Mostre 2021: Painting is back. Anni Ottanta, la pittura in Italia

Una mostra per spiegare alla Gen Z che cosa sono stati gli anni 80, nel mondo dell’arte. L’idea di Luca Massimo Barbero – al suo nuovo incarico di curatore associato delle collezioni di Arte Moderna e Contemporanea di Intesa Sanpaolo – è questa: raccontare, avendola vissuta, tutta la leggerezza, la libertà e la voglia di sperimentare di un periodo (neanche un decennio, forse solo alcuni anni, dal ‘77 all’84) in cui essere artista in Italia voleva dire pranzare con Andy Warhol a Napoli, chiacchierare con Basquiat a Modena, volare da una città di provincia per esporre a New York. Essere fieramente provinciali e al tempo stesso internazionali, grazie alla convinzione che divertirsi non significa non esser seri.

Mostra Painting Is Back, anni ottanta la pittura in Italia

Mimmo Rotella, Pittura, 1990

Nicola Marfisi

Non stupisce – lo ha detto lo stesso Barbero – che i ventenni siano già in coda con le prenotazioni per questa ‘Painting is back. Anni Ottanta, la pittura in Italia’ che apre il 2 giugno alle Gallerie d’Italia di piazza Scala a Milano: un luogo che parrebbe fatto per intimorire il visitatore (edificio austero, collezione bancaria importante, affreschi sulle volte e marmi ovunque) e che invece, grazie a questa collettiva, si riempie di intelligente vitalità.

«Parlare degli anni 80 è come cuocere un uovo su un vulcano», dice Barbero e come dargli torto? Da qualche parte però si può, anzi si deve cominciare e questa corposa mostra (concedetevi un paio d’ore per la visita: le sale sono dense) si apre su alcuni paradossi. A partire dal titolo: perché Painting is back se la pittura in Italia mai è andata in pensione? E ancora: perché l’inglese, in una collettiva tutta italiana? E infine: se di pittura si discute perché, varcato il salone d’onore, la prima cosa che vediamo è la video-installazione dello Studio Azzurro? Si tratta de ‘Il nuotatore’, un’infilata di 25 monitor perfettamente sincronizzati sulla nuotata, con i pixel di metà degli anni Ottanta che oggi paiono pittura pastello se paragonati alla perfezione lucida del digitale.

Mostra Painting Is Back, anni ottanta la pittura in Italia

“Il nuotatore”, Studio Azzurro, parte della mostra “Painting Is Back, anni ottanta la pittura in Italia”

Nicola Marfisi

Gli anni Ottanta furono un affare complesso (“Che cosa resterà…” si domandava, cantando, qualcuno) e sbagliato sarebbe derubricarne l’estetica a mero edonismo e superficialità. Dalla fine degli anni Settanta a metà degli anni Ottanta ci fu una generazione di artisti italiani che provocatoriamente intese l’arte come «capacità felice e rapace di dipingere il mondo» e che, grazie a questo atteggiamento, ottenne presto fama e attenzione anche all’estero. In Germania ad esempio, tanto che nel dicembre del 1982 il “New York Times” rilevò piccato the Italians turn up everywhere” (come a dire che i nostri artisti si stavano divorando la scena).

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Mario Schifano, Osservatorio, 1985. Acrilico e smalto su tela, 300 x 400 cm

Certo, molto del merito si deve ad ABO Achille Bonito Oliva che aveva lanciato dalle pagine della rivista Flash Art la cosiddetta Transavanguardia, ma non solo. In mostra ci sono alcune grandi tele di Mario Schifano, vera rockstar dell’arte che dipingeva in poco tempo lavori enormi, i paesaggi siciliani di Salvo, le pitture multietniche di Aldo Mondino (oggi in forte rilancio sul mercato) e quelle esotiche di Luigi Ontani, i rebus di Mimmo Paladino e poi ancora i neon di Mario Merz che paiono dialogare con l’installazione di Studio Azzurro, le visioni erotiche di Carol Rama, i ritratti pensosi di Francesco Clemente. Tra le sale più riuscite quella con i dipinti di Mimmo Rotella, Valerio Adami, Emilio Tadini. La più intensa? Il salone finale, dedicato a Enrico Baj, con quella tela lunga 20 metri, Il mondo delle idee, che interpreta alla perfezione lo spirito del tempo. Tra le figure più affascinanti che si incontrano lungo il cammino c’è l’anconetano Enzo Cucchi, classe ‘49: sulle sue Stimmate la mostra si apre e il suo Piccolo personaggio marchigiano, con tutto quel tripudio di giallo, è uno dei passaggi più godibili dell’esposizione. La geografia delle opere ci mostra un’epoca in cui il sistema dell’arte univa le grandi gallerie di New York e Zurigo a Modena, Napoli, Torino, Milano: mai la provincia italiana fu così attiva, vitale, osannata, fiera. Si viaggiava, si osava, si sperimentava: l’arte era (anche) uno strumento per superare il perbenismo. Formidabili, quegli anni.

In apertura: Valerio Adami, La casa più bella del mondo.

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Gino De Dominicis, Gilgamesh, 1986. Tempera su tavola, 88,80 x 117 cm