L’arte di legare le persone

L’arte di legare le persone

Questo articolo è pubblicato sul numero 7 di Vanity Fair in edicola fino al 16 febbraio 2021

La cosa più brutta che ci sia è il dolore inutile. «Dolore che non insegna, non rigenera, non rinnova. Non dolore di crescita ma di prigione». Il dolore psichiatrico è così. E «Se non hai mai provato il dolore psichiatrico non dire che non esiste. Ringrazia il Signore e taci».
I virgolettati vengono dal libro di Paolo Milone L’arte di legare le persone (Einaudi). Un libro che mi ha trafitto e rapito per la sua umanità e autenticità oltre che per la sua meravigliosa scrittura diretta, croccante, poetica.
Milone è uno psichiatra che ha lavorato quarant’anni nella Psichiatria d’urgenza, a Genova. Una persona di intelligenza e sensibilità disarmanti, capace di trasformare in un’opera d’arte qualcosa che di poetico non ha nulla: qualcosa di indicibile, e spesso invincibile, come la malattia psichiatrica. Milone che scrive «L’importante in questo mestiere non è quello che dici o quello che fai ma esserci. Se ci sei, il paziente poi fa tutto da solo».
Milone che riconosce di «Non cercare la consapevolezza di esistere: ognuno vive nella nebbia più o meno fitta. Scegli il tuo posto sul pendio, e tira su casa». L’arte di legare le persone porta dentro a un mondo, quello della malattia psichica, del dolore insensato, che sembra opaco e impermeabile: ma Milone sa raccontare e quindi dare un senso anche a ciò che un senso non ce l’ha, come canta Vasco (che intanto ha compiuto sessantanove anni, e auguri).
Quello di Paolo Milone è un libro, come ho scritto su Instagram, che ti fa venir voglia di mollare tutto, cambiare vita, fare qualcosa di utile per gli altri. Ti chiedi: «Perché questa lettura mi fa questo effetto? Sono una depressa? Un’euforica? Una nevrotica? Se lo avessi letto a diciotto anni, avrei fatto la psichiatra?».
L’arte di legare le persone racconta cosa vuol dire sentire il dolore degli altri e cercare di farci qualcosa: è un grandissimo libro anche per questo.
E poi per Genova e per il mare, che si respira intorno alle parole: un mare che sta lì, davanti a tutto, ascolta e contiene.

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