Epifania: presa di coscienza, in seguito ad un’improvvisa rivelazione, della propria condizione alienata. Ecco due esempi:
- Epifania 1: Luigi Pirandello, Il treno ha fischiato
Seguitava ancora a parlare di quel treno. Ne imitava il fischio. Oh, un fischio assai lamentoso, come lontano, nella notte. E subito dopo soggiungeva: “si parte, si parte, signori… Per dove? Per dove?”
Belluca era una persona comune, con una visione comune e uno stress comune, svolgeva un lavoro frustrante e viveva con tre donne cieche. Poi, d’un tratto, il suono d’un treno aveva squarciato la notte mentre lui, assorto nel dormiveglia, se ne stava sul divano rattrappito. Quel fischio, diretto e forte, l’aveva risvegliato in pieno e di colpo era sopraggiunta un’illuminazione, un’epifania: oltre quelle pareti sudicie e miseramente stregate di casa sua esistevano Firenze, Bologna, Torino, Venezia, e con le loro luci sfavillanti illuminavano la terra! E pulsavano, brillavano di vita, richiamavano alla memoria dolcezze terrene e sussurravano alla mente speranze celesti. In quell’istante, Belluca s’era ricordato che il mondo esisteva.
Belluca era corso col pensiero dietro a quel treno che s’allontanava nella notte (Luigi Pirandello, Il treno ha fischiato, 1914)
- Epifania 2: Giorgio de Chirico, Enigma di un pomeriggio d’autunno (1909)
Firenze, Bologna, Torino e Venezia il pittore Giorgio de Chirico le aveva visitate e vissute in prima persona. Fin da piccolo, per via dei numerosi traslochi del padre, era stato abituato a scoprire luoghi nuovi e a convivere con rinnovate geometrie spaziali. Come racconta nei Diari, fu la Grecia il punto di partenza grazie al quale, insieme al fratello Alberto Savinio, scoprì i miti, le nereidi, i centauri, i tritoni e tutti quei personaggi che in ogni sembianza raccontano la realtà in forma mistificata. Poi, una volta cresciuto, cominciò a rielaborare il mondo secondo le tinte di Bocklin e Klinger, lesse Nietzsche e Schopenhauer e arrivò alla conclusione che non vi sia nulla di reale. Gli uomini non sono che scarabocchi neri confusi che si ritrovano, in mezzo a piazze, deserti, mari e dinanzi qualche mobilia antropomorfa, a meravigliarsi. Pensano di essere i primi ma non sono che l’eterno ritorno dell’uguale della transitorietà.
Un giorno, De Chirico si sedette su una panchina dinanzi a Santa Croce a Firenze. Lì, al cospetto del monumento perturbante che aveva sconvolto Stendhal, anch’egli come Belluca ebbe un’epifania. E scrisse:
In mezzo alla piazza si leva una statua che rappresenta Dante avvolto in un lungo mantello che stringe la sua opera contro i suo corpo e inclina versi terra la testa pensosa coronata dall’alloro. La statua è in marmo bianco ma l tempo le ha dato una tinta grigia, molto piacevole a vedersi. Il sole autunnale, tiepido e senza amore illuminava la statua e la facciata del tempio. Ebbi allora la strana impressione di vedere tutte quelle cose per la prima volta. Quel momento è un enigma per me (Giorgio de Chirico)
Negli anni successivi alla visione, De Chirico espose al Salon d’Autumne (1912-13) e al Salon des Independants, introdotto da Pablo Picasso. Per qualche tempo s’ispirò a quest’ultimo e a Braque, e il cubismo Sintetico si percepisce in alcune opere (es. Le muse inquietanti, dove le divinità protettrici delle arti osservano “una delle città più belle d’Italia, Ferrara”). Ma fu nel dopoguerra che arrivò a farsi chiamare pictor classicus et optimus (“pittore classico ed eccelso”) e decise che avrebbe dedicato il resto della sua vita agli istanti metafisici, perduti tra l’antico e il presente, i sonni e i risvegli epifanici. La sua modella divenne Arianna dormiente, e Apollo il suo maestro.
Con la medesima semplicità con cui una conversazione sull’amore fluì spontaneamente tra Socrate e Platone in un Simposio all’inizio del mondo, Pirandello e De Chirico seppero catturare l’essenza della libertà, che non ha tempi nè spazi a delimitarla. Nel silenzio delle notti o assopiti nel solleone, l’antieroe e la bambina che insegue un cerchio realizzano all’improvviso di poter rivoluzionare il mondo, pieno di sfingi e cieli neri con obelischi a dialogare tra le ombre.
E, dunque, lui – ora che il mondo gli era rientrato nello spirito – poteva in qualche modo consolarsi! Sì, levandosi ogni tanto dal suo tormento, per prendere con l’immaginazione una boccata d’aria nel mondo. Gli bastava! Naturalmente, il primo giorno, aveva ecceduto. S’era ubriacato. Tutto il mondo, dentro d’un tratto: un cataclisma. A poco a poco, si sarebbe ricomposto. Emersero cose inaudite, espressioni poetiche, immaginose, bislacche, che tanto più stupivano, in quanto non si poteva in alcun modo spiegare come, per qual prodigio, fiorissero in bocca a lui, cioè a uno che finora non s’era mai occupato d’altro che di cifre e registri e cataloghi, rimanendo come cieco e sordo alla vita: macchinetta di computisteria. Ora parlava di azzurre fronti di montagne nevose, levate al cielo, parlava di viscidi cetacei che, voluminosi, sul fondo dei mari, con la coda facevan la virgola. Cose, ripeto, inaudite (Pirandello, Il treno ha fischiato, 1914)
Isabella Garanzini per ArtSpecialDay
L’articolo De Chirico e Pirandello: “il treno ha fischiato”, epifania nelle piazze silenziose sembra essere il primo su Artspecialday.