Questo articolo è pubblicato sul numero 51 di Vanity Fair in edicola fino al 22 dicembre 2020.
La felicità è noiosa, sosteneva la mia prima insegnante di scrittura. Nel cuore di ogni storia davvero buona, c’è del dolore. All’epoca mi sono trovato d’accordo con lei. E forse anche oggi. Alcuni anni fa però ho creato sul mio computer un file segreto intitolato «Fotografie dall’album della felicità». Di tanto in tanto lo apro. E scrivo
Lui non mi fa mai complimenti, ha detto lei.
Non mi piace il suo nome.
Vuol fare l’amore di rado. Come se mi facesse un favore.
Per tutti questi anni mi sono dovuta accollare lui e le sue depressioni. Per le figlie.
Nemmeno una volta in dodici anni. Tu sei il primo.
Qualcosa nel modo in cui mi sei stato ad ascoltare.
Ho fantasticato su di te per tutta la settimana.
Impossibile che io venga, sono troppo emozionata.
Sei sicuro che la porta sia chiusa?
Mai nessuno mi ha mandato una canzone.
Ti dà piacere?
Mi trovi attraente? Quanto mi trovi attraente?
Più forte.
Con delicatezza.
Soffro di deficit di attenzione. Mentre lo faccio potrei mettermi a pensare a una lampada che ho visto all’Ikea.
Per questo non riesco a venire. Perché non sono concentrata. Non prenderla sul personale.
Un mese fa ho avuto un attacco di panico. Ero ferma in un ingorgo e di colpo mi è partito un batticuore pazzesco.
È stato il segno. Che dovevo cambiare qualcosa.
Non gli piacciono i miei capelli. Dice che gli fanno il solletico.
Dice anche che è difficile starmi dietro, che salto da un argomento all’altro. Salto da un argomento all’altro?
Mi fa impazzire come mi tocchi.
Nessuno ha la chiave di questa stanza?
Adoro darti piacere. Lui non geme mai così.
Puoi ansimare il mio nome?
Ansimare, sì, nell’orecchio.
Wow, è davvero eccitante.
Ma è impossibile per me godere. Continuano a intromettersi pensieri scollegati.
Per esempio: hai cancellato i miei messaggi?
E non mandarmi e-mail senza preavviso.
Non sognarti di parlare di me con i tuoi amici.
Questo è un paese piccolo.
Ho provato a prendere una medicina per l’iperattività, ma mi fa venire fame.
Mi trovi grassa?
Allora perché non vieni?
Carino da parte tua. Ma non ne vale la pena.
Vuoi un fazzoletto umidificato? Ne ho sempre dietro un pacchetto.
Escape room.
Ci siamo stati sabato scorso con le bambine.
E di colpo mi sono sentita un nodo in gola.
Non lo amo più. Non amo il suo odore. Non amo come guida. Troppo lento. Ottanta all’ora fuori città.
È arrivato dopo una sfilza di uomini uno più alto e più stronzo dell’altro. Cosa ne potevo sapere, a ventidue anni.
E adesso?
Una prigioniera in fuga. Che a breve dovrà tornare in carcere.
E tu che mi dici di te? Non parli quasi.
In effetti, non te ne ho lasciato lo spazio. Mi dispiace.
È perché sono emozionata. Nemmeno una volta in dodici anni.
Però sul serio, che mi dici di te? Quale dolore stai cercando di alleviare?
(Traduzione di: Raffaella Scardi)
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