Eccezionalmente, nella storia di moda del numero di febbraio 2021 di Vogue Italia, non ci sono modelle. Ma sorelle, madri, figlie, amiche di vecchia data, regine della notte, sconosciute incontrate per caso sulla spiaggia, artisti, musicisti, direttori creativi, producer. Poi ancora: registe, giovanissime attrici, underground rapper. Abbiamo chiesto a venticinque stylist, tra i più rilevanti del mondo, di scegliere e scattare loro stessi, per una volta senza la mediazione di un fotografo, persone comuni che secondo loro incarnano lo stile del momento. Perché in effetti nessuno meglio degli stylist, che quotidianamente vivono e toccano con mano gli abiti intercettando umori e interpretandone le evoluzioni, può aiutarci a comprendere – dopo questo strano e difficile anno – dove vive ora la moda, quella del mondo reale, in che forme, addosso a chi.
E poi abbiamo chiesto loro di parlarne, della moda nel 2021. Il risultato è un sentimento condiviso, intriso di valori. In termini assoluti spiccano l’urgenza ambientale, la celebrazione delle diversità, l’incertezza sul futuro – del sistema, certo – ma anche dei singoli percorsi di chi è stato interpellato.
Si aggiusta il tiro sul core style, più che sulle collezioni stagionali, come sostiene Elodie David-Touboul: «Sembra che il comfort stia diventando sempre più centrale per tutti. Ho l’impressione che persino il fast fashion stia concentrandosi su un’offerta più classica, che solitamente appartiene a ciò che viene definito slow fashion. Dall’inizio di questa crisi, come consumer, non mi soffermo più su pezzi “trendy” di cui mi stancherei poco dopo, ma su quelli che so che dureranno, cruciali all’interno di una routine più casual».
A sentire Elin Svahn non vi sono dubbi riguardo all’attitudine contemporanea e alle sue ragioni: «In questo periodo la gente vuole stare comoda e gli abiti riflettono i nostri sentimenti». Anche perché, spiega Tom Guinness, «Ora più che mai ci si veste prima di tutto per noi stessi, e questo ci fa stare bene». Ecco, in generale, lo spirito del tempo, ma si tratta di una fotografia momentanea che non esclude una più sorprendente evoluzione.
Assicura Alice Goddard: «Il comfort è la priorità ma le persone vorranno presto tornare a divertir- si con gli abiti, una volta che tutto questo sarà finito». Per Tonne Goodman «la moda, nell’ultimo anno, si è adattata a circostanze straordinarie diventando infinitamente più democratica e personale, ha acquisito consapevolezza».«La pandemia ha trasformato il fashion business in qualcosa di molto più realistico», dichiara Zerina Akers, che continua: «Siamo focalizzati su ciò di cui abbiamo davvero bisogno. C’è un interesse crescente nei riguardi del loungewear, da indossare durante una zoom call o a casa propria. Ma la gente spende ancora e a breve assisteremo a un cambiamento di rotta molto interessante». Anche per Haley Wollens la svolta è imminente: «Siamo stati chiusi in casa in pigiama per un anno intero, sono molto eccitata al pensiero di cosa potranno indossare le persone quando le nostre finestre torneranno a spalancarsi sul mondo». E se anche per Charlotte Collet siamo concentrati su abiti funzionali, «l’ottimismo e un’urgenza di leggerezza ci riporteranno, speriamo presto, a uno stile ancor più gioioso e creativo».
