Il “Cuaderno C” di Goya: intervista a José Manuel Matilla Rodriguez

Il “Cuaderno C” di Goya: intervista a José Manuel Matilla Rodriguez

Il Museo del Prado e la casa editrice Skira sono protagonisti di un interessante progetto editoriale con la pubblicazione del “Cuaderno C” di Francisco Goya (1746-1828), un album di disegni conservato praticamente intatto (120 sui 133 originari), un unicum nella produzione dell’artista. Il libro, pubblicato in edizione italiana, spagnola, francese, tedesca e inglese, consta di 306 pagine (130 immagini), è in formato 16,5 x 25,5 cm cartonato e ha un costo di 40 euro.

Ne abbiamo parlato con Josè Manuel Matilla Rodriguez, curatore senior del Dipartimento dei disegni e delle stampe del Prado, nonché autore del saggio che accompagna questo importante lavoro.

Può raccontarci la genesi dell’idea che ha portato alla pubblicazione del “Cuaderno C” e qual è la sua importanza?

«L’origine della pubblicazione si rintraccia nello studio che il team del Museo del Prado sta realizzando per la stesura del catalogo ragionato dei disegni di Goya e nella mostra sugli stessi che presenteremo al museo in occasione del secondo centenario. In questa occasione esporremo tutti insieme i disegni del Cuaderno C e abbiamo visto che era fondamentale guardarli e leggerli come un libro, pagina per pagina, per comprenderne le sequenze. Il fatto che il quaderno si conservi così integro, e nella stessa istituzione, è un evento eccezionale nell’opera di Goya».

Il “Cuaderno C” è una raccolta di disegni relativi agli anni che vanno dal 1814 al 1823: che periodo è questo per la vita e per l’arte di Goya?

«È un periodo di enorme importanza personale per l’artista, poiché in seguito all’arrivo del re Ferdinando VII, ha quasi messo da parte la sua attività come pittore ufficiale di corte per dedicarsi quasi esclusivamente ai suoi progetti, tra i quali il disegno e l’incisione occupavano una posizione prioritaria».

Goya è un artista complesso che, come lei scrive, ha prodotto un’opera che abbraccia scenari artistici eterogenei: in effetti qui è molto diverso sia da quello degli inizi, con le giovanili suggestioni tiepolesche, sia da quello degli incarichi ufficiali per la corte. Forse anche dai “Capricci”, seppur in misura minore. Si può ravvisare un cambiamento stilistico anche all’interno dello stesso “Cuaderno C”, considerando il lasso di tempo abbastanza lungo (9 anni) per un artista come lui, sempre in continua evoluzione?

«Goya è un artista di enorme coerenza formale e concettuale durante tutta la sua carriera. Nel suo lavoro non ci sono interruzioni, ma evoluzioni e transizioni che ci permettono di vedere sempre la sua mano e il suo pensiero. Nel “Cuaderno C” troviamo lievi modifiche tecniche legate a cambiamenti tematici, mantenendo però un’unità formale e soprattutto di pensiero, poiché in tutti i disegni soggiace la rappresentazione degli emarginati e degli abusi presenti nella società».

Questi fogli sono una straordinaria rappresentazione di umanità varia, sofferente, oppressa, emarginata, vessata: una riflessione personale di Goya che, per quanto riferita a una preciso contesto politico e sociale, presenta caratteri di universalità ed è attualissima ancora oggi. Quali sono secondo lei gli aspetti principali della modernità di questo artista?

«È esattamente questo il valore atemporale dell’opera di Goya. Nel suo lavoro è presente l’essere umano, indipendentemente dal tempo specifico in cui si trova. Le persone e le situazioni che mostra nei suoi disegni sono molto simili a noi che viviamo nel XXI secolo. Cambiano le apparenze formali, però nell’essenza siamo uguali, con gli stessi vizi e le stesse virtù, con le stesse preoccupazioni e divertimenti, con lo stesso spirito acritico e oppressivo. Se un artista è moderno lo è perché parla ai suoi contemporanei, e questo è quello che fa Goya, parla ai suoi contemporanei, che sono quelli che oggi lo guardano e si identificano con le sue riflessioni».

Una parte dell’umanità che descrive Goya in questi disegni sembra idealmente parente di quella raffigurata da Tiepolo nelle serie di incisioni dei “Capricci”. Un’altra parte invece – rappresentata con uno stile vicino alle caricature – ricorda quella raccontata da Pier Leone Ghezzi: quali sono i rapporti del Goya del “Cuaderno C” con l’arte italiana?

«Goya è, come tutti i grandi creatori, una persona capace di assorbire il mondo che lo circonda: immagini, letture, vita quotidiana. Goya aveva, come tutti gli artisti con una certa formazione, familiarità con le stampe, e indubbiamente quelle di Tiepolo ebbero un’incidenza nella sua opera. Non solo per l’uso dell’acquaforte, ma anche il concetto di serie, la presenza della firma dell’artista sulle incisioni, l’apertura all’immaginazione e la fantasia. Anche il viaggio in Italia che intraprese da giovane segnò la sua parabola artistica ampliandone il panorama creativo: la conoscenza diretta della pittura dei grandi maestri, lo studio della scultura classica e la vita di strada, sono indubbiamente esperienze che segnarono il suo futuro artistico».

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