Fotografie dall’album della felicità 20

Fotografie dall’album della felicità 20

Questo articolo è pubblicato sul numero 9 di Vanity Fair in edicola fino al 2 marzo 2021

In televisione mostrano l’incendio che si estende, si sta avvicinando alle abitazioni. Telefono a mia madre. Mi dice: parla con tuo padre, magari tu riesci a convincerlo.
Mio padre non ci sente bene, perciò devo gridare.
Papà! grido. È pericoloso! Se non ve ne andate le fiamme vi possono raggiungere!
E dai, risponde. Non fare l’isterico come tua madre. La nostra casa è nella parte più lontana dal bosco. Non c’è da preoccuparsi.
Ci ha messo anni a costruire quella casa. E per tutti quegli anni mia mamma ha continuato a dire: non ci penso proprio a trasferirmi in quel buco. Ogni venerdì lui andava con mio fratello minore a vedere come procedevano i lavori. E io rimanevo a casa, leale alla mamma. Quando hanno terminato di costruire, la casa è stata affittata per vent’anni e poi, una volta in pensione, la mamma a sorpresa si è raddolcita, e finalmente ci si sono trasferiti loro.
Ma papà – decido di insistere – in televisione sembra che stia prendendo davvero una brutta piega, cosa farai se alla fine…
Accenderò gli irrigatori.
Sei serio?
In garage ho anche un estintore.
Un estintore.
Mi sono trovato davanti ai carri armati siriani durante la guerra del Kippur, figlio. Pensi che possa aver paura di un po’ di fuoco?
La mamma ha paura!
Che se la tenga!
L’hai sentito? Dice quando lui le passa la cornetta. Lo capisci con chi ho a che fare?
Ti vengo a prendere, mamma, le dico. Se esco adesso, tra venti minuti sono da voi.
Hanno bloccato l’accesso alla zona, mi risponde. Non lasciano entrare nessuno, solo i veicoli del comune.
Passo dal basso, dallo sterrato.
Lascia perdere, figlio mio.
Ma perché? Perché lasciar perdere?
Perché non lo pianto qui da solo.
In televisione la faccia del conduttore si fa ogni momento più seria. Adesso mostrano il bosco che brucia dall’alto, ripreso da un multirotore. È il paradiso della mia infanzia. Ogni sabato andavamo lì a fare passeggiate. Lì ogni anno il Giorno dell’Indipendenza i miei genitori e i loro amici festeggiavano con un barbecue. E noi bambini giocavamo a nascondino e a «ce l’hai» tra gli alberi che adesso crollano uno dopo l’altro, divorati dalle fiamme.
Un esperto di estinzione incendi, mostrando una mappa gigantesca dell’area, stima che la distanza fra le fiamme e le case del quartiere vicino al bosco al momento sia di poche centinaia di metri.
Mamma, dai, ti scongiuro. È da irresponsabili. Siete irresponsabili.
Sento mio padre che grida qualcosa in risposta.
E poi mia mamma che ride.
Cos’ha detto? esigo di sapere.
Che ti lascia in eredità la sua poltrona da televisione, ridacchia.
Digli che non mi può lasciare qualcosa che sta per andare in fumo! mi irrito.

*

Qualche giorno più tardi i miei genitori invitano tutta la famiglia per cena il venerdì sera, come al solito. Nell’aria ristagna ancora un forte odore di falò. Mi penetra nelle narici mentre cammino dal parcheggio alla porta d’ingresso. Dopo il dessert, mamma mostra ai nipoti alcuni video dell’incendio che ha filmato dal terrazzo. E papà racconta le gesta eroiche del nonno e della nonna che non hanno abbandonato la casa mentre le fiamme si avvicinavano, e del forte vento dell’est che ha preso a soffiare al levar del sole – soffia sempre al levar del sole – e le ha respinte lontano.

(Traduzione di Raffaella Scardi)

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