Louisa May Alcott: manuale di istruzioni per la vita

Louisa May Alcott: manuale di istruzioni per la vita

Frame del primo film tratto dal romanzo

Tutti conoscono Louisa May Alcott (Germantown, 29 novembre 1832 – Boston, 6 marzo 1888). Anche chi non legge molto, o non legge proprio, sa che è la scrittrice di Piccole Donne, uno dei 100 libri fondamentali della letteratura americana, stando a Wikipedia. Una definizione insoddisfacente a dir poco. Piccole Donne è un passaggio obbligato, come quelli che si dovevano fare alla frontiera prima dell’UE. Ti fermi, porti pazienza, tiri fuori tutte le cose che ti porti dietro e poi riparti sentendoti più libero. E, fuor di metafora, anche più maturo. Perché a 11 anni la voglia di sentirsi “piccole donne” è tanta.

Ecco perché, in virtù del debito che le porto, voglio spiegare, con le citazioni tratte dal libro, perché anche oggi valga la pena di leggere questo romanzo e come, leggendolo, si possano capire molte cose sulla Alcott e su noi stessi.

[…] le bambine pestifere si trasformano spesso in donne in gamba.

Louisa May Alcott

Lo ammetto, qui sono punta sul vivo. Ma se oggi ho l’onore di definirmi femminista lo devo a Louisa May Alcott e alle quattro eroine del romanzo: Meg, Jo, Beth e Amy. Quattro ragazze, quattro temperamenti diversi. Meg, la maggiore, seria e composta; Beth, quella dolce, buona e timida; Amy, la più piccola e vanitosa, ma con un gran cuore; infine, l’indimenticabile Jo, la più impulsiva e creativa. Per ambientazione e personaggi la Alcott si è ispirata alla sua infanzia a Concord e alle sue tre sorelle, di cui le piccole donne del racconto sono il riflesso. Lei nella finzione è Jo, lo spirito libero della famiglia, difatti il personaggio meglio costruito e più appassionante. Eppure, ciascuna delle quattro sorelle rappresenta un aspetto dell’adolescenza e della femminilità in cui tutte possono cogliere qualcosa di se stesse e grazie a cui imparare ad accettarsi nonostante i propri difetti (che tutte le sorelle March hanno): un valore estremamente importante per una ragazzina. E perché no, anche per un ragazzino: fa bene a tutti scoprire la propria sensibilità, tentando un confronto con Meg, Jo, Beth e Amy.

Del resto, il femminismo per la Alcott è una costante esistenziale. Sua madre era una suffraggetta, suo padre un celebre filosofo che le garantì gli studi migliori: ebbe come insegnanti Emerson, Hawthorne e Thoreau. Nel 1868 poté leggere la Dichiarazione dei Sentimenti durante la conferenza di Seneca Falls, incentrata sui diritti alle donne, cosa che la mosse ad attivarsi per la causa femminile. Infatti, dopo la vittoriosa battaglia per il suffragio universale, la Alcott fu la prima donna di Concord a votare (per un’elezione scolastica) ed esercitò questo diritto tutta la vita, benché la sua piccola cittadina fosse un posto per “uomini duri” e donnicciole pavide come pecorelle.

Per realizzare un grande sogno bisogna superare grandi prove.

Marcia delle suffraggette all’inizio del XX secolo

Si può dire che in questo caso la sovrapposizione autrice-personaggio sia totale. Jo e Louisa erano due giovani donne intraprendenti e fuori dagli schemi, che volevano ritagliarsi uno spazio tutto loro in un mondo che di spazio ne aveva, ma solo per madri e mogli. Loro, invece, prima di essere madri e mogli, erano donne con una passione: la scrittura. E di ostacoli per coronare questo sogno ne hanno incontrati molti. Anzi, la Alcott di più. La sua famiglia andò incontro a un dissesto economico notevole, che impedì alle sorelle minori di avere un’istruzione adeguata e obbligò Louisa a trovare vari lavori: insegnante privata, sarta, perfino colf! Ma con un po’ di olio di gomito riuscì a diventare scrittrice, dapprima pubblicando con uno pseudonimo maschile, A.M. Barnard (chi mai avrebbe comprato un romanzetto scritto da una ragazza?), poi a suo nome. Il successo che ne ricavò lo misuriamo ancora oggi.

Ma cause femministe e carriera non furono le uniche cose per cui lottò. La famiglia Alcott fu una di quelle che più furono coinvolte nella rete dell’underground railroad, cioè la rotta clandestina per il Canada degli schiavi di colore e degli immigrati irlandesi durante la Guerra di Secessione. Quindi, libertà non solo per le donne, ma per tutto il Paese. È proprio questo uno dei tratti più tralasciati della Alcott: la sua filantropia, leggibile solo in filigrana nel personaggio di Beth, in cui riversò un po’ se stessa, un po’ la sorella morta prematuramente. Filantropia non docile e mansueta, ma energica: per due anni Louisa “militò” tra le infermiere della guerra civile, fermandosi solo per colpa della tisi, che la costrinse al riposo.

Scrittrice, ribelle, filantropa: chi non vorrebbe lottare per i suoi sogni con un esempio così?

Gli uomini devono lavorare e le donne si sposano per denaro. È un mondo orribilmente ingiusto.

Ho già parlato della lotta di Louisa May Alcott per i diritti umani. Ho parlato della lotta per diventare una scrittrice. Ma non ho parlato dell’aspetto meno condivisibile nella piccola cittadina ottocentesca dove Louisa visse per quasi tutta la sua vita: la lotta per l’abbattimento dei “generi”. Secondo il dizionario Treccani, “gender” è la parola per designare «i molti e complessi modi in cui le differenze tra i sessi acquistano significato e diventano fattori strutturali nell’organizzazione della vita sociale». Una femminista attiva non avrebbe mai potuto lasciarsi posizionare come una tesserina di mosaico nella società perbenista americana di metà Ottocento. Nemmeno Jo, del resto.

Frame del film del 1981 tratto da Piccole donne

Ora, però devo parlare di un personaggio di Piccole Donne che ho trascurato fino ad ora: Laurie. Si tratta del facoltoso migliore amico di Jo, verso cui prova fin da subito qualcosa in più dell’amicizia (spoiler alert: sposerà Amy). È un ragazzo divertente e spigliato, ma anche molto emotivo, fragile, sensibile. Molto più di Jo, al cui rifiuto reagisce con dolore. Prima di conoscere le sorelle March era anche timido, solo e introverso. L’opposto dell’uomo alpha dei nostri giorni.

Jo e Laurie: due ragazzi contro gli stereotipi del mondo.

Tuttavia, nella finzione del romanzo due cose lasciano interdetti. La prima è che, al termine della storia, Jo si sposa con Fitz, il suo professore di filosofia. Alla fine compie l’atto che la Alcott non fece mai, perché, a suo dire: «mi sono sempre innamorata di molte ragazze carine, ma mai una volta di un uomo». Affermazione provocatoria o vero e proprio outing, svolta finale della sua lotta contro i generi? Nessuno lo saprà mai.

La seconda è che, come ho lasciato trapelare sopra, l’amicizia di Jo e Laurie rimane questo. Friendzone. Una delusione cocente nel mio animo romantico di bambina, ma anche fulcro di un grande insegnamento: non sempre la vita va come deve andare. Insegnamento valso anche per Louisa May Alcott, estremamente sfortunata in vita. Ma grande, grande eroina adesso e per sempre.

Giulia Fusè per MIfacciodiCultura

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