La faccia buffa e il corpo flessuoso di un francese che ha saputo far riscoprire agli spettatori l’arte dimenticata del silenzio, parliamo di Marcel Marceau.
Marceau cominciò ad ambire all’arte della mimica ad appena sei anni, dopo avere visto un film di Charlot. Una volta diventato ragazzo decise così di spendere tutti i suoi risparmi per andare al cinema e osservare attori del muto come Chaplin e Buster Keaton. Mentre per studiare andava in campagna, dove poteva curiosare la natura per poi imitarla, alberi, animali o fiori mossi dalla brezza del mattino. Poi con gli amici del vicinato improvvisava spettacoli di pantomima. Ma arrivò la guerra, e per un periodo dovette rinunciare alla sua passione…suo padre morì e la madre si rifugiò a Limoges, dove Marceau studiò prima presso la scuola d’arte e poi di recitazione.
Se possiamo godere dell’arte antica della pantomima sicuramente lo dobbiamo a Marceau, che con aria seria – anche fuori del palcoscenico – ci dava risposte interessanti parlando correttamente quattro lingue.
“Il mondo – diceva – vuole più che mai qualche forma di comunicazione comune a tutti. La pantomima è un’arte universale che spezza le barriere della lingua e parla a persone di qualsiasi età e di ogni parte del mondo”. “Allora come non definirla un momento che rispecchia i nostri sogni e le nostre delusioni?! Infatti, la sua fonte è il soggetto più interessante del mondo, ossia noi stessi“. Quando Marceau compariva sulla scena completamente spoglia, erano soltanto il trucco e il costume d’ausilio alla sua arte. Indossava aderenti calzoni bianchi e un maglione a strisce nere e grigie, una variante del classico costume da clown, mentre il trucco bianco dava pieno risalto ai suoi lineamenti, in modo tale che ogni espressione fosse chiaramente visibile. Amava attrarre lentamente il suo pubblico in un mondo fantastico, cercando di far vedere loro quanto sia possibile creare l’illusione dello spazio, della profondità, e della distanza. In un suo celebre numero “Camminare contro il vento”, egli, combatte questa invisibile forza della natura, e il suo modo di entrare nello spazio creato coinvolge così tanto che il pubblico ansima per lo sforzo che il mimo compie. Senza mai usare qualsiasi oggetto, Marceau, va in bicicletta, sale scale ripidissime o tira la fune, sembra tutto talmente vero al punto da vedere le dimensioni della corda e sentire il fiatone della fatica provata in bicicletta. Creò il “Giardino pubblico” con 15 diversi personaggi, dal venditore di palloni, un uomo che porta a spasso il cane, una bàlia, e tra l’altro, vecchie signore che spettegolano e bambini che giocano…
Una volta che Marceau conquistava gli spettatori presentava il suo alter ego, Bip il pagliaccio. Bip, ed ecco che compare sulla scena in modo maldestro con un cappello a cilindro piuttosto malconcio, ma dove sembra nato un fiore rosso…un papavero sbarazzino che dondola continuamente? Marceau non si tira indietro a dare battaglia ad oggetti e situazioni che si schierano contro l’uomo, come strade ghiacciate, cassetti e finestre che non vogliono aprirsi, guanti troppo stretti o la porta del tram che si chiude. Ma sa anche domare leoni, acchiappare farfalle e fuggire da uno sciame di vespe: tutto in un silenzio divino. Con Marceau l’illusione è perfetta. Una sera durante lo spettacolo “Bip e la farfalla” dal pubblico venne un singhiozzo, era di una bambina che piangeva disperata e diceva “Non posso guardare, l’ha ammazzata davvero”. Gli spettatori, infatti, erano parte dei suoi spettacoli, partecipavano attivamente e alcuni intervenivano personalmente, erano coinvolti che tutto sembrasse reale.
I maggiori agenti teatrali di Broadway non avevano voluto saper di questo mimo prima che si recasse negli Stati Uniti nel 1955. Il loro verdetto fu – niente donne, niente scene e non dice una parola – come sarà mai possibile coinvolgere un pubblico? – Non farà un soldo -. Ma un impresario americano colpito dalla particolarità della proposta, volle correre il rischio e lo scritturò al Teatro Phoenix. Il giorno dopo un critico teatrale scrive di lui sul Herald Tribune di New York – Marceau è uno di quei doni del teatro che nessuno merita veramente. Pretendere una tale perfezione sarebbe da presuntuosi. Non si può fare altro che guardarla ed essere grati -. Fu un successo strepitoso e, Marceau, cominciò a girare per gli stati Uniti. Tornò a New York al teatro City Center per una tournée di tre settimane dove tutti i giorni lo attendevano 3.000 persone. Non contento volle tentare con lo schermo, comparve in televisione e conquistò subito milioni di persone. Viaggiò e recitò in tutti i Paesi dell’Europa, in Africa, nelle Americhe e in Oriente. Diceva, “Vengono per vedere quanto in realtà sono alto perchè sembro piccolo, ma la loro maggiore curiosità è quella di sapere se parlo“. In realtà c’era una grande differenza tra l’imponente figura che dominava il palcoscenico e il giovane esile che si poteva incontrare fuori dalla scena. Tutto in lui sembrava piccolo, il viso, le mani sottili e bianche – quasi fanciullesche – contrastavano la sua possente mimica. Le sue interpretazioni, sebbene sembrino compiute senza alcun sforzo, sono in realtà molto faticose, e per non perdere la concentrazione e la coordinazione fisica adottò una severa alimentazione che includeva succhi di frutta e tè caldo.
Ma dove si ispirava Marceau? Dalla gente! Amava camminare ed osservare le persone, i loro comportamento al ristorante, alla stazione, insomma, in quei luoghi dove non si possono ascoltare i discorsi, ma carpire l’espressione dei loro visi. La sua vita fu piena di successi, ottenne riconoscimenti come lauree ad honorem di prestigiose università americane, la Legion d’Onore e il titolo di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito dello Stato Francese, ricevuto direttamente dalle mani di Jacques Chirac, era il 1998.
Marceau non sì è mai preoccupato degli anni, non si è mai preoccupato della sua età, se mai un giorno avesse dovuto smettere diceva “L’età è più psicologica che fisica, perciò un mimo può calcare le scene fino a quando muore“. Era convinto che il pubblico apprezzasse di più un dramma interpretato da mimi. Non è forse vero che i momenti commoventi della vita ci trovano senza parole?
Ogni nostro silenzio è un gesto di rispetto, mentre il cuore ascolta e l’anima osserva. Chi sa usare il silenzio può riuscire a sentire ciò che non verrà mai detto, perché in un battere di ali sono mille i suoni che arrivano al cuore.
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