Tito Lucrezio Caro (Pompei, 94 a.C. – Roma, 55 a.C. ca.) fu un poeta latino che, per i suoi versi, prese ispirazione dall’epicureismo. L’obiettivo della filosofia epicurea (dal nome di Epicuro, suo capostipite greco) era quello di liberare l’uomo dalla paura attraverso la conoscenza del funzionamento della natura, in modo da raggiungere l’atarassia, ovvero l’assenza di turbamento. La paura è infatti la più temibile delle passioni che destabilizzano l’uomo, e la sua causa principale è l’ignoranza delle cause degli eventi naturali. La filosofia epicurea, in particolare, funge da quadrifarmaco, ovvero ha una quadruplice capacità curativa, da un lato agendo contro il timore degli dei e contro il timore della morte; dall’altro, promuovendo l’accesso al piacere e la provvisorietà o la sopportabilità del dolore.
Per divulgare questa dottrina, Lucrezio scrisse un monumentale poema didascalico in esametri suddiviso in sei libri, il De rerum natura (La natura delle cose). Il poeta latino descrive così la missione del filosofo greco:
Humana ante oculos foede cum vita iaceret
in terris oppressa gravi sub religione
[…]
primum Graius homo mortalis tollere contra
est oculos ausus primusque obsistere contra.La vita umana giaceva davanti ai nostri occhi
Turpemente schiacciata al suolo dal grave peso della superstizione
[…]
Un uomo greco osò per primo tra i mortali
Levare gli occhi contro di lei e per primo osò resisterle.
La missione di Epicuro fu dunque quella di liberare l’uomo dalla superstizione, ovvero dall’insieme di credenze sul potere degli dei che terrorizzano l’uomo. Per portare un esempio delle nefandezze a cui poteva portare la religione, Lucrezio descrive un sacrificio umano, ovvero la storia di Ifigenia, figlia di Agamennone e Clitennestra, che venne uccisa sull’altare per assicurare una partenza favorevole ai soldati greci in procinto di partire per Troia. Lucrezio rappresenta in maniera fortemente icastica il terrore provato dalla fanciulla nel momento in cui scopre di non essere condotta all’altare per sposarsi, ma per il proprio sacrificio:
Et maestum simul ante aras adstare parentem
sensit et hunc propter ferrum celare ministros
aspectuque suo lacrimas effundere civis,
muta metu terram genibus summissa petebat.E appena si accorse che il padre stava triste davanti all’altare,
e che i sacerdoti vicino a lui nascondevano una spada,
e il popolo spargeva lacrime guardandola,
ammutolita per la paura, piegate le ginocchia, cadeva a terra.
Questa è forse il brano della letteratura latina che meglio rappresenta il momento in cui la paura assale l’individuo, che risulta inerme e ne viene sopraffatto. La causa della paura e del dolore, qui, è un’usanza imposta dalla religione pagana. Cosa può liberare l’uomo dal giogo della paura dovuta alla superstizione (con parole lucreziane: «terrorem animi tenebrasque», cioè il terrore e le tenebre dell’animo)? «Naturae species ratioque», ovvero lo studio dell’aspetto e della legge della natura. Scoprire come funziona la natura permette, infatti, di affrancarsi dalla paura dovuta all’ignoranza dei suoi meccanismi. Il primo principio dell’epicureismo è infatti molto chiaro: mai nulla si genera dal nulla per volontà divina («Principium cuius hinc nobis exordia sumet, / nullam rem e nihilo gigni divinitus umquam»). Tuttavia, Lucrezio non proclamava l’inesistenza degli dei; egli affermava che gli dei esistevano, ma non interferivano con la vita degli esseri umani, che invece era governata solo da leggi naturali, e in particolare dal movimento degli atomi. Sembrano concetti espressi da scienziati del Novecento; eppure, già nel I secolo avanti Cristo, l’atomismo era stato descritto in maniera estremamente perspicua e lucida, e per di più in versi.
Infine, per Lucrezio, la filosofia può sconfiggere anche la paura della morte. Leggendo gli eventi naturali secondo la teoria degli atomi che continuamente si aggregano e disgregano, si può dire che la materia è in continua trasformazione, e anche noi, essendo parte della natura, lo siamo. La morte si configura come un “cambio di stato” naturale del nostro corpo e della nostra anima, che si separano e disperdono gli atomi di cui sono composte per dare origine a nuove cose. Non è quindi un evento catastrofico o traumatico, bensì rientra nel naturale fluire della materia di cui l’uomo non è che una particolare espressione.
Nil igitur mors est ad nos neque pertinet hilum,
quandoquidem natura animi mortalis habetur.Nulla dunque la morte è per noi e non ci riguarda affatto,
poiché la natura dell’animo è da considerarsi mortale.
La dottrina epicurea, intrinsecamente materialista, fu avversata in ogni epoca, e forse della biografia di Lucrezio non ci è pervenuta nessuna notizia certa proprio in quanto egli ebbe numerosi oppositori. Tuttavia, il suo testo affronta il tema della paura in maniera diretta e decisa, e non poteva non apparire nell’antologia della nostra rubrica. Di questo poema dovremmo ritenere in particolare il messaggio che solo attraverso la conoscenza è possibile vincere l’ignoranza, che altrimenti ci condanna a temere qualsiasi cosa avvenga dentro o fuori di noi.
Arianna Capirossi per MIfacciodiCultura
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