Immersi nel gorgo della pittura: Lewis Hammond da Casa Masaccio

Immersi nel gorgo della pittura: Lewis Hammond da Casa Masaccio

Le espressioni somatiche dei nostri stati d’animo, nei momenti di sonno o di veglia, mentre abbracciamo qualcuno oppure mentre, in solitudine, siamo immersi nell’acqua, che sia quella di una vasca o di un mare. Come quella che inghiottì Flebas il fenicio, «morto da due settimane / Dimenticò il grido dei gabbiani, la profonda onda lunga del mare / E il profitto e la perdita», scriveva T.S. Eliot, nella memorabile, ispiratissima raccolta di The Waste Land. Ed è con questa immagine potente e drammatica di qualcosa che si è perso irrimediabilmente ma anche con il ritmo flessuoso scandito dal processo di recupero del ricordo, che si apre “While We Were Sleeping”, mostra di Lewis Hammond presso gli spazi di Casa Masaccio – Cento per l’Arte Contemporanea, a San Giovanni Valdarno. L’esposizione, la prima personale in un’istituzione museale dell’artista nato nel 1987 a Wolverhampton, sarà visitabile fino al 5 giugno 2021, compatibilmente con le norme di sicurezza previste per il Covid-19.

Lewis Hammond Casa Masaccio

Attualmente tra Londra e Berlino, nelle sue opere Hammond rappresenta i diversi stati psicologici, estroflettendo molti aspetti del proprio vissuto per caratterizzare un tratto intensamente empatico. Intrecciando riferimenti storico-artistici con la cultura pop, Hammond costruisce mondi in cui i soggetti si ritrovano in una perpetua ricerca di auto-identificazione. Paesaggi immaginari e spazi architettonici ristretti evocano sensazioni di ansia e alienazione con la degradazione di corpi dalle connotazioni razziali e con paure e desideri.

«Molti dei miei dipinti rappresentano persone in uno stato di disorientamento mentre i loro corpi appaiono mutilati, moltiplicati o mutati. I corpi assorbono la violenza di un presente distopico e violento, di spazi omogenei e riduttivi nei quali gli individui si trovano in una perpetua ricerca di identità», ha spiegato l’artista.

Lewis Hammond Casa Masaccio

La sua mostra a San Giovanni Valdarno si è sviluppata a partire da un periodo di ricerca trascorso in Toscana lo scorso autunno, ospite dell’Artist-in-Residence-Program, studiando la ricchissima storia dell’arte del territorio, con epicentro proprio in Casa Masaccio, antica dimora di uno dei primissimi maestri del Rinascimento e, attualmente, parte del Sistema Museale del Valdarno.

«I versi di Morte per acqua da “La Terra Desolata” di T.S: Eliot, con le loro variazioni tonali e meditative, con i loro diversi registri espressivi, fanno da ideale struttura portante a tutto l’impianto espositivo e ci inducono a ripensare la nostra stessa mortalità», spiegano da Casa Masaccio. «Una sorta di presenza testuale continua questa che illumina lo sfondo delle immagini sciogliendosi in un movimento aforismatico, tra evocazione visionaria e iconicità scenica. Il concetto di trasformazione, dal fiorire all’appassire, dalla nascita alla morte, dal principio alla fine, e l’oscillazione tra queste polarità, struttura lo svolgersi della mostra. La rappresentazione si ambienta in paesaggi immaginari privi di presagi e nostalgia, interni asfissianti, notti buie e fiamme di vulcani, pece e fuoco e una terra che sta per essere sommersa da un diluvio rosso, come annotava Walter Benjamin definendo la sua poesia “veramente politica”», continuano.

Lewis Hammond Casa Masaccio

E infatti, la mostra ha visto la collaborazione del Black History Month Florence, rete inter-istituzionale nata nel 2016 per promuovere la produzione culturale “Black” e celebrare le culture afro-discendenti nel contesto italiano.

Flebas il fenicio, morto da due settimane,
Dimenticò il grido dei gabbiani, la profonda onda lunga del mare
E il profitto e la perdita.
Una corrente sottomarina
Gli spolpò le ossa in bisbigli. Mentre saliva e cadeva
Passò le tappe della sua vecchiaia e gioventù
Entrando nel vortice.
Gentile o giudeo,
O tu che giri la ruota e guardi sopravvento,
Considera Flebas, che fu alto e bello come sei tu.

T.S Eliot, “Morte per acqua” da La Terra Desolata (1922), trad. Massimo Bacigalupo

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