Un’antologia di collage messi insieme in forma espositiva in cui tutto sembra tenersi per mano prima di concludersi in una stanza su Napoli. La personale di Cherubino Gambardella trasporta la sua ricerca di una città ideale all’interno del Cortile del Belvedere di Palazzo Reale di Napoli, dove prende vita Panorami apocrifi, un’esplorazione di collage e visioni architettoniche che sfidano la realtà.
Architetto, professore, disegnatore, saggista, collagista, partenopeo, Cherubino Gambardella espone 44 pannelli che raccontano 20 anni di produzione artistica, incastonati in una carriera professionale che ne conta 35. L’autore attinge alla sua formazione nella città barocca di Napoli, con richiami alla tradizione e alla contemporaneità, e si avventura in un gioco di interazioni e di sovrapposizioni che è un inno all’esuberanza creativa.
Diretta dal soprintendente Mariano Nuzzo, l’esposizione inaugura i nuovi spazi espositivi della Soprintendenza per l’Area Metropolitana di Napoli, dedicati alla memoria di Giovanni Carbonara, grande interprete del restauro italiano, con l’installazione curata da Cherubino Gambardella, insieme a Luigi Arcopinto, visitabile fino al 4 aprile.
«Quasi mai questi collage esposti si legano ad architetture che avrei dovuto costruire», racconta Gambardella. «Con esse hanno un rapporto al quale ho solo accennato in altri scritti ma che, in questa occasione, mi spinge a scavare nel profondo, sulla scia dell’azione precedente al combattimento di una falange armata, che ha bisogno di evocare gesta eroiche e simboli potenti per guidare la propria condotta verso un auspicabile successo».
La ricerca parte dal concetto di verosimile che ha il dominio potente di concedersi le licenze poetiche che la realtà gli nega. Il risultato è una polis di figure che generano un grande affresco policentrico, in cui «Quel che si persegue non è la completezza della scena ma il dare corpo agli intrecci, alle strutture, ai rimandi che in essa sono presenti sotto la traccia o in controluce», scrive Sara Marini.
Questi lavori, che si snodano tra le pieghe di un tempo contemporaneo dilatato, citando l“eterno presente” di Siegfried Giedion, mettono in scena città impossibili, rappresentazioni archeologiche di tessuti edilizi remoti su cui risaltano immagini di fantasia. Qui il disegno ha la dimensione autonoma che gli è stata negata dal progetto. In una costante ricerca di un posto, di un luogo verosimile, che facesse dal punto di partenza, Gambardella ribalta i piani sintattici di resistenza delle sue architetture.
Architetture sorridenti, come ne scrive Luca Molinari in cui «Ogni disegno è una rovina, ogni rovina è un montaggio di memorie liberate, impertinenti; ogni montaggio è un inno alla creazione e l’invenzione incosciente e colta insieme». È l’idea di uno smisurato tempo contemporaneo come teatro di ogni personale azione.
Non è un caso stupore e meraviglia sono fondamentali nella personale interpretazione di Gambardella, influenzata dalla pittura di Alberto Savinio come dall’architettura di Aldo Rossi, e dalle forme del gruppo Morphosis, che hanno impresso il segno anche nell’idea di una sgradevolezza del suo mondo. La traiettoria che propone è pittoresco-pop, governato dall’apparente semplicità dei segni. Come le ombre, proiezioni astratte che appaiono nei disegni, sono deliberatamente inesatte perché il fine non è quello di creare una figura esattamente rappresentata, ma piuttosto creare una vibrazione tonale continua di ciò che è tracciato, al fine di renderlo vivente e pulsante.
La linea d’orizzonte è l’ossessione del Mediterraneo, su cui si riproducono architetture da leggere a una velocità accelerata. Ogni collage, disegno e montaggio diventa un laboratorio di architetture dell’assurdo, apparizioni di città immaginarie tra corpi e monumenti che si sedimentano felicemente sui fogli di carta.
L’esposizione si conclude affacciati alla finestra più bella su Napoli, con una piccola e complessa architettura in bilico tra disciplina artistica e costruttiva. Lo spazio, come un salotto che può essere trasportato, cattura lo spirito di un interno tipicamente napoletano. «Mi porto a casa Napoli, ma una Napoli che mi appare in una stanza», ne scrive l’autore. Presentando un gioco di angolature – un angolo dentro ed un angolo fuori, un angolo concavo ed un angolo convesso – l’installazione diventa un frammento trasportabile della città stessa, un omaggio alla sua capacità di essere contemporaneamente città esotica, aristocratica e popolare.
Tra strati, tagli, sovrapposizioni ed intersezioni, i Panorami Apocrifi di Gambardella non cercano una legittimazione ufficiale, ma trovano la loro realizzazione nell’atto stesso di avvicinarsi all’arte del progetto architettonico, in un susseguirsi aritmico di segni e di vedute non canoniche. Il contrappunto necessario alla pratica architettonica convenzionale, e che si offre come uno spazio di libertà in cui le idee possono appendersi.
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