“Il mondo di Sofia”: Jostein Gaarder racchiude la filosofia in un romanzo

“Il mondo di Sofia”: Jostein Gaarder racchiude la filosofia in un romanzo

«Per Sofia la filosofia era terribilmente eccitante perché riusciva a seguire tutto con la propria testa, senza essere costretta a ricordare quello che aveva imparato a scuola.
Giunse così alla conclusione che in realtà la filosofia non è qualcosa che si può imparare:
si poteva invece imparare a pensare filosoficamente.»

 Il romanzo Il mondo di Sofia, di Jostein Gaarder, pubblicato per la prima volta nel 1991, e nel 1994 in Italia, può considerarsi una vera e propria rivoluzione nel panorama filosofico. In quel periodo erano infatti pochi i testi che rappresentavano la filosofia nel modo accessibile con cui lo fa questo romanzo. Il mondo di Sofia è stato tradotto in circa 15 lingue e dopo tanti anni continua a riscuotere un enorme successo. Il motivo? L’approccio alla filosofia tramite la forma del romanzo e un uso del linguaggio semplice, ma non banale, permette di creare un ponte fra tutti quelli vogliono conoscere il perché delle cose, e la filosofia stessa.

Costituito da 35 capitoli, il romanzo di Gaarder racchiude circa 2000 anni di filosofia. Correndo su due binari, questo libro intreccia la storia della filosofia a quella della protagonista del racconto. Sofia, nome scelto non a caso, si trova quotidianamente a ricevere delle lettere da un certo Alberto Knox, un personaggio avvolto dal mistero che, in queste lettere, lascia Sofia sempre con un interrogativo. La giovane protagonista si trova a vivere così due misteri: quello nascosto dietro la persona di Alberto e quello della filosofia. Partendo dai primi che iniziarono a fare filosofia, incontriamo poi Socrate, Platone, Aristotele, Hegel e via via sempre più nomi, pensieri, ma soprattutto domande.

L’espediente letterario di Gaarder permette al lettore di intervallare la “lezione” di filosofia attraverso l’avvincente vicenda di Sofia e le lettere misteriose dense di domande che, in un primo momento sembrano buffe o banali, ma poi rivelano profondi significati. «Chi sei?» è tra le domande con cui Sofia si trova a scontrarsi, con cui tutti noi, almeno una volta nella vita ci scontriamo. Grazie a questo interrogativo, Sofia comincia ad esplorare il suo mondo, quello interno, quella della sua anima, che si intreccia inevitabilmente con quello esterno. Vediamo così il personaggio, o per meglio dire l’identità di Sofia, crescere insieme alle pagine del romanzo. La sua identità prende forma e lo fa anche partendo da queste domande filosofiche che insinuano dentro di lei il dubbio. Di che dubbio stiamo parlando? Quello che solo la filosofia è in grado di generare. Così come nel Mito della Caverna di Platone l’uomo che si è liberato insinua il dubbio su come il mondo appare a chi è rivolto verso la caverna con le spalle al mondo, allo stesso modo le domande che il mittente sconosciuto pone a Sofia, le permettono di cominciare a chiedersi perché.

Una tra le bellezze di queste pagine, è il fatto che emerge come le domande, seppur complesse e articolate, non ricerchino delle risposte altrettanto complesse e articolate per essere esaustive. La filosofia ha un carattere inclusivo che non pretende necessariamente complessità, ma onestà intellettuale. Il focus del sapere è infatti la verità. Definire questo testo un mero “romanzo” è sicuramente riduttivo, perché, oltre a narrare una storia piena di colpi di scena, è anche un romanzo storico e un compendio di filosofia.

Lo scrittore de Il mondo di Sofia riesce a tirare fuori tutta la potenza della filosofia, una potenza che non si traduce in violenza o voglia di prevalere, ma in libertà di pensare criticamente. Cosa ci chiede in cambio? La filosofia ci chiede solo di non farla morire schiacciata da un essere umano che accetta la realtà acriticamente senza più porsi nemmeno la domanda su chi sia lui stesso. «Un vero filosofo non deve mai arrendersi» dice Alberto a Sofia e ad oggi l’unico modo per salvare la filosofia è resistere di fronte i colpi di chi relega questa nobile arte ad un angolo, con la giustificazione che serve saper fare, non saper pensare, come se quest’ultimo possa essere messo in secondo piano.

Un fare senza pensare, in cosa si traduce?

Lascio ad ognuno di voi la risposta, con la speranza che segua un’altra domanda, e un’altra ancora, solo così potremo far (r)esistere la filosofia.

Vanessa Romani per ArtSpecialDay

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