Jean de La Fontaine e il mondo delle favole
La Volpe e l’Uva
Una Volpe, chi dice di Guascogn,
e chi di Normandia,
morta affamata, andando per la via,
in un bel tralcio d’uva s’incontrò,
così matura e bella in apparenza,
che damigella subito pensò di farsene suo pro.
Ma dopo qualche salto,
visto che troppo era la vite in alto,
pensò di farne senza. E disse: – È un’uva acerba, un pasto buono per ghiri e per scoiattoli –
Ciò che non posso aver, ecco ti dono.
Jean de La Fontaine, Le Favole, Libro Terzo – XI
In molti conoscono questa favola, spesso ci è stata raccontata per insegnarci che nella vita chi non riesce ad ottenere ciò che desidera, tende a disprezzare l’oggetto bramato, a sminuirlo. Questa e tante altre favole, i cui protagonisti sono animali parlanti che incarnano i vizi e le debolezze tipiche degli esseri umani, sono state scritte da uno dei più grandi scrittori e poeti francesi di tutti i tempi, Jean de La Fontaine (Château-Thierry, 8 luglio 1621 – Parigi, 13 aprile 1695). Grazie ai suoi racconti e alle sue fiabe, era, nel XVII secolo, uno degli autori più ammirati e più letti.
La Fontaine nacque in una famiglia di estrazione borghese, suo padre era infatti il sovraintendente delle Acque e delle Foreste di Château-Thierry, carica che nel 1652 acquisterà lo stesso figlio, alla quale si aggiungeranno i terreni paterni dopo la sua morte. Il padre desiderava per lui una carriera ecclesiastica e benché inizialmente Jean cercò di assecondarne i desideri, dopo solo un anno e mezzo lasciò gli studi di teologia e cominciò a studiare diritto. A trent’anni il giovane La Fontaine era sposato e con un lavoro amministrativo che gli garantiva delle entrate, ma soprattutto che gli permetteva di dedicarsi al suo amore per la letteratura, approfondendo lo studio di scrittori francesi e italiani di età medievale, e gli scritti latini.
La prima opera di Jean de La Fontaine, pubblicata anonima nel 1654, fu l’Eunuco, ispirata a Terenzio; anche se non riscosse grande successo decise comunque di continuare a scrivere. Nel 1658 si trasferì a Parigi, culla della cultura classicista francese, e come tutti gli uomini di lettere che non possedevano ricchezze personali, La Fontaine sapeva di dover trovare un mecenate. Presentato al ministro delle finanze Fouquet, gli dedicò il poema eroico Adonis (1658) ispirato a Ovidio, ottenendone in cambio una pensione. Me nel 1661 Fouquet venne arrestato: ritenuto troppo ricco e potente, poteva rappresentare una minaccia per l’autorità del primo ministro Colbert e soprattutto per re Luigi XIV. La Fontaine prese coraggiosamente le sue difese, scrivendo L’Elégie aux nymphes de Vaux, ma questo lo fece cadere in disgrazia e dovette cercare un nuovo protettore. Lo trovò in Madame d’Orleans di Lussemburgo e in seguito trovò protezione in Madame de la Sablière. Nel salotto di quest’ultima poté frequentare Racine, Molière e Madame de La Fayette, segnando l’inizio di quello che sarà uno dei periodi più ricchi dal punto di vista intellettuale, tanto che nel 1683 La Fontaine verrà eletto membro dell’Académie Française.
La produzione di La Fontaine fu molto ricca e attraversò diversi generi: nel 1669 scrisse il poema Gli amori di Psyché e di Cupidon, riprendendo le favole d’Ovidio e di Apuleio, tra il 1664 e il 1671 pubblicò Racconti e novelle in versi, che traevano ispirazione dalle opere di Ariosto, Boccaccio e Bracciolini. In un’epoca in cui si prediligeva la distinzione dei generi letterari, La Fontaine praticò la commistione di stili, registri e forme, sempre alla ricerca di strutture nuove, rinnovate o ibride. All’usuale prosa, nei racconti e nelle favole, egli preferì la poesia.
Oggi Jean de La Fontaine è ricordato soprattutto per le sue Favole, ispirate dal favolista greco Esopo e dal latino Fedro, raggruppate in 12 libri: i primi sei, contenenti 124 favole, pubblicati nel 1668, cinque (89 favole) nel 1678-1679 e l’ultimo (27 favole), nel 1694.
Ritenuto spesso un genere inferiore, prettamente fanciullesco, la favola con La Fontaine raggiunse la grandezza. Con uno stile semplice, leggero e umoristico, posò uno sguardo lucido sui rapporti di potere e sulla natura umana, in secoli in cui a predominare era la “legge del più forte”. I suoi animali antropomorfizzati furono lo specchio di una società in cui primeggiava la cupidigia, la vanità, il capriccio, l’astuzia e l’opportunismo.
Sebbene il suo intento fosse quello di istruire, senza dimenticare di piacere, quella di La Fontaine una fu vera e propria critica, ma più che altro una malinconica rassegnazione su come va il mondo, moralista ma non moralizzatore, consapevole del fatto che ognuno di noi agisce secondo la propria natura e che questa è una forza difficile da controllare.
Gaia Del Riccio per MIfacciodiCultura
L’articolo Jean de La Fontaine e il mondo delle favole sembra essere il primo su Artspecialday.