Filosofia dell’amore: Dante e Shakespeare

Filosofia dell’amore: Dante e Shakespeare

Dante e Shakespeare docet…

Quando entrano a far parte della cultura di massa, certi celebri episodi amorosi – quando non intere opere – rischiano di essere banalizzati da letture approssimative e disattente. Proponiamo qui alcune riflessioni su un tema che lega due assoluti classici della poesia romantica (nel senso corrente) per invogliarne la lettura ed evocarli in tutta loro potenza e fecondità: la filosofia dell’amore in Dante e Shakespeare.

Partendo da un richiamo ai caratteri innovativi dell’amor cortese – una vera e propria rivoluzione erotica nella storia dell’occidente – vorrei tratteggiare il rapporto ambivalente che i due massimi poeti europei hanno intrattenuto con tale visione, un rapporto segnato da una sostanziale aderenza ma anche da una volontà di superamento e ancora nobilitazione del sentimento erotico.

Spunto per questo articolo è stata la lettura di Rose of Love del critico inglese del novecento Jhon Vyvyan, testo che fa parte di una trilogia di saggi dedicati dall’autore a Shakespeare. In questo saggio Vyvyan propone una lettura allegorica di alcune opere del drammaturgo inglese che a nostro parere ben si presta ad un confronto con la filosofia dell’amore dantesca.

Innanzitutto, quali sono le fonti di Shakespeare? Da dove ha attinto e rielaborato la sua filosofia dell’amore? Come sappiamo la vita di Shakespeare è avvolta dal mistero, e non possiamo dire nulla con certezza sulle sue fonti dirette. Le nostre uniche fonti al riguardo sono pertanto i suoi stessi testi, nei quali sono rintracciabili secondo Vyvyan gli influssi di almeno 4 diverse visioni erotiche: quella dei Vangeli, nell’idea dell’amore come forza redentiva, quella del Roman de la rose, dei morality plays, e infine la più importante di tutti, la concezione platonica dell’eros come la recepirono i rinascimentali.

Più importante ancora, però, aldilà dei testi ai quali Shakespeare abbia direttamente o indirettamente attinto, è che il drammaturgo inglese si inserisca all’interno di quella rivoluzione poetica ed erotica che segnò un punto di non ritorno nella visione della donna e nella concezione dell’amore: l’amor cortese. Come è noto, l’amor cortese fu inizialmente un fenomeno letterario che si diffuse nel dodicesimo secolo volgare in Provenza, poi nella corte di Federico II a Napoli e in tutto il sud- Italia, e infine a Firenze, tra gli stilnovisti. Nella Grecia antica e nella filosofia aristotelica la donna era considerata un essere a metà tra l’uomo e l’animale, in quanto poco dotata di temperanza e di raziocinio, così come nel cristianesimo delle origini, in San Paolo e nei padri della chiesa, simbolo della donna non è tanto Maria quanto Eva, e le donne sono considerate perlopiù esseri da sottomettere in quanto tentazione e ostacolo al raggiungimento della santità. Rispetto a questo scenario, in maniera quasi improvvisa, all’interno delle prime corti medievali comincia a circolare una poesia in

cui la donna è invece fortemente idealizzata: in quelle ingenue ed ancora rudimentali liriche che rappresentano i primi passi della poesia occidentale, il poeta si prostra alla donna come il vassallo si prostrava al suo signore, egli si mette al servizio di questa nobile creatura che da diabolica tentatrice è diventata oggetto di devozione. Questa rivoluzione culminerà con tutta la sua potenza alla visione della donna amata come “isplendor di luce eterna” e “luce intellettual piena d’amore” del XXXI canto del Purgatorio dantesco; benché, come vedremo, Dante avrà compiuto rispetto all’amor cortese un passo ulteriore. Quasi di riflesso, il sentimento amoroso che fa desiderare al poeta questa figura semi-trascendente (la “donna angelicata”) si trasforma anch’esso, smette di essere un sentimento tra gli altri ed acquista caratteri spirituali e mistici come l’oggetto che venera. A culmine di questo percorso, l’amore sarà diventato anche grazie alla riscoperta Simposio platonico un sentimento filosofico nel senso più puro, ossia una forma di esperienza e di conoscenza dei moti primi dell’universo. Questo status del sentimento amoroso, detto per inciso, rappresenta uno degli aspetti più originali ed essenziali di tutta la cultura occidentale.

Avevamo fin qui accomunato l’amor cortese e la poesia di Dante. Dobbiamo invece ora sottolineare lo stacco fondamentale che la Commedia rappresentò in questo percorso di spiritualizzazione dell’amore. L’amor cortese nelle liriche dei siciliani, codificato nel De amore di Cappellano e divenuto famoso grazie ai romanzi del ciclo bretone, è infatti l’amor’ rappresentato da Paolo e Francesca nel V canto dell’Inferno; forma di amore dalla quale Dante vuol prendere pietosamente le distanze. Nel canto, la schiera dalla quale i due innamorati si staccano fluttuando è quella ove erano Dido, Tristano, Cleopatra, celebri personaggi rappresentanti di un amore eroico ma impuro da cui Dante è costretto a staccarsi per riprendere il cammino verso il paradiso. Il libro “galeotto” è la storia d’amore tra Lancillotto e Ginevra, un amore incestuoso, massimo simbolo letterario dell’amore cortese e cavalleresco, quell’amore che adesso Dante sente di voler teologizzare. Tale amore cortese per il Dante della Commedia non può dunque non essere condannato poiché non è a l’amore medium tra Dio e l’uomo, rivolto alla donna intesa come riflesso di questo amore.

