Igort: “Disegnare è mettersi nei guai”

Igort: “Disegnare è mettersi nei guai”

Disegniamo un viaggio. Disegniamolo bene, altrimenti la gente non lo leggerà. Ce la stiamo mettendo tutta, sì, a pensare e creare il nostro racconto di oggi, un disegno colto e appassionato, un disegno profondo e attento, che sa. Se siamo tutti così sensibili e profondi, abbiamo letto Josè Munoz, Hokusai, Tarkovskij; abbiamo apprezzato i “colori sgargianti, la foresta delle macchie, l’Impressionismo, l’Espressionismo, il cubo-futurismo o l’inespressionismo, l’olio, l’acrilico, le matite colorate, la grafite, i carboncini, i gessetti, gli acquerelli, le ecoline, i Radiant, i colori a cera, gli smalti; conosciamo le lingue e viaggiamo con tracolla e infradito. Tutto abbiamo in comune con l’estetica integrata di Igort.

Igort

I disegnatori come Igort sono come dei maghi, negromanti della narrazione visiva, contesi ed amati, spesso illuminati dal “Grande Cinema”. Attraverso il linguaggio del fumetto, fisicizzano la fantasia e la mente si evolve, così come è stato finora. Anche in questo mondo, quindi, in cui i terabytes di informazione, le macchine, gli orari di lavoro sono sempre di più e più veloci, gli Igort sono. Noi, o molti di noi, facciamo finta di non vederli, non riusciamo a ben percepirli profondamente, eppure essi sono, anzi egli è: Igor Tuveri.
Carlo Michelstaedter pensava che alla Persuasione si arrivasse percorrendo il labirinto della Rettorica, come dire che, deposta ogni falsa dialettica, l’artista dovrebbe fare perno su una ragione implacabile nella tensione verso l’autentiticità dell’arte e delle cose. Poiché la rettorica è continuamente in agguato – onnivora e metamorfica – al disegnatore alla Igort spetta, comunque, il compito di resistere a quanto tenta di ricacciarlo nell’informità ottusa e paga di sé. E allora, dice Igort, “disegnare è mettersi nei guai”. La storia di Igort, pur essendo diventata materia proverbialmente popolare, reca in sé i segni di infinite stratificazioni culturali. E non tutte rintracciabili soltanto nel libro attuale, anche se è proprio in questo libro che fiorisce il disegno originario di questo artista totale.
Figura chiave del panorama artistico multimediale italiano e internazionale, Igor Tuveri è un disegnatore, sceneggiatore, regista e musicista, arrangiatore ed autore che ha esordito in moltissime produzioni a partire dagli anni ’70 ad oggi. Ha iniziato collaborando a numerose riviste italiane, tra cui Linus (di cui oggi è il direttore) Alter, Frigidaire, Metal Hurlant, L’Echo des Savanes, Vanity, The Face.

Igort, da “Inchiostro su carta”, Oblomov

Il suo ultimo libro: Inchiostro su Carta/Art Book (Oblomov, ed. 2021) è insieme una sintesi ed un percorso attraverso quegli anni magici che da Goodbye Baobab (con Daniele Brolli, Rizzoli, 1984) giunge fino ai Quaderni Giapponesi (vol. 1, Un viaggio nell’impero dei segni, Oblomov, 2020; Vol. 3 Moga Mobo Mostri, Oblomov, 2020), una piccola enciclopedia di Igort par Igort (Fragment d’un discours de dessin). Sono i disegni, i personaggi che amiamo, i veri protagonisti di questo Art Book, visti da dentro al dialogo diretto col proprio di-segno, quasi trasversalmente, incontrati, sfiorati e poi sovvertiti. Ognuno di loro lascia, però un nuovo di-segno, nella vita e nella carriera di Igort come in quella di chi legge e fruisce le loro espressioni. Ogni tratto di That’s all Folk (1993), Cartoon Aristocracy (1994), Perfetti e Invisibili (1996), Brillo (1997), Sinatra (2000), Maccaroni Circus (2001), Yuri (2003), Casinò (2007), Parola di Chandler (2011), Kokoro (2019) è accompagnato da una singola, sintetica ma efficace, allegoria dell’autore, riguardo al disegno e al ricordo che ne è rimasto in altro viaggio e in un’altra rivelazione. Memorie dense, a volte dentro l’atmosfera del proprio inchiostro, a volte semplici indizi, sempre filtrati dal disegno dell’autore, lasciano al lettore compilare un mosaico di medialità ed espressione, costellato di indizi storici di quello che era il panorama visuale e tecno-narrativo della mia generazione. È quindi un piacevole viaggio e una sorpresa incamminarsi nella letteratura e nell’immagine di questa sua “ontologia grafemica”, dove si scopre quanto il dialogo col “disegno e il disegnato di sé”, animi un vero percorso interiore di fascino e di bellezza, con la storia movimentata e irrequieta di Igort. Il libro è una lettera aperta al “vampiro che guida la sua vita, che regala notti insonni, dormiveglia pieni di quel brusio incessante che risuona nelle orecchie e porta soluzioni inattese”.

