La Cina e il terzo figlio: ma come si fa davvero una buona politica demografica?

La Cina e il terzo figlio: ma come si fa davvero una buona politica demografica?

La Cina autorizzerà le famiglie ad avere fino a tre figli. Dopo aver allargato a due i figli fra il 2013 e il 2016, finisce ora definitivamente la politica del figlio unico che esisteva dal 1979. Se allora era troppa la popolazione e con un tasso di crescita tanto elevato da frenare la crescita economica, adesso invece è l’invecchiamento della popolazione a far temere per l’economia.

«È una politica poco rispettosa dei diritti individuali perché è lo stato a decidere quanti figli può avere una coppia» spiega Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e Statistica sociale nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano. Difficile immaginare una politica del genere in un altro paese. «Allora la Cina superava il miliardo di persone, con gli under 25 che erano il 55% della popolazione e gli over 65 che non arrivavano al 5%. Questa scelta ha rallentato la crescita fermandola a un miliardo e mezzo. È servita dal punto di vista della crescita complessiva, ma ha portato un invecchiamento e uno squilibrio interno per le età: gli under 25 sono dimezzati e gli over 65 li superano».

Pochi giovani e tanti anziani è il problema che ha anche l’Italia senza aver applicato la politica cinese. «Ha ottenuto una riduzione della natalità, molto sotto i due figli per donna che mantiene l’equilibrio fra generazioni, non mettendo in campo politiche di sostegno alle famiglie» spiega Rosina. Quindi da noi aumentano le necessità e i costi di una popolazione anziani, diminuiscono invece le forze lavorative delle generazioni più giovani come in Cina.

Il passaggio chiave è il lavoro delle donne. «In una società che ha meno stabilità è importante che entrambe le persone in una coppia lavorino, ma questo si può fare solo se esistono servizi per l’infanzia, congedi parentali per entrambi i genitori equilibrati, welfare aziendali come il part time reversibile» spiega il demografo. Questi strumenti sono nel family Act, ma arrivano con anni di ritardo rispetto ad altri paesi. «Anche in Cina non basta dire: “Potete fare figli”. Servono misure di sostegno in particolare nelle grandi città dove aspettative e stili di vita sono simili a quelli del mondo occidentale. Su questo è ancora sguarnita». Sono aspetti economici, di conciliazione famiglia-lavoro, di servizi per l’infanzia.

Comune è il tema dell’invecchiamento della popolazione. L’Italia ha una longevità simile a quella di altri paesi sviluppati, ma una natalità molto più bassa. «A parità di un numero di anziani sempre crescente, noi abbiamo sempre meno giovani ed è difficile rendere sostenibile una società in cui aumenta la domanda di assistenza per gli anziani e diminuisce la forza lavoro, per di più in un paese con forte debito pubblico».

Il problema non è il diminuire della popolazione, ma l’aumentare di quella anziana. «Per questo dobbiamo anche aumentare la forza lavoro giovanile e femminile, unito al welfare, permette di formare famiglie e alle donne di conciliare carriera e maternità». I tempi però sono lunghi e l’Italia parte con anni di ritardo rispetto ad altri paesi che hanno applicato da tempo queste politiche.

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