Come Beatrice, secondo Vyvyan, anche i personaggi femminili shakespeariani possono essere compresi solo attraverso una lettura allegorica. Figure duplici dunque, che devono essere pensate come personaggi ma allo stesso tempo trasfigurazioni dell’Amore inteso come forza viva e spirituale. Amore che, come vedremo, non è come in Dante tramite tra l’uomo e il divino, ma, come ci si aspetta da un uomo rinascimentale, tra l’uomo e la propria essenza individuale, che può essere trovata, persa e riconquistata a seconda del comportamento che si tiene nei confronti di Amore.

Hayez, L’ultimo bacio

In Pene d’amor perdute, I due gentil uomini di Verona e Romeo e Giulietta, i protagonisti devono prendere le distanze da una forma di infatuazione propria di un amor cortese considerato inautentico, ancora non purificato – benché non in senso

moralistico come in Dante – dalle prove e dei sacrifici che l’amore come forza spirituale richiede.

Questa volontà di spiritualizzare il sentimento amoroso, fino a legarlo indissolubilmente come in Platone e in Dante alla conoscenza di se stessi e dei principi primi dell’universo, emerge nella maniera più esplicita in Pene d’amor perdute, dove l’iniziale conflitto tra Amore e Conoscenza si risolve in una loro necessaria fusione. Amore viene infine considerato la forma di conoscenza tout court, ed il concetto di filosofia dell’amore sembra valere in queste opere tanto nel significato di un genitivo soggettivo che oggettivo, in quanto è la forza cum-sostanziale che lega l’essenza individuale a quella del mondo.

All’inizio della tragedia di Romeo e Giulietta, Romeo ci viene descritto come innamorato di una giovane di nome Rosalina. Alcuni critici criticarono questa scelta di Shakespeare in quanto avrebbe rappresentato Romeo come uno che si innamora troppo facilmente, perdendo così di forza e valore l’amore che proverà poi per Giulietta. Ma se leggiamo questi passi sotto il segno dell’allegoria, notiamo che quello per Rosalina è proprio quella forma di amore da cui Romeo deve liberarsi per ritrovare se stesso, altrimenti perso in un vagare angosciato e senza scopo, colpito da un amore che non ha gli effetti che dovrebbe avere:

“O amore iracondo! O odio amoroso! O tutto creato dal nulla! O grave leggerezza! O vanità seria! Informa caos di leggiadre forme! Piuma di piombo! Raggiante fumo! Gelido fuoco! Inferma salute! Vigile sonno che non è ciò che è! Ecco l’amore che io sento, senza sentire nulla che si amore!”,

esclama nelle prime battute.

Completamente diverse sono invece le descrizioni dell’Amore per Giulietta, e interessante per il nostro discorso è il lessico religioso usato da Shakespeare nel dialogo del primo incontro tra i due:

“Se io profano con la mia mano indegna questa sacra reliquia (è questo il peccato dei pii), le mie labbra, arrossenti pellegrini, sono pronte a rende più molle, con un tenero bacio, il ruvido tocco”.

Già Giulia ne I due gentil uomini di Verona descriveva il suo viaggio per ritrovare l’amato, e quindi la sua stessa essenza, come un pellegrinaggio, e da pellegrino si travestiva per non essere riconosciuta. Il pellegrino, colui che si spoglia della propria apparenza e delle proprie immagini nel mondo per dirigersi libero nella propria essenza verso qualcosa di sacro.

Anche la celebre scena del balcone va riletta, secondo Vyvyan, in questa prospettiva. Mercuzio e Benvolio stanno cercando Romeo senza trovarlo (il Romeo che conoscono infatti non esiste più), mentre Giulietta sta pregando il giovane di liberarsi del suo nome, ossia di spogliarsi di tutte le apparenze che gli impediscono di entrare in contatto con il suo sé più profondo, ossia Giulietta, ossia l’Amore.

“Chiamami amore” le dice Romeo “e io sarò ribattezzato”.

Se si avessero ancora dei dubbi su questo tema dell’identità tra amore ed essenza individuale in queste opere di Shakespeare, si vada a rileggere i soliloqui di Valentino ne I due gentil uomini di Verona e di Giulietta nel momento dell’esilio dalla persona amata.

Abbiamo dunque visto come tanto Dante quanto Shakespeare condividano quel sottofondo culturale erotico che è l’amor cortese, benché entrambi accomunati anche dalla volontà di trasformarlo in una vera e propria filosofia dell’amore.

Nella Commedia l’intercessione di Amore è ciò che permette a Dante di uscire dalla selva oscura e raggiungere la salvezza, a patto che faccia il suo viaggio di conoscenza dell’aldilà. Anche in Shakespeare il rapporto tra i personaggi e l’Amore determina la loro conoscenza di se stessi ed il loro stesso destino.

Non scordiamoci che entrambi avevano alle spalle la visione platonica dell’amore come allegoria della filosofia stessa, mezzo per fare esperienza di quella bellezza che riflette la Bellezza delle idee.

Alessandro Bartoloni Saint Omer 

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