Con una carriera ventennale di successo come celebrity matchmaker, Lucio Di Rosa ha servito maison del calibro di Armani, Versace, Elie Saab e Dolce & Gabbana. Ora guida una realtà innovativa che porta il suo nome. LDR22 non è il solito showroom o una classica agenzia ma, soprattutto, è una casa; un punto di incontro nel cuore di Milano, situato all’interno del maestoso Palazzo Meli Lupi di Soragna. Inaugurato a dicembre, rappresenta la sede milanese, dopo il successo dell’headquarter di Los Angeles, anch’esso concepito come una vera e propria dimora.
LDR22 offre una gamma completa di servizi che spaziano dal press office internazionale alla consulenza corporate, dalla pianificazione di eventi al talent scouting, dalla creazione di concept alla direzione di campagne. Il tutto mira a creare sinergie su misura e a lungo termine tra brand, industria dell’intrattenimento e celebrities. Con accesso privato, gli spazi del Palazzo si sviluppano come un’infilata di stanze ricche di boiserie, opere d’arte, wallpaper e mobili personalizzati di Fornasetti.
La strategia adottata da LDR22 è selettiva: solo pochi marchi sono scelti in linea con la visione di Lucio. Lo spazio di Milano, grazie al concept artistico affidato alla curatrice Jessica Tanghetti, si propone come un interlocutore attivo nel mondo dell’arte contemporanea, promuovendo il dialogo con artisti nazionali e internazionali. La passione di Lucio per l’arte e la sua sensibilità artistica è radicata nella storia della sua famiglia e si è sviluppata durante il percorso lavorativo e di vita, come ci racconta lui stesso.
Come è nata l’idea di LDR22
«È stata Sharon Stone in persona a chiedermi: Perché non fai qualcosa di simile a casa tua, ma inserendoci il lato business, a Los Angeles? La mia ossessione per il nuovo l’ho preso da Donatella Versace. Quando lavoravo con lei ricordo che l’ambiente era una fucina creativa di idee. Lei ha sempre spinto su questo modus operandi orientato al rinnovo, all’innovazione. 14 anni insieme così. Donatella è stata la mia mentore, mi ha insegnato tutto: dal lato sartoriale, allo spirito di reazione nelle situazioni peggiori. Mi ha fatto andare lei nella sede di via Gesù all’ufficio celebrities. Primo esame: gli Oscar (del 2006, ndr), affermando: “se non va bene, non si disturbi a tornare”».
Da dove proviene questa passione per l’arte?
«Da mio nonno, che era un pittore. Era un uomo terribile, tipico siciliano, così come mia nonna: molto rigido nell’educazione e molto attento all’etichetta. Quando faceva i ritratti, ci si doveva fermare immobili dietro al cavalletto per tre ore. Questo era valido per tutti i parenti. Nel tempo si è specializzato nelle nature morte di frutta e agrumi, così come nei paesaggi di Tunisi, poiché la sua famiglia originariamente proveniva da lì ed è stata costretta a emigrare con l’arrivo dei francesi. Siamo cresciuti sempre con quel cavalletto fisso in casa. Io non ho mai preso in mano un pennello, mentre i miei cugini più piccoli erano obbligati ad andare alle sue lezioni di pittura pomeridiane. I suoi quadri erano presenti in tutte le nostre case. Pertanto, l’arte è sempre stata parte integrante della mia vita. Mi sono appassionato con più consapevolezza e ho affinato il mio occhio una volta cresciuto, soprattutto da quando ho cominciato a lavorare per Versace. In via Gesù possiedono una quantità incredibile e rara di opere d’arte che, vedendole tutti i giorni, inevitabilmente diventano parte di te».
Come si inserisce l’arte nella realtà di LDR22?