Cover Inchiostro su carta

È questo il dono della maturità, il lascito più importante per una “nascita continua” dei propri “drawing trip”, ormai grandi e consapevoli, all’esistenza adulta: farsi cioè conoscere come disegnatore e progettista totale, con la propria storia, con le gioie e le sofferenze che l’hanno segnata e con l’energia delle proprie scelte che, se dapprima sono state sottoposte a giudizi sui generis, possono essere ora rivelate alla diversa luce della maturità e dell’esperienza. Un’occasione per la catarsi, insomma, perché comunicare è mostrarsi nella verità dei sentimenti autentici del disegno: di per sé “la carta è una febbre – scrive Igort; una febbre che viaggia nelle mie valigie, mi fa compagnia e raccoglie le idee, aiuta a ordinarle e a renderle visione”. Ed è questo amare senza riserve il linguaggio del fumetto quasi una chiave poetica, che non divide l’amore per i viaggi e per le storie da quello per il rischio, vissute anch’esse come occasione per dare e ricevere affetto, in una summa finale che vuole esprimere il significato raggiunto dalla medialità. Il tutto in una modalità espressiva semplice e diretta, dove il segno parlato da una pratica trasversale diventa per questo ancora più incisivo e poetico per la disarmante capacità di comunicare l’essenziale. Si tratta di un denso, intersecato e vorticoso raggrumarsi e dilatare, un intarsio fitto e fluido, di metafore disegnate e di similitudini allegorizzate, in cui l’una rilancia e funge da volano all’altra, secondo una tecnica “mediale immersiva”.

Inchiostro su Carta, Igort

La prima e l’ultima immagine sembrano potersi saldare a un comune denominatore: il disegno come viatico e alba della creazione e della luce. Quello di Igort è un disegno innervato e pervaso di ferite, piaghe, rovine e ricostruzioni, sanguinolento, nebuloso, effuso di eros e thanatos. Ennesima inversione della simbolizzazione naturale-tradizionale della primavera e del sorgere della luce dell’acquerello, essa ricorda l’incipit delle ecoline. Sono immagini in cui delicatezza e crudeltà, rivolta e acquiescenza, pulsione e rimozione, medialità e contromedialità, memoria e desiderio, caos e cosmos, gli elementi della natura Occidentale ed Orientale, si sovrappongono. È una visione al limite dello spettacolare e dell’apocalittico, di cui non mancano alcuni degli ingredienti fondamentali: sangue, tensioni, ombre, il ridestarsi, la commistione dei generi e dei mondi. Indizi di rêverie di-segnata sono diffusi in tutta l’opera fumettistica e cinematografica di Igort, ma essi trovano in alcuni set e in alcune scene momenti e passaggi di una più cospicua fedeltà e meticolosità. Non privo di richiami possibili ai suoi riferimenti storici, la dissoluzione come inclinazione naturale del tempo rappresentato dal disegnare incessante, ineluttabile e inarrestabile, avviene senza scoppi di nuovi Freaks. Disegno senza ostentazione ideologica o impuntature polemiche, in cui la sordina dell’understatement, spesso ironico, non impedisce di cogliere, semmai intensifica, la denuncia della crudeltà dell’esistere, del male di vivere del nostro tempo, e pone una veritiera, inevasa istanza di amore per la risoluzione del di/segnato.

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