La sindrome di Stendhal e quella di Parigi: analogie e differenze

La sindrome di Stendhal e quella di Parigi: analogie e differenze

La denominazione “sindrome di Stendhal” o “sindrome di Firenze”, in ripresa dell’autore che nei diari di viaggio Roman, Napoli e Firenze (non cercateli, sono fuori catalogo) descrisse per la prima volta l’estasi estenuante che gli sovvenne dinanzi agli interni di Santa Croce, fu coniata proprio a Firenze da Graziella Magherini. Psichiatra, lavorava presso l’Arcispedale Santa Maria Nuova di Firenze, e assieme ai suoi colleghi rimase stupita dalla serie di turisti (più di 100 casi) che, provenienti dagli Uffizi, arrivavano all’ospedale più vicino (l’Arcispedale, appunto) in preda a una serie di scompensi psicosomatici:

  1. crisi di panico e ansia somatizzata (con allucinazioni uditive, fenomeni illusionali e cenestofrenie, dove i soggetti accusano improvvisamente palpitazioni, difficoltà respiratorie, malessere al torace, la sensazione di essere sul punto di svenire e conseguentemente lo sviluppo di un vago senso di irrealtà, ansia libera o situazionle. Tali condizioni portano ad avvertire un improvviso bisogno “di casa”, di tornare nella propria terra, di parlare la propria lingua. Le altre due tipologie sono invece più serie.
  2. disturbi dell’affettività:  stati di depressione (con contenuti olotimici di colpa e di rovina) – crisi di pianto, immotivati sensi di colpa, senso di angoscia- o all’opposto con stati di sovraeccitazione – euforia, estasi, esaltazione, assenza di autocritica
  3. disturbi del pensiero: alterata percezione di suoni e colori e senso persecutorio dell’ambiente circostante, sensazione di città incombente, quasi nemica, come se si sentisse perseguitato non già da un’entità, ma dalla città stessa. A differenza della altre due tipologie, questa si manifesta frequentemente in persone con precedenti di scompenso psicologico, che, tuttavia, si trovavano prima della partenza in uno stato di benessere.

Curiosamente, mentre a Firenze continua ad accadere tutto ciò (l’ultimo caso nel 2019), a Parigi compare la stessa sintomatologia ma con eziologia agli antipodi. Se la città del Magnifico letteralmente sconvolge l’animo e proietta i disagi nel fisico per via delle avance in marmo verde di Prato che costituiscono il suo scheletro architettonico, la Ville Lumière lascia esterrefatti perché disillude le aspettative. A Firenze sembrano essere colpiti in prevalenza turisti di sesso maschile, di età compresa tra i 25 e i 40 anni, stranieri (provenienti dall’Europa Occidentale o dal Nord-America) con un buon livello d’istruzione, secondo gli studi del medico Hiroaki Ota, a Parigi i turisti più colpiti dalla sindrome, che sviluppano una vera e propria dissonanza cognitiva tra le aspettative e la realtà, sono giapponesi.

Visto il numero consistente di casi, è stato istituito un numero verde da contattare in caso si venga colpiti dalla sindrome di Parigi.

La motivazione sembra dipendere dalla rappresentazione mentale che i visitatori del Sol Levante si sono costruiti: la città di Chanel, Louis Vuitton e del Favoloso mondo di Amelie si presenta invece come sporca, e in alcune zone pericolosa. E mentre la vie en rose non spande le dolci note sulla Tour Eiffel, un giapponese fatica a integrarsi con i ritmi e i modi di fare francesi, che divergono molto dalla cultura giapponese. Il dato certo è che l’arte, nel bene o nel male, conserva qualcosa che è in grado di irradiare i sensi e portarli a uno sfinimento.

Per eccessiva bellezza o per disadattamento delle congetture di partenza, in ogni caso c’è una sintonia perturbatrice (che alcuni neurologi o professionisti specializzati nella recente branca della neuroestetica spiegano tramite i neuroni specchio) in grado di sorvolare l’ala di Thanatos e giungere oltre. All’essenza stessa del piacere, dello sconvolgimento, del disvelamento senza veli, dell’animus o anima junghiana, del punto F di cui parla Graziella Magherini: comunque la si voglia chiamare, la sindrome di Stendhal così come quella di Parigi testimoniano il ruolo eterno della bellezza empatica tra il creatore- così consacrato alla non-morte spirituale- e l’osservatore, adulatore e erede suo malgrado di una bellezza al contempo primordiale ed eterna. Sembra un paradosso, e forse per questo lascia molti senza parole.

Isabella Garanzini per MIfacciodiCultura

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