Periferia di Milano, un mese fa. Fabiola (*nome di fantasia) è all’ottavo mese di gravidanza, vive in una casa popolare da sola perché il padre del bambino se n’è andato e i genitori sono lontani. Ha il Covid, confermato anche dal tampone. È debole, ha la febbre e una notte inizia ad avere le contrazioni, sente che è urgente, deve andare in ospedale. Conoscerà il suo bambino in isolamento, con la mascherina sul viso e i guanti protettivi, perché lui, a sorpresa, è nato negativo.
Bisogna scendere nelle profondità della propria immaginazione per riuscire a vedere la realtà che hanno vissuto – e vivono tuttora – alcune donne in attesa o madri di neonati in questi mesi di pandemia. Bisogna uscire dai propri riferimenti, dall’idea di una casa sicura, del lavoro in smart-working, delle lucine intermittenti dell’albero di Natale. Entrare in appartamenti occupati magari abusivamente, di pochi metri quadrati, e magari anche altri bambini a cui pensare.
Intercettare il bisogno delle donne più fragili.
Per fortuna qualcuno si è ricordato di queste donne, non ha avuto paura di bussare e tendere una mano. Sono i tutor e le operatrici del Progetto Per Mano di Save the Children e di QuBì, il Programma promosso da Fondazione Cariplo sul territorio di Milano per contrastare la povertà minorile. Due interventi sociali già attivi da anni che dallo scorso marzo hanno deciso di lavorare in sinergia per individuare le mamme in attesa o con bimbi neonati che avevano bisogno di un qualsiasi tipo di aiuto e offrire loro sostegno, servizi, assistenza. «Ci siamo accorti che serviva un’attenzione specifica sulle donne in gravidanza e sui loro bimbi», raccontano Giorgia Morera, referente milanese del progetto Per Mano-QuBì di Save the Children e Marta Falanga, che opera tutti i giorni sul campo come tutor. «C’è l’idea che quando una mamma diventa tale deve rispondere da sola ai bisogni del bambino, a prescindere dal suo stato psicologico e sociale. E infatti le donne non si legittimano neanche a chiedere aiuto, pensano di dover fare tutto da sole e di dover gestire le loro difficoltà pratiche ed emotive in silenzio. Così è nata questa idea di “prenderle per mano”, individuando quelle più fragili e offrendo loro una “presenza” telefonica, fisica, via Whatsapp, attraverso la quale indicare i servizi del territorio più adatti in base al bisogno. Perché diciamocelo: è un attimo perdersi in quei momenti tanto delicati che precedono e seguono il parto. Se non si interviene in maniera preventiva, alcune mamme possono andare davvero in crisi».
PARTORIRE CON POSITIVITÀ AL COVID
L’arrivo della seconda ondata, poi, non ha aiutato. Alcune donne si sono ammalate proprio come Fabiola e hanno affrontato il parto malate, in isolamento, perdendo il latte perché separate per giorni dal bambino per gli esami specifici legati al Covid, e magari al rientro a casa tenute anche lontane dai rispettivi compagni, perché negativi. In pochi hanno raccontato in questi mesi l’esperienza di partorire con il Covid, la solitudine delle donne durante le visite di controllo della gravidanza (dove non poteva essere più presente né il partner né un’amica, a volte necessari anche per facilitare la comprensione dell’italiano, se la mamma era di origine straniera). E nessuno ha mai sottolineato il rimpianto che hanno provato in tante nel vivere un momento tanto cruciale della vita in modo così asettico e distaccato, con il senso di colpa all’idea di poter contagiare il bambino. «Progetti come questo sono essenziali per evitare che alcune situazioni diventino gravi e irreversibili » aggiunge Elena Jacobs, responsabile Valorizzazione del Sociale di Intesa Sanpaolo, che è tra i partner finanziatori del Programma QuBì. « In questo momento storico abbiamo immediatamente capito che per proteggere i bambini dovevamo in primis pensare alle loro mamme, e non solo sul piano alimentare. I bisogni cambiano, e la sfida per noi è riuscire a coglierli in anticipo, sostenendo chi opera concretamente sul campo, tutti i giorni, a tutela dei più piccoli».
SENZA PAURA
Fabiola non aveva chiesto aiuto, all’inizio. Sono state le tutor di Per Mano-QuBì a scovarla e contattarla grazie alla rete di segnalazioni e al monitoraggio del territorio. L’hanno chiamata, le hanno chiesto di cosa avesse bisogno e hanno subito attivato tutte le risorse che potevano esserle utili: ostetriche del consultorio e specialisti da sentire, materiale sanitario per i primi mesi del bambino. La cosa che ripete più spesso oggi è: «non sono più sola». Avere un numero da chiamare e una voce amica disponibile al bisogno le hanno permesso di poter guardare la vita con speranza e il proprio figlio con l’amore che merita. Senza filtri. Senza paura.
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