Come Nino Manfredi è diventato il volto dell’italianità

Come Nino Manfredi è diventato il volto dell’italianità

Nel 1977 Armando Testa, storico pubblicitario di Lavazza, dà una svolta alle campagne degli anni Cinquanta e Sessanta, abbandonando le storie in stile telenovela del classico Carosello che avevano per protagonisti Caballero e Carmencita, personaggi animati. Sceglie così di utilizzare un testimonial in carne e ossa che avesse una personalità e delle caratteristiche precise: Nino Manfredi, uno dei volti più noti del nostro cinema tra gli anni Sessanta e Ottanta, è il connubio perfetto tra simpatia e tragicità tipiche della commedia all’italiana, un genere che ha definito la nostra storia e del quale lui è stato uno dei volti più noti. Il suo carattere comico, espressivo e rassicurante lo rende perfetto per incarnare la nuova estetica su cui punta Lavazza.

Nino Manfredi

Negli spot, andati in onda tra il 1977 e il 1993, l’attore ciociaro sfoggia la sua sua abilità nel creare una tensione comica tra il personaggio e lo spettatore, senza necessariamente ridurre la sua figura a una macchietta o alla parodia. Benché si tratti sempre di scene che durano poco più di un minuto, il suo carisma ha tutto il tempo di esprimersi in quegli slogan rimasti nella storia della nostra televisione e nella memoria di chi li ha visti ogni giorno in TV: da “Il caffè è un piacere, se non è buono che piacere è?” a “Lavazza, più lo mandi giù più ti tira su”, Manfredi ha dato alla pubblicità quel tono rassicurante e bonario che gli italiani si sono abituati ad associare al suo volto. Il fatto che questo attore sia diventato un simbolo della nostra cultura è dovuto a svariati motivi: la naturale espressività del suo viso, l’eclettismo del suo talento – ha lavorato nel cinema, nel teatro, in televisione e alla radio – ma anche la fortuna di trovarsi in un’epoca così prolifica per l’arte italiana, che lo ha visto circondato da altri personaggi storici del settore. È anche grazie alla compagnia di attori e registi con cui Manfredi ha potuto lavorare che si è formata quell’atmosfera che tutti oggi riconosciamo quando vediamo una commedia italiana di quegli anni.

Nino Manfredi e Vittorio Mezzogiorno

Saturnino Manfredi, detto Nino, ad appena sedici anni passa un lungo periodo in un sanatorio per colpa della tubercolosi; una permanenza che si rivela tutto sommato positiva, visto che gli permette di incontrare, per caso, Vittorio De Sica. L’attore e regista romano sta portando in giro uno spettacolo e quando Manfredi lo conosce capisce che quella potrebbe essere la sua strada. Dopo essersi laureato in legge solo per accontentare la famiglia e senza nessuna intenzione di proseguire con la carriera giuridica, si diploma all’Accademia d’arte drammatica di Roma. La sua carriera nello spettacolo ha inizio grazie al teatro, dove per diversi anni si esibisce in rappresentazioni di un certo spessore, collaborando anche con compagnie come quella di Gassman, e anticipando così il loro futuro insieme nel cinema. Interpretando drammi di autori di vario genere, da Shakespeare ad Arthur Miller, Manfredi si fa le ossa e lavora accanto a nomi come Eduardo De Filippo e Giorgio Strehler, mettendo le basi per una carriera attoriale che andrà ben oltre il palcoscenico. Come è noto, il punto di svolta dell’attore ciociaro arriva negli anni Sessanta, quando diventa uno dei cosiddetti “colonnelli” del cinema italiano, uno di quei volti alla base della nostra commedia che tutti almeno una volta, anche solo per sbaglio, magari in qualche replica alle 14 d’estate su Rai3, abbiamo visto.

Con Vittorio Gassman nell’ “Audace colpo dei Soliti Ignoti”
Vittorio De Sica, Mariangela Melato, Nino Manfredi sul set di “Lo chiameremo Andrea”
Con Ettore Scola e Marcello Mastroianni
Alberto Sordi, Monica Vitti e Nino Manfredi

Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi e Nino Manfredi: sono loro “i colonnelli”, gli interpreti maschili che negli anni di massimo splendore del cinema italiano hanno dato, ognuno con le proprie caratteristiche, il successo assicurato a tutti i film a cui prendevano parte, anche per il solo fatto di essere nel cast. Non è solo questione di notorietà, visto che ognuno di loro incarnava a modo suo un aspetto del carattere italiano, negli anni in cui il cinema si era ripromesso di rappresentare tutte le sfaccettature dell’uomo qualsiasi, dalla sua mediocrità alla semplice bontà d’animo. In questo quartetto, Manfredi rappresentava il lato più umile e contadinesco dell’italianità, anche grazie al personaggio che per primo lo rese noto, il burino di Canzonissima, il barista di Ceccano – con il quale peraltro interpreterà la sua prima campagna pubblicitaria, quella per la lotteria. Nonostante la sua formazione non fosse prettamente umile – considerato il fatto che aveva studiato, a differenza degli attori del neorealismo che provenivano davvero dai luoghi rappresentati, come Franco Citti o Lamberto Maggiorani – Manfredi rimane comunque spesso associato a questa idea rurale e antica di italiano semplice, magari anche un po’ grezzo, ma di sani principi, reso semmai cattivo dalle circostanze, ma di fondo un’anima buona.

