L’ombelico del borgo

L’ombelico del borgo
L’ombelico del borgo: viaggio nella rinascita

Questo articolo è pubblicato sul numero 4 di Vanity Fair in edicola fino al 26 gennaio 2021

Siamo abituati a pensare all’Italia come a un Paese diviso tra Nord e Sud, ma c’è un’altra linea geografica altrettanto importante, che i demografi tracciano così: l’Italia della polpa e dell’osso. La polpa sono le città e le coste, è quella che abbiamo addentato durante la crescita economica, dove oggi vivono i due terzi degli italiani. L’osso sono le aree interne di montagna e alta collina, Alpi e Appennini che nel Novecento si sono invece svuotati. L’abbandono del territorio non è solo un disastro economico, è anche un problema ecologico: una casa non presidiata tende a cadere a pezzi.

Dissesto idrogeologico, perdita di superficie agricola, incendi partono anche da qui. La sostenibilità del nostro futuro passa dal riabitare l’Italia. Veniamo dall’estate dei borghi, abbiamo scoperto le meraviglie del turismo di prossimità, ma la sfida è permettere a migliaia di micro-comuni italiani di essere vivi e attivi tutto l’anno, senza dipendere da bed and breakfast e alberghi diffusi. La buona notizia è che sta succedendo, la tendenza si è invertita e lungo l’Italia dell’osso ci sono tante storie di ripopolamento.

Prendiamo Ostana, villaggio del Cuneese affacciato sul Monviso. Negli anni ’50 ci abitavano 1.500 persone, era sceso a cinque. La storia della sua rinascita passa da investimenti e riqualificazione e culmina col più universale dei simboli: una culla. Pablo, che oggi ha quattro anni, è stato il primo nato di Ostana in trent’anni. È il figlio della sindaca, Silvia Rovere, arrivata da Torino per gestire un rifugio appena aperto e diventata motore della ripartenza. Ha da poco inaugurato un centro polifunzionale affacciato sui monti, che organizza eventi culturali, ospita un centro di ricerca universitario sui fiumi alpini, co-working e laboratori. I residenti stabili sono 50, ma soprattutto le culle sono diventate quattro.

Per Fontecchio, provincia di L’Aquila, l’innesco della rinascita è stato il terremoto. Poteva essere l’ultimo atto di questa comunità circondata dai boschi nella valle dellA’ terno, invece è stato il momento per trovare forza, energia e residenti. Anche qui c’è una sindaca coraggiosa e piena di idee, l’Italia interna è piena di persone così. Si chiama Sabrina Ciancone, ha guidato la ricostruzione con un progetto di ascolto democratico di tutti i cittadini (bambini compresi) per immaginare la Fontecchio del futuro. Una leva è stata l’arte, qui è arrivato un artista americano, Todd Brown, animatore culturale di un paesino abruzzese del Trecento che oggi sembra una Brooklyn dell’Appennino: atelier, mostre, festival, residenze d’artista. Nel convento francescano c’è un’opera di Michelangelo Pistoletto, un doppio infinito posato a terra dai bambini nel 2018.

Arriviamo in Calabria: in questi mesi l’abbiamo sentita descrivere come terra di dissesti e invece ci sono comunità piene di coraggio e visione, come quella di Vaccarizzo, paesino tra Pollino e Sila che aveva iniziato a svuotarsi quando venne chiusa la filanda. A un certo punto non c’era più niente, non un bar o un negozio, un comune desertificato e sfiduciato. Poi le cose hanno ripreso a succedere e anche in questo caso l’epicentro d’energia è stata un donna. Roberta Caruso ha coinvolto i vaccarizzari nella creazione di una cooperativa di comunità, un progetto di partecipazione sociale in cui i cittadini diventano imprenditori. Oggi c’è un bar, aprirà una bottega alimentare con prodotti del territorio, tornerà l’ufficio postale. I fondi li hanno trovati tramite un crowdfunding, I Live in Vaccarizzo, che ha raccolto donazioni da tutto il mondo, soprattutto da emigranti di seconda, terza e quarta generazione che dallA’ ustralia, dalla Germania, dallA’ rgentina hanno contribuito a far rinascere il loro vecchio paese.

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