«La Gen Z sa che ogni azione quotidiana può diventare un’opportunità per farsi cittadini attivi e costruttivamente ribelli», spiega Matteo Ward, 35 anni, laureato in Economia internazionale all’Università Bocconi e in Business Sustainability Management alla University of Cambridge, nonché fondatore di Wråd. Questo brand di ispirazione street che usa tecniche innovative, come la tintura naturale con la grafite recuperata dalla produzione industriale, è anche un riferimento internazionale di best practice nel campo della moda etica. Con Ward, che è membro di Fashion Revolution Italia, distaccamento del movimento no-profit globale fondato da Orsola De Castro e Carry Somers, abbiamo scelto tre parole chiave per sintetizzare l’approccio dei nativi digitali al tema.

Matteo Ward a un raduno con la sua community, composta dai supporter e dagli ambassador di Wråd, a Vicenza, ottobre 2017. In quell’occasione è stato presentato il progetto di una giacca resa idrorepellente con la cera d’api, quindi priva di sostanze chimiche e tossiche.

FOTO VICTOR SANTIAGO.

Environmental grief. Il 90% dei ragazzi della Gen Z, intervistati da Wråd per una ricerca indipendente, prova dolore per gli effetti dell’impatto ambientale dovuti alle azioni dell’uomo. Conseguenza questa di una più profonda connessione con il pianeta e di una spiccata empatia sociale, che fa vedere la natura non come risorsa da sfruttare, ma come prezioso alleato.

Tracciabilità. Un sondaggio condotto da Fashion Revolution ha evidenziato che il 79% dei ragazzi della Gen Z si aspetta che i brand rendano pubblici i nomi dei fornitori. L’unico modo per i consumatori di essere certi che i capi siano in linea con i propri valori è la trasparenza che, insieme alla tracciabilità della filiera, garantisce una produzione effettivamente sostenibile. 

Greenwashing. Sempre più spesso le aziende promuovono campagne ambientali senza una reale strategia per uno sviluppo sostenibile. Questo per far leva sulla voglia di attivismo della Gen Z, che però è pronta a verificare e diffondere le proprie scoperte attraverso i social. Secondo uno studio della Commissione europea sui claim di sostenibilità di 344 aziende, pubblicato a gennaio 2021, nel 59% dei casi non è stato dato accesso a certificazioni della loro veridicità, e nel 37% queste erano fuorvianti.

Da Vogue Italia, n. 850, luglio 2021