Nonostante il successo del personaggio di Canzonissima, Manfredi decide di non portare mai al cinema una trasposizione di quella parodia, forse per non far sì che il suo viso venga associato da tutti esclusivamente a quella rappresentazione. Il primo film in cui si è trovato a interpretare il ruolo di protagonista, dando così inizio alla sua carriera di “colonnello”, è L’impiegato di Gianni Puccini. Da quel momento in poi, la sua presenza nella cinematografia degli anni Sessanta diventa imprescindibile e le collaborazioni con i più noti registi di quegli anni ne sono la prova: gli danno la possibilità di dimostrare la sua abilità non solo comica ma anche drammatica, in quel gusto dolce e amaro tipico di un certo cinema dell’epoca d’oro, dove alla risata si affiancava sempre anche una forte critica sociale. Nella prima pellicola in cui recita, diretto da Ettore Scola, Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparsi in Africa?, del 1968, per esempio, Manfredi interpreta il cognato di Alberto Sordi che è scappato via dalla vita frenetica dell’Italia del boom economico per vivere nella giungla. Si tratta di una metafora precisa, che, al di là del lato comico e rocambolesco del film, dà voce alla sensazione di oppressione che si insinuava tra gli italiani degli anni in cui il consumismo e i ritmi del capitalismo moderno si facevano largo. La sua abilità nel far passare un messaggio serio e potente attraverso una recitazione leggera e ironica si vede bene anche nel film Pane e cioccolata, di Franco Brusati, in cui interpreta un migrante italiano che cerca fortuna in Svizzera, umiliato e maltrattato come tanti altri, che avevano come unica colpa quella di essere poveri.

in “Controsesso” (1964)
Con Ugo Tognazzi in ” Straziami ma di baci saziami” (1968)
Pane e cioccolata (1974)
Quelle strane occasioni (1976)

Oltre ai vari film in cui Manfredi recita accanto agli altri colonnelli, è anche la collaborazione con grandi attrici al suo fianco a segnarne la carriera, creando quelle famose coppie del cinema italiano passate alla storia: con Stefania Sandrelli si ritroverà in varie occasioni, dando vita a un duo che rimane ancora oggi tra i più interessanti di quel panorama cinematografico. In C’eravamo tanto amati di Scola, ad esempio, i due attori prendono parte alla rappresentazione di trent’anni della storia del nostro Paese, dalla guerra di liberazione alla fine degli anni Settanta, attraverso la vita di tre amici – Manfredi, Gassman e Satta Flores – e gli amori che ne danno una direzione. Stefania Sandrelli interpreta Luciana, la donna che in qualche modo legherà i tre amici e che contemporaneamente spezzerà la loro amicizia, dando così vita a una trama che come nella tradizione della commedia italiana mischia la realtà storica e sociale di un Paese che si evolve all’intima e piccola tragicità delle umane avventure. Anche in Io la conoscevo bene di Antonio Pietrangeli i due attori recitano insieme: Stefania Sandrelli nel ruolo di un’attrice giovane e ingenua, ma anche felice e coraggiosa, in cerca di una parte; Nino Manfredi è il suo agente, un po’ bugiardo, un po’ furbo, ma non per questo un personaggio negativo. Questi film, infatti, rappresentano spesso la complessità della morale umana, ben più articolata di una semplice dicotomia tra buoni e cattivi. Il film è un connubio struggente di sofferenza e leggerezza, e i due attori, anche in questo caso, danno al lungometraggio quella cifra estetica e qualitativa che lo rende un classico da rivedere sempre.

C’eravamo tanto amati (1974)
Io la conoscevo bene (1965)
A sinistra la moglie Erminia Ferrari e a destra Gina Lollobrigida
Con Claudia Cardinale in L’anno del Signore (1969)
A partire da sinistra: Ettore Scola, Sophia Loren, Carlo Ponti e Nino Manfredi

La carriera di Nino Manfredi, grazie alla sua capacità interpretativa e al lavoro dei registi che lo hanno diretto in tanti ruoli, è una sorta di bene comune per il nostro Paese. Quando un attore è in grado di segnare la storia del cinema di una nazione, significa che il suo operato non si è limitato semplicemente a dare un volto e una voce ai vari personaggi che gli sono stati assegnati, ma che ha saputo rendere personale, complesso e variegato ogni ruolo in cui si è immedesimato. Nino Manfredi non era solo un interprete: era un vero e proprio animale da palcoscenico capace di distinguersi in qualsiasi contesto si trovasse. La sua carriera rappresenta la parte più sana dello spirito italiano, fatto sì di tante contraddizioni e di note stonate ma anche genuino e soprattutto divertente.

Questo è articolo è stato pubblicato per la prima volta il 2 agosto 2018.

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