«Le mie opere d’arte rappresentano l’evolversi della mia vita, in qualche modo. Non mi interessa il loro valore economico, ma ciò che esse incarnano per me: una tappa, un traguardo, un momento particolare. Nel loro insieme mostrano e definiscono il mio percorso di crescita personale, culturale e professionale, che non finisce mai e che posso portare con me per ricordarmene sempre. Ho voluto portare questo aspetto nella mia nuova realtà LDR22. Prima a Los Angeles (nel luglio del 2023, ndr), dove il concetto era quello di istituire uno showroom che non fosse fine a se stesso, ma sembrasse casa mia. Volevo creare un luogo in cui le persone potessero sentirsi a loro agio, perché per me quella è la cosa più importante.
A Milano questa opportunità è nata anche grazie a Jessica Tanghetti, a cui ho dato carta bianca sulla gestione dell’intero spazio (esclusi i soffitti, che non si potevano toccare!). L’idea dietro l’esibizione di opere è quella di instaurare un sistema a rotazione per esporre artisti di volta in volta diversi. In questo modo si apre un mondo solitamente accessibile solo agli addetti ai lavori, perché come sappiamo il settore della moda è chiuso, e solo chi ne fa parte può parteciparvi e goderne. Il mio desiderio era invece di aprirlo tramite l’arte, unificando questi due ambiti sotto il mio tetto».
Un aspetto molto bello della sede milanese di LDR22 è lo spazio che dedicate ai designer nuovi e realtà mid-career, oltre che ai marchi più istituzionali e noti…
«È fondamentale. A Los Angeles abbiamo marchi più consolidati come Gianvito Rossi, con i quali condivido comunque una certa visione. Qui, voglio invece selezionare realtà che percepisco come affini al mio modo di vedere le cose e lavorare, ma diverse da quelle in California. Lo scopo è anche quello di permettere a diverse realtà di emergere, evitando il rischio di cannibalizzazione reciproca. Des Phemmes di Salvo Rizza è un esempio della direzione che vogliamo prendere qui a Milano. Da quando abbiamo cominciato a collaborare a settembre, Des Phemmes ha raggiunto una serie di importanti traguardi, con capi indossati da Anne Hathaway, Lupita Nyong’o, Gwen Stefani e Sharon Stone. Ora proseguiremo con lui anche nella parte europea e nel Regno Unito. Inoltre, l’apertura verso l’estero è una caratteristica intrinseca dello showroom».
Come è nata la collaborazione con Fornasetti?
«Questa iniziativa è nata da una volontà personale. Sono cliente da molti anni e parlando con un’amica che è un punto di riferimento per il marchio, mi ha consigliato di esporre l’idea a Barnaba (Fornasetti, ndr). Così sono nati sia l’evento a Los Angeles (con alcune limitazioni dovute al contesto estero, quindi ci siamo concentrati su carte da parati, porcellane, vasi e candele), sia qui. Il takeover in questo showroom è stato più significativo e lo utilizzeranno per lanciare nuovi prodotti. Barnaba ricordava bene la storia di questo spazio ed è stato entusiasta di poter partecipare alla sua rinascita in una prospettiva nuova, pur mantenendo un solido legame con il passato e la città di Milano. Ho scelto Fornasetti perché, nel panorama delle aziende italiane che operano nell’interior design, non è ancora standardizzata o globalizzata. Conserva ancora le caratteristiche dell’artigianalità e della personalizzazione su misura, con tempi di attesa per gli ordini prolungati. Personalmente, sono ossessionato dal cambiamento e dal riciclo delle energie. Tuttavia l’idea che promuovo e alla quale mi attengo è precisa e inalterabile. Non cambio direzione durante il processo».
Parliamo della tua collezione personale. Ci sono autori e artisti a cui sei più legato?