Quella che da molti viene definita “moda reale” «vive oggi nel nostro armadio: sono le 15 t-shirt sulla poltrona di fianco al letto, la montagna di vestiti nel bagno, quegli stessi dannati pantaloni che indossiamo ogni giorno, le Crocs sul terrazzo, non è cambiato nulla», ammette Marc Goehring con un bagno di realtà. Anche per Ib Kamara «la real fashion vive in casa» e questa esperienza condivisa potrebbe portare i designer in una nuova direzione e «potremmo assistere in breve tempo a un’esplosione di homewear, nella maniera però più brillante possibile». L’imperativo, comunque, è quello di non rinunciare allo stile: «È vero, non stiamo dedicando molto tempo ai vestiti ma trovo sia importante continuare a crearsi un look al mattino, ci aiuta a reagire, a tenere duro. Può essere un modo per fuggire dalla realtà. L’outfit continua ad avere molto impatto, persino sotto a una maschera», sostiene Camille Bidault-Waddington. La moda si traduce così, anche per Jacob K, in «una particolare zona grigia tra utilità ed escapismo». Riflessione che risuona nelle parole di Raphael Hirsch: «Usciamo raramente di casa, il comfort è parte integrante della routine quotidiana ma proprio per questo possiamo giocare di più con la fantasia, sperimentare nuove identità e nuovi look – una sorta di fuga dalla realtà quotidiana». Vibrazioni positive necessarie anche per Gabriella Karefa-Johnson, che crede «in un approccio giocoso allo stile, pieno di energia: è il cuore di tutto ciò che amo di più, anche in questo momento».
E allora ci si diverte a riscoprire il proprio guardaroba, a guardarlo con occhi diversi.
«Tutto il tempo trascorso a casa, che ha sfumato i confini tra pubblico e privato, mi ha fatto pensare molto anche ai singoli capi che riempiono il mio armadio. Tutto mi sembra più prezioso, più utilizzabile sul lungo termine, più considerevole. Per andare al parco ho indossato abiti che solitamente tenevo per le grandi occasioni e ho fatto meeting in pigiama. Conta ciò che ci sembra più adatto indossare», spiega Danny Reed. «Tutti stanno rimettendo mano al proprio closet», dice Vanessa Reid, «anche per riconnettersi con la propria storia, il proprio passato, a livello emozionale. Desideri ciò che hai sempre avuto, o comunque lo guardi in maniera differente». Per Anastasia Barbieri il guardaroba deve durare: «Deve essere pensato per il lungo periodo, mi riferisco a pezzi di alta qualità in ogni caso, che possano passare di generazione in generazione, come un ritorno ai valori fondamentali della nostra esistenza». Così i vestiti acquisiscono ancor più significato. «Cerco più vintage, recycling e upcycling, amo la moda ma conosciamo tutti l’impatto che questo settore ha sull’ambiente, e non possiamo non tenerne conto. Se compriamo oggi, valutiamo se ne abbiamo realmente bisogno, quante volte lo indosseremo, quanto lo desideriamo», dice Sabina Schreder.
Si percepisce, forte, la voglia di reagire: «Certamente la gente cercherà sempre più vestiti casual chic e un po’ più basici ma allo stesso tempo, dopo un anno di sweatpant e magliette, sentiamo il bisogno di un po’ di sana stravaganza», sostiene Suzanne Koller.
«Forse oggi più che mai assistiamo a un grande cambiamento nel modo in cui guardiamo e viviamo la moda», dichiara Patti Wilson, «È stato un anno strano e difficile, ma spero che questo periodo ci abbia dato tempo e spazio necessario per rinfrescare i nostri flussi creativi e riconnetterci a cosa conta davvero. La moda può essere di sollievo, rigenerativa, e dovrebbe essere sempre un gran divertimento. Questo è tutto ciò che desidero di più». Malina Joseph Gilchrist invece sogna un risveglio. «A causa della pandemia non vedi in giro gente che si veste, non vai nei night club, non vai nei ristoranti. Le persone sono “lost in their beauty”. Credo che la moda sia un dragone addormentato, che si sta per svegliare. La pandemia ci ha reso tutti molto quieti ma non vediamo l’ora di tornare a esprimere noi stessi, abbiamo fame di questo. Tornare a essere intensi, audaci e sfacciati, anche nello stile».
Foto in apertura. Ava, 15 anni, figlia della stylist Anastasia Barbieri e da lei ritratta in questo numero. Abito plissettato di seta, Celine by Heidi Slimane. Hair Laurent Philippon, make-up Karim Rahman entrambi @Bryantartists.
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