mese di marzo avete già conosciuto un signore che con la Tecno ebbe molto a che fare – Roberto Mango – a cominciare dal celebre logo. Fu proprio Mango a disegnare quella T stilizzatissima…Insomma, da storia nasce storia nasce storia…Non bisogna neanche fare tanta fatica a scovarle: sono già tutte lì, basta vederle. Un’ultima cosa: per sapere di più su Borsani c’è il sito a lui dedicato osvaldoborsani.com; per sapere come e quando si potrà nuovamente visitare la villa-scrigno di Varedo si va sul sito del FAI fondoambiente.it.   (Paolo Lavezzari)

Villa Borsani, a Varedo. Foto courtesy Michael Baumgarten.
Villa Borsani, a Varedo. Foto courtesy Michael Baumgarten.

Anni Trenta, industriali, professionisti, dame sofisticate, altoborghesi in cerca d’autore: tutti vogliono Osvaldo Borsani, l’architetto poco più che ventenne che con il “Salotto per signora”, realizzato a Milano per casa Mentasti nel 1934, inaugura la sua lunga carriera inventandosi una moda: il nuovo “su misura” elegante. Nato nel 1911 da una famiglia di mobilieri lombardi di grande tradizione, Borsani ha esordi precocissimi, e già durante gli studi (prima a Brera, poi al Politecnico di Milano) collabora con l’azienda del padre. Nel 1933 vince la medaglia d’argento alla quinta Triennale con il progetto di piena impronta razionalista “La casa minima”. Ma Borsani ha le idee chiare: già l’anno successivo il suo razionalismo abbandona le connotazioni sociali e gli imperativi di economia dello spazio per andare incontro alla crescente necessità di un’arte di lusso.

È questa la sua fortuna: giovane, architetto d’élite, nonché designer raffinato, sa coniugare la ricerca di materiali e tecnologie con l’interesse vivissimo per la creatività e le avanguardie artistiche. Lo “stile Borsani”, dall’impeccabile qualità progettuale e costruttiva, trova infatti necessaria relazione nell’incontro con l’arte e gli artisti. Già nel ’43, la villa progettata per il padre Gaetano – costruita di fianco all’azienda, pianta a “T” e in cui alla sobrietà e alla riservatezza lombarda dei volumi corrisponde grande ricercatezza e raffinatezza degli interni – diventa un luogo che gli artisti esaltano con i loro contributi. Di questa straordinaria liaison rimane una vivace testimonianza dello scultore Agenore Fabbri. Siamo nel ’46, al famoso Caffè della palma di Albisola, e Fabbri racconta: «C’erano al tavolo Osvaldo, il fratello Fulgenzio e il padre.

Il salone di Villa Borsani. Foto courtesy Michael Baumgarten.
Il salone di Villa Borsani. Foto courtesy Michael Baumgarten.

C’era anche Lucio Fontana. Io, naturalmente, non avevo neanche un soldo. Allora Fontana mi presenta: “Gli facciamo fare qualcosa, cosa potremmo fargli fare”? E Osvaldo: “Facciamogli fare dei portavasi, dei portaombrelli”… e così feci». A quei tempi Fontana già lavora con Borsani, e con lui anche altri, i più moderni: Arnaldo Pomodoro, Fausto Melotti, Aligi Sassu, Roberto Crippa… La collaborazione con gli artisti diviene ben presto un rapporto fraterno, che dà origine a piani di tavoli e tavolini, bassorilievi retro illuminati su controsoffitti luminosi per grandi saloni, decori e pitture su terracotta per camini a sbalzo, superfici di mobili: tutti, ovviamente, pezzi unici. Memoria, tradizione e conservazione caratterizzano le scelte d’arredo nelle famiglie ricche degli anni ’50: i mobili non si cambiano, devono rappresentare l’immagine della famiglia ed essere tramandati di generazione in generazione. Questa committenza ritiene fondamentale possedere esemplari ad hoc, rifiutando il concetto di produzione in serie. In quegli anni è ancora impossibile far accettare l’idea di serialità: il mobile deve essere unico.

Il camino realizzato da Lucio Fontana, per Villa Borsani. Foto courtesy Michael Baumgarten.
Il camino realizzato da Lucio Fontana, per Villa Borsani. Foto courtesy Michael Baumgarten.

