Cristina Donadio: «Il cancro non va in lockdown»

Cristina Donadio: «Il cancro non va in lockdown»
Cristina Donadio
Cristina Donadio
Cristina Donadio

Aveva 13 anni, era estate e camminava per strada, come tante altre volte. Una zingara la fermò, e le prese la mano. «Nella vita ti accadrà tutto, grandi fortune e grandi sfortune», le disse. Quando Cristina Donadio tornò a casa, lo raccontò subito a sua madre, che le disse: «Cosa ci pensi a fare? Lascia perdere, tanto la vita accade». Lei, però, ha continuato a pensarci. «La cosa più bella della mia vita è stata la nascita di mio figlio (Antonio, ndr), ma avevo 16 anni. Una gioia immensa, ma allo stesso tempo una cosa che la vita te la scombina», racconta l’attrice dall’altro lato della cornetta. Ci sentiamo su una linea fissa e non sul solito cellulare, durante una pausa set o un viaggio in treno. La sua piccola «bolla» di questi strani tempi è il divano della casa di Napoli. «Ogni volta così che mi è successa una cosa bella», continua, «subito dopo ne aspettavo una brutta. Nel 2015 quando stavo girando la seconda stagione di Gomorra, quando ero Scianèl, mi è stato diagnosticato un tumore al seno».
Cristina, all’inizio, la malattia ha preferito non renderla pubblica. Ne ha parlato per la prima volta solo due anni dopo, in un’intervista a Vanity Fair, e poi ha deciso di metterla in un cortometraggio – La scelta, regia di Giuseppe Alessio Nuzzo, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia del 2019 – ora disponibile in esclusiva su RaiPlay. Il corto racconta in un unico piano sequenza pensieri, ricordi e paure del giorno dei controlli. «È la storia di una donna che fa l’attrice ma poteva fare qualsiasi altro mestiere. La cosa singolare è che è stato messo online proprio nei giorni in cui ho rivissuto quello stesso stato d’animo. I controlli del quinto anno. Li ho fatti giusto in tempo prima che chiudessero gli ambulatori a causa dell’emergenza Covid. Ma il cancro, purtroppo, non va in quarantena, e nemmeno in lockdown». È per questo che l’attrice ha deciso di diventare uno dei volti della campagna 2020 dell’Airc che ricorda l’importanza della prevenzione, di non rimandare, di donare per la ricerca: «Io ci metto la faccia e tutto quello che posso fare».

Come sta oggi?
«Bene, fortunatamente. Anche se ogni volta che vai a fare un controllo, ti torna davanti tutto il vissuto, le fragilità tornano a galla. Succede quando hai avuto un cortocircuito, una disavventura, un sorprendente incidente di percorso, che nel mio caso era un tumore al seno».

Col senno di poi, crede sia stato più difficile non dire nulla all’inizio?
«No. Scianèl mi ha salvato la vita e non volevo toglierle nulla. Per me era come indossare l’abito di un supereroe. Volevo lavorare come tutti gli altri, non volevo che – per amore – lo sguardo su di me cambiasse. Non volevo essere trattata in modo diverso, né che per esempio mi dicessero di non fumare. Scianèl è un’accanita fumatrice. Così quando tornavo a casa mi toglievo l’abito da supereroe e potevo vivere la mia fragilità. Ho pianto tante volte».

Quand’è successo?
«Non c’è cosa più brutta di quando ti svegli e trovi i tuoi capelli sul cuscino, è una cicatrice che non dimentichi. La cura è un percorso duro e faticoso, e quando capita a te non sai mai cosa succede. Subito dopo che mi hanno detto della chemio ho tagliato una ciocca di capelli, li ho portati dal maestro delle parrucche, e sono tornata sul set. In quel periodo stavo anche preparando uno spettacolo per il Teatro Nazionale di Napoli. Ma non voglio parlare solo di me, non voglio rischiare di essere autoreferenziale. Ognuno racconta la sua storia con i propri termini e con i propri tempi. Io mi ritengo molto fortunata, ma ogni volta che si parla di questa malattia bisogna ricordarsi che è un terreno molto scivoloso, e che bisogna entrare in punta di piedi, tanta gente purtroppo non ce l’ha fatta».

Il primo lockdown come l’ha vissuto?
«Arrivavo da tre anni di lavoro continuo, ho dovuto interrompere le prove di uno spettacolo. Ma ho trovato il lato positivo: poter assecondare la mia pigrizia, fermarmi, non fare nulla. Ho giocato a fare il piccolo fornaio. Ho la fortunata di abitare sul mare, non mi è andata poi così male. Ho avvertito la paura ma anche quel senso di fratellanza che si era venuto a creare. E la bacchetta magica della natura che ha reso il mare più cristallino, tutto più bello. Ora, invece, il sentire è diverso. Certo, ci si poteva preparare di più, ma non si può non pensare a tutto quello che sta succedendo».

Che mamma è stata?
«Un po’ una mamma sorella e ora anche una nonna un po’ bizzarra. Quando mio figlio era piccolo chiedevo a mia madre: “Posso fargli io il bagnetto?”, e lei “No, no pensa alla scuola”. Quando poi sono nati i miei nipoti (oggi 20 e 17 anni) lo chiedevo a mio figlio: “Posso fare io il bagnetto ai tuoi figli”?, e lui: “No, no, pensa a recitare”. Così adesso aspetto di diventare bisnonna per potere fare finalmente il bagno a un bambino. Mio figlio e la sua famiglia vivono ai Caraibi, sarò una bisnonna ai Caraibi. Non male, no?».

In La Scelta fa il decalogo delle sue felicità, come: «Ascoltare la musica, accarezzare il proprio gatto, non vivere per il lavoro, mangiare le torte senza rimorsi».
«Fa parte del mio modo di essere, ne ho preso coscienza dopo il “cortocircuito”. Vuoi bere un bicchiere di vino? Bevilo. Di ritorno dalla chemio, preparavo spesso dei dolci anche se a causa della nausea sapevo già che non avrei potuto mangiarli. Mi sono sempre truccata e vestita al meglio, anche quando non mi andata. Ho fatto in modo di non entrare nell’ordine delle idee di essere malata, ma di stare attraversando un momento di difficoltà. Certo, il pensiero della morte c’è, ma è più forte quello di non perdere le cose belle della vita».

Oggi a quell’elenco cosa le va di aggiungere?
«Mettersi il rossetto rosso in piena notte, cantare a squarciagola, continuare a far fruire la vita anche se siamo spaventati. Non teniamo la vita fuori».

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