«Davide Quayola. Ho uno dei suoi quadri perché lo vidi a Roma due o tre anni fa durante una mostra personale. Dopo quella occasione, non ho più trovato nulla di suo in circolazione. La fortuna ha voluto che Davide sia amico di mio fratello; gli ho chiesto un favore e lui ha acconsentito a rimuovere un’opera dalla sua casa per vendermela: si tratta del “Bacio” di Rubens scomposto. Lui affronta l’arte classica in chiave contemporanea, e io ne sono affascinato, ne vado matto. Con Jessica abbiamo acquistato anche un’opera di Sophie Ko e sto aspettando un pezzo di Mitoraj per il mio giardino. Secondo me, se si ha uno spazio esterno adeguato, un’opera di Mitoraj è imprescindibile, con tutto quel mondo che vi è associato. Lui aveva lo studio a Pietrasanta, e i miei genitori abitavano a Forte dei Marmi; quindi, c’è un legame tra i mondi. Inoltre, amo le opere di Alex Polla, un giovane artista relativamente sconosciuto, che però gioca con la luce in modo molto caravaggesco. Ha studiato all’Accademia di Brera ed è dotato di un talento straordinario. Infine, Giuseppe Veneziano, l’artista che ha fatto scandalo con il quadro della Madonna con Hitler in braccio. L’ho conosciuto tramite un amico gallerista di Pietrasanta quando non era ancora famoso; mi ha introdotto a Giuseppe, che apriva la sua prima mostra personale il giorno seguente. Gli sono piaciuto subito, e mi ha permesso di vedere la mostra in anteprima al Palazzo del Comune di Pietrasanta. Mi ha detto: “scegli un quadro, voglio che tu sia il primo a prendere uno”, e io ho scelto quello di Gesù Cristo con la corona di spine e il sangue».
Dal momento che lavori nella moda, che rapporto hai con la fotografia?
«La fotografia non è la mia passione principale. Gregory Crewdson è l’unico che mi affascina davvero, perché la sua arte è estremamente artificiale; gioca con i filtri, i chiaroscuri, le rappresentazioni che sembrano veri e propri set cinematografici lasciando sempre il dubbio su cosa stia realmente accadendo, e ogni osservatore ci trova qualcosa di diverso. Tuttavia, in generale, sono più attratto dalla pittura e dalla scultura. La scultura mi fa impazzire, mentre non riesco a trovare interesse nemmeno nella digital art. Non riesco ad avere una risposta emotiva con le installazioni video, non riesco a connettermi con esse, non ho dialogo. È un tipo di arte molto distante da me, non trovo connessioni, ma è molto soggettivo».
Progetti in vista del Salone del Mobile?
«Sì. L’idea è di inaugurare una personale dedicata a Maurizio Donzelli, curata da Jessica Tanghetti in collaborazione con Cortesi Gallery. La mostra “Netes Mai” aprirà l’8 aprile e sarà visitabile su appuntamento ogni giorno per il periodo dell’art week e della design week dalle 17 alle 18 su prenotazione».
E conclude la stessa curatrice Jessica Tanghetti: «Il lavoro di Maurizio Donzelli, e la ricercatezza, profondità e complessità che lo caratterizza, pone in luce molteplici affinità con LDR22 e lo spazio che lo ospita, Palazzo Meli Lupi di Soragna. L’arte di Donzelli consente di effettuare un viaggio nel passato, quando il binomio arazzo/affresco era caratteristica ricorrente negli ambienti nobiliari, e di restituirlo all’oggi grazie ad una rilettura contemporanea dell’arazzo. Tale prospettiva, ancorché legata al passato, vuole in realtà essere quanto più dinamica, così come lo sono gli interventi scultorei di Donzelli, che troveremo in mostra. La mostra si pone in relazione anche con la città di Milano, in cui LDR22 è da poco approdato: NETES MAI è l’invito a “non temere” riportato sugli arazzi Trivulzio, basati sui disegni di Bramantino e conservati presso il Castello Sforzesco, che fanno parte dei riferimenti dell’artista. La profonda ricerca condotta da Donzelli, e l’eterogeneità dei media utilizzati, restituisce poi un lavoro altamente interdisciplinare da un punto di vista di contaminazioni creative».
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