Il pARTicolare. La Battaglia dei Centauri di Michelangelo

Il pARTicolare. La Battaglia dei Centauri di Michelangelo

“I grandi artisti non hanno mai fatto che un’opera sola.”

M. Proust (1871 – 1922)

“Michelangelo fece in un pezzo di marmo datogli da quel signore la battaglia di Ercole coi centauri, che fu tanto bella che talvolta per chi ora la considera non par di mano di giovane, ma di maestro pregiato e consumato negli studi e pratico in quell’arte.”

G. Vasari (1511 – 1574)

Poco si parla della giovinezza di un artista. Lo si immagina sempre come un genio anziano, o adulto. Assoluto e distante dal mondo circostante. Un’aurea santa intorno a lui, o un fascino maledetto e impaziente. Pochi pensano che gli artisti, in realtà, abbiano avuto un’infanzia. E soprattutto, una formazione.

Michelangelo Buonarroti visse la sua infanzia nel giardino di Lorenzo De Medici a Firenze, contornato e stimolato dalla filosofia neoplatonica del tempo, dagli scritti di Ficino, dalle poesie del Poliziano e dai pensieri di Giovanni Pico della Mirandola. Il giovane artista, tra il 1490-92, realizza una delle sue prime opere. La Battaglia dei Centauri. Il soggetto narrato derivato da Hygino e Ovidio fu suggerito a Michelangelo dal Poliziano: Ovidio narra di come i centauri, divenuti ubriachi e libidinosi, rovinavano la festa di nozze dei lapiti da cui erano stati invitati, distruggendo tutto e rubando le loro mogli.

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Michelangelo Buonarroti, La Battaglia dei Centauri, 1492 ca., dettaglio

Ma qui, Michelangelo, cosa ci racconta?

Vi è lotta, potenza. La battaglia del corpo umano. Con molta difficoltà si riconoscono i lapiti (coloro che tengono in mano pietre per attaccare) dai centauri. Chi vincerà, non è chiaro come nella fonte letteraria. Tutti sono in rivolta. Tutti si ritrovano nella battaglia, nel dolore della scoperta. L’anima è in subbuglio, trema per liberarsi dal marmo. Chi si strappa i capelli, chi si difende la testa. Chi viene aggredito faccia a faccia. Chi di spalle. Contaminatio di Michelangelo in questa opera con i capolavori della scultura classica e a lui contemporanee (pensiamo ai bronzetti di Bertoldo di Giovanni). Ma soprattutto, un pensiero.

“I grandi artisti non hanno mai fatto che un’opera sola.”

In centro. Un giovane si erge. Un braccio in alto. Come a voler lanciare un sasso, un fulmine.

Un giudizio.

E lì, il giudizio è che non vince nessuno delle due fazioni. Solo la fantasia, l’estro, il coraggio della lotta.

Nel 1536 – 1541, dopo circa quaranta anni, Michelangelo nella Cappella Sistina realizzerà un Giudizio Universale nuovo, imprevedibile.

Michelangelo Buonarroti, Il Giudizio Universale, 1536 - 1541, dettaglio
Michelangelo Buonarroti, Il Giudizio Universale, 1536 – 1541, dettaglio

E il giovane centauro diventa il Cristo, che con quel gesto decide dell’umanità. Ma anche lì, non sarà chiaro chi vincerà. Chi saranno le anime beate o le anime dannate. Maria si nasconderà impaurita lei stessa dalla decisione del figlio. Anni della Controriforma, dell’amicizia con Vittoria Colonna, anni di religiosità ascetica e tormentata per Michelangelo. Lettere, poesie che raccontano i suoi sensi di colpa, le sue paure sulla predestinazione della salvezza.

Tutte paure e sensazioni che avevano spaventato i lettori dell’opera dell’epoca. Fruitori che decisero di attaccare per volgarità dei nudi, quando in realtà ciò che faceva paura del capolavoro di Michelangelo era proprio il suo tormento e il fuoco di una religiosità complessa.

Chi è vincitore? Chi è dannato?

Tutto è nascosto in quel gesto imperioso. Creato ai suoi vent’anni come ai suoi sessanta.

“I grandi artisti non hanno mai fatto che un’opera sola.”

Alla fine, chi vince, è solo il coraggio, la follia.

Il ritorno delle immagini. Il valore della fantasia. La sincerità dell’arte.

La  potenza della Creazione.

Federica Maria Marrella per MifacciodiCultura

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