Arte e identità della specie umana: intervista a Gabriele Simongini

Arte e identità della specie umana: intervista a Gabriele Simongini

Il nuovo saggio di Gabriele Simongini, pubblicato da Manfredi Edizioni, parte dalla considerazione di come l’arte sia oggetto di un’aggressione parassitaria da parte della moda, del design, dei social network, della speculazione finanziaria e del marketing che è parallela alla progressiva cancellazione della memoria e della natura alla quale stiamo assistendo passivamente. Eppure l’arte per Simongini può salvaguardare la nostra sensibilità assalita dalla retorica tecnologica e dall’ossessione del profitto. Nel segno di un pluralismo polifonico, in questo saggio l’autore è ricorso a una sorta di dialogo ideale e a un montaggio di voci autorevoli, diverse e disseminate nel tempo, che hanno colto quasi profeticamente i segni dell’annichilimento di arte, natura e memoria che caratterizza la nostra epoca. Abbiamo intervistato l’autore.

06/05/2016 Roma. La mostra ‘Salvarsi dal naufragio’, di Antonio Fraddosio e Claudio Marini, a cura di Gabriele Simongini, (nella foto) al museo Carlo Bilotti

Nel tuo saggio pubblicato da Manfredi Edizioni ti definisci “uno storico dell’arte seduto dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano occupati”. Parafrasi Bertold Brecht, ma in cosa consiste questa parte del torto?

«Sono un isolato, un fuori sistema, ma soprattutto credo profondamente nel pluralismo e nella polifonia in ambito artistico, senza esclusioni pregiudiziali a priori dettate dalle mode. Penso che l’intensità e la qualità debbano essere l’unico metro di valutazione delle opere d’arte, indipendentemente dal linguaggio usato. Amo infinitamente la scrittura chiara, limpida, profonda e il rapporto con la poesia, da sempre, tranne che oggi, vera linfa anche delle arti visive. Mi sembra abbastanza per stare “dalla parte del torto”».

Qual è la “natura” e il “potere” della vera opera d’arte?

«La vera opera d’arte è quella che ci infiamma e ci cambia la vita. È quella in cui ci si perde e ci si ritrova, al tempo stesso. La vera arte dovrebbe crescere e misurarsi nei tempi lunghi della natura e del cosmo, non in quelli effimeri dell’intrattenimento e in quelli speculativi del sistema finanziario. Dovrebbe seguire con pazienza la via del difficile, dell’indicibile e non quella della facilità superficiale».

Alla polifonia tecnica e ideativa, magari caotica e imprevedibile, della nostra epoca non corrisponde a tuo avviso un pluralismo democratico del sistema dell’arte. Chi sono gli esclusi?

«Gli esclusi sono gli artisti appartati che si concentrano solo sul lavoro senza curare le pubbliche relazioni e le frequentazioni mondane, senza riempire di lusinghe direttori di musei che non visitano più gli studi e che guidano istituzioni dall’identità sempre più confusa e traballante, incapaci di valorizzare le proprie collezioni».

Quali sono gli effetti a tuo avviso più evidenti e pericolosi prodotti da parte della moda, dei social network, del marketing e della speculazione finanziaria?

«Fra gli effetti più devastanti c’è la prevalenza di una creatività teatralizzata al servizio del profitto, dell’investimento e dell’intrattenimento, come qualsiasi altro prodotto. Troppa arte contemporanea chiede al suo pubblico di regredire, di rinunciare a risultati assoluti, di accontentarsi di un frammento, di una trovata o di una mezza idea».

In che senso l’arte contemporanea sta perdendo la dimensione dell’incanto e dello stupore?

«Sembra giunto il momento di aprire nuovamente le porte all’inconscio, ora espulso dalla società dell’anestetizzazione levigata. In questo contesto dovrebbe tornare ad avere importanza anche la messa in gioco della totalità psicofisica dell’artista, nel cortocircuito fra mano, occhio e cervello. La domanda oggi irrinunciabile è: quale verità emotiva, e dunque umana, si invera nella forma? Nella forma ci deve essere tutto, senza giustificazioni esterne, sociologiche, antropologiche che spesso invece la sostituiscono, tanto che andrebbe riscoperta e riletta la teoria della pura visibilità di Konrad Fiedler».

Turrell, Ganzfeld, 2013

Quel che ti assilla oggi e che innerva il tuo saggio è la costante cancellazione della storia e della memoria (di cui fa parte anche la sapienza tecnica tramandata fra generazioni). In che modo si svolge questo processo e a opera di chi?

«Si sta affermando sempre di più, anche a livello istituzionale, una cultura della cancellazione davvero pericolosa, soprattutto per la formazione dei più giovani. Storia e storia dell’arte sono misconosciute e trascurate nell’istruzione secondaria e non solo. E poi faccio un esempio emblematico: recentemente i giovani borsisti dell’Accademia di Francia in Villa Medici durante la Notte Bianca hanno deciso di non esporre nel Grand Salon e di chiuderlo perché al suo interno ospita “La Tenture des Indes”, una serie di arazzi tessuti dalla Manifattura Reale di Gobelins per ordine del re Luigi XV e ora considerati “degradanti e razzisti” per il modo in cui sono raffigurate delle persone di colore. Come si può pretendere che degli arazzi del 1726 siano politically correct in base ai parametri morali di oggi? Dovremmo allora rivedere tutta la storia dell’arte in base ai criteri etici attuali?».

Eliasson, The weather project, 2003

In che modo l’Arte può salvaguardare la nostra sensibilità assalita dalla retorica tecnologica e dall’ossessione del profitto?

«Un’arte capace di salvaguardare l’identità della specie umana dovrebbe riallacciare legami profondi e originari con la memoria e con la natura, ovviamente non in senso mimetico. Dovrebbe riscoprire la dimensione simbolica e fondarsi sui tempi lunghi della contemplazione invece che su quelli istantanei e rapidissimi della connessione, nella convinzione che l’innovazione è sempre parte della tradizione, intesa anche come patto fecondo fra generazioni. Dovrebbe proporre una critica equilibrata alla retorica tecnologica, immettendo energie morali e creative anche nell’uso del web e delle nuove tecnologie».

Tra gli autori più convincenti e sintomatici della nostra epoca, in equilibrio fra nuovo umanesimo e tecnologia, individui Ólafur Elíasson, Tomás Saraceno e James Turrell…

«Sì, mi interessano molto le opere che possiamo definire di Tecnonatura, nelle quali una natura seconda è prodotta artificialmente come esperienza da far vivere a una collettività per farla interrogare sulla necessità di rispetto, condivisione e comunanza che si deve tornare ad avere con la natura stessa. In qualche modo torna sorprendentemente e, sia pur in modi rinnovati nella percezione degli spettatori-attori, quel concetto di “aura” che Benjamin esemplificava proprio sugli oggetti naturali definendoli “apparizioni uniche di una lontananza, per quanto questa possa essere vicina”».

Gabriele Simongini, Arte e identità della specie umana, Manfredi Edizioni, pp. 60, euro 12

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