Osvaldo Borsani, insieme ad alcuni artisti, suoi eccezionali collaboratori, riesce appieno a soddisfare questa esigenza. Disegna tutto, nei minimi particolari: la sua straordinarietà consiste proprio nel fornire ai committenti una casa perfettamente finita in ogni dettaglio e nel saper studiare un’immagine globale. È senza dubbio il primo a comprendere l’importanza dell’arte nel mondo del progetto e a gestire, in una sintesi perfetta, l’immagine da lui creata con quella degli amici artisti. L’architetto del lusso crea un nuovo linguaggio: i mobili “con l’anima”. Borsani riesce a innovare ogni oggetto creando un elegante legame col passato; usa i materiali della tradizione ma li mescola a ingegnosi e preziosi dettagli, arriva a inventare giunti e meccanismi speciali per dare una nuova energia a ogni idea che realizza.

Il divano D70, 1954, design Osvaldo Borsani.
Il divano D70, 1954, design Osvaldo Borsani.

Un esempio per tutti, il divano “D70”, che ha origine da un’esigenza ben precisa: un cliente vuole un divano per guardare il panorama dalla finestra e un secondo divano per guardare il fuoco del camino posto sulla parete di fronte. Borsani disegna un pezzo speciale, brevettando un meccanismo che permette allo schienale di reclinarsi fino a diventare seduta e alla seduta di alzarsi fino a divenire schienale. Nasce il divano “a farfalla”. Proprio il disegno è il mezzo attraverso cui genera tutto, convince i clienti, affascina la gente, responsabilizza i lavoratori dell’atelier. Tutti rimangono incantati, ipnotizzati dai suoi disegni che, a volte schematici e semplificativi, altre colorati e narrativi, altre ancora tecnici e molto dettagliati, sono la sintesi del suo lavoro. Nel ’53, col gemello Fulgenzio e il padre, Osvaldo Borsani si avventura in un nuovo progetto che cambia radicalmente la scala del suo lavoro, da artigianato a industria: nasce la Tecno. Dar vita a un’impresa significa grandi cambiamenti: le responsabilità si moltiplicano, bisogna imparare un nuovo mestiere. Sulla scelta di Borsani di creare la Tecno, Agenore Fabbri aveva una precisa opinione e in un’intervista osservò: «Borsani per me ha sbagliato una cosa: fare la Tecno. Lui doveva fare l’architetto perché in fondo è stato molto condizionato dalla faccenda dell’azienda. Se avesse impiegato la sua vita d’artista facendo l’architetto ci avrebbe guadagnato l’architettura».

La celebre poltrona P40, 1955, un altro progetto di Osvaldo Borsani, tuttora in produzione.
La celebre poltrona P40, 1955, un altro progetto di Osvaldo Borsani, tuttora in produzione.

A ragione o a torto, Tecno diviene in breve una realtà aziendale tra le più importanti e creative nel nascente settore del design italiano. Fulgenzio gestisce la parte economica, Osvaldo segue il prodotto, con l’aiuto dell’architetto Eugenio Gerli. Insieme mettono a punto tanti progetti, tra cui il sistema “Graphis”, innovativo sia nella tecnica di produzione sia nella componibilità degli elementi, che diventa ben presto un classico per l’ufficio. La produzione di “Graphis” è stata purtroppo abbandonata nel 2005. Poi, sotto la supervisione di Borsani, nasce il Centro Progetti Tecno (CPT), guidato dagli architetti Marco Fantoni e Valeria Borsani, che genera pezzi di successo mondiale e di larga diffusione, come la seduta “Modus” del 1972. Raffinato progettista, attento imprenditore, nomade internazionale ante litteram, percorreva (soprattutto per lavoro) in lungo e in largo tutta l’Europa, amando ogni luogo dove si recava con la medesima intensità, e sapendone cogliere subito gli spunti di maggior fascino. Dotato di una straordinaria simpatia, Borsani era spinto da un’enorme voglia di vivere che si rifletteva non solo nella sua attività lavorativa, ma anche nel privato. Sua figlia Valeria racconta che il padre amava molto il campeggio, tanto da comprarsi un carrello-tenda. Portava tutta la famiglia in vacanza in questo modo. Una volta arrivati a destinazione, la moglie e le figlie se ne stavano in albergo. E lui si godeva la libertà…