Mind The Gap: a Gorizia, il progetto d’arte contemporanea ispirato a Franco Basaglia

Mind The Gap: a Gorizia, il progetto d’arte contemporanea ispirato a Franco Basaglia

Mercoledì, 7 aprile, presso studiofaganel Gorizia, ha aperto la quarta edizione di “Mind the Gap”, progetto d’arte contemporanea promosso da Altreforme Udine con il sostegno della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e ispirato alla figura di Franco Basaglia. Nel 2020, gli artisti Sofia Braga, Emilio Vavarella e il collettivo KairUs, avevano esplorato attraverso le opere le possibilità dell’errore tecnologico e del Ricalcolo. Quest’anno, l’esposizione – co-curata da Giada Centazzo, Bruno Di Marino e Rachele D’Osualdo – vede protagoniste le tre artiste visive Caterina Morigi, Ulla Rauter e Debora Vrizzi che, partendo dal tema del limen, significante molto caro allo psichiatra, si interrogano intorno a cosa sia “individuo” e cosa sia “corpo”, tra natura e cultura.

Il concetto di limen indica il confine, la soglia. Per lo psichiatra, padre della Legge 180, l’irrigidimento e la sclerotizzazione del confine tra ragione e follia, normalità e anormalità, tra città e asilo, produce segregazione e intolleranza. Quando, invece, il confine diviene permeabile e poroso, permettendo interscambi e sconfinamenti, ne scaturiscono energia e vitalità. Come sottolineato poi dallo stesso Basaglia nelle Conferenze brasiliane (1979), alla base del lavoro che portò alla chiusura dei manicomi in Italia c’era la volontà di «Portare chi stava dentro fuori e chi stava fuori dentro».

Il corpo umano è limen per eccellenza: collega e separa, protegge e, allo stesso tempo, interfaccia. Interrogando da angolature diverse e personali il tema del corpo, le tre artiste invitate esplorano il concetto di confine, di limite, mediante categorie dialettiche quali soggetto/oggetto, familiare/estraneo, proprio/altro, interno/esterno.

La ravennate Caterina Morigi, nelle sue installazioni, sculture ed immagini, si concentra sui mutamenti della materia, soggetta in particolare allo scorrere del tempo, ponendo l’attenzione su quegli aspetti meno evidenti, spesso celati. Come accade nel dittico fotografico in mostra dal titolo Trama (2013) in cui Morigi evidenzia, rimarcandole, le singole imperfezioni della pelle umana – nei, cicatrici, macchie, irregolarità epidermiche – traducendole in un’immagine complessa da decifrare, giocando su una duplice scala dimensionale, micro e macroscopica, nell’offrirle allo sguardo del visitatore.

Ulla Rauter, Glissando, 2007 © courtesy l’artista

La ricerca estetica dell’austriaca Ulla Rauter si svolge all’incrocio tra sound art, arti visive e performance musicali, e si concretizza nella creazione di dispositivi sonori e strumenti musicali sperimentali, in grado di tradurre stimoli fisici in suoni elettronici. È il caso ad esempio dell’opera Glissando (2007) – pezzo esposto in mostra – un archetto di violino dalle corde di rame che Rauter “suona sulla propria pelle” – vera e propria interfaccia elettrodermica – nel corso di suggestivi interventi performativi, producendo una gamma di suoni perturbanti e sui generis.

Debora Vrizzi, Out of order (Angela), 2021 © courtesy l’artista

Videoartista, fotografa e direttrice della fotografia, nel suo lavoro la friulana Debora Vrizzi riflette sull’identità personale e collettiva, ora avvalendosi di strutture semi-narrative o simbolico-concettuali, ora ricorrendo alla documentazione del reale e all’autobiografia. Nel progetto multimediale Out of order (2021) – ideato ad hoc per la mostra, ispirandosi alle cartelle cliniche di donne internate in strutture manicomiali – Vrizzi esplora la relazione esistente tra corpo femminile e potere, mettendo in scena alcuni “oggetti simbolici” evocativi, che richiamano alla mente un certo immaginario tipico delle artiste surrealiste.

Abbiamo raggiunto i curatori Giada Centazzo e Bruno di Marino per alcune domande sul progetto.

Mind The Gap: la parola ai curatori

In che misura l’eredità culturale di Franco Basaglia ha ispirato questa edizione del progetto? E le vostre scelte curatoriali?

Giada Centazzo «In questa quarta edizione si è deciso di esplorare in particolare modo il tema del corpo. Nella storia della psichiatria il corpo è stato il mezzo con cui esercitare coercizione e costrizione, come Basaglia ha dimostrato. Ma il corpo è stato – ed è ancora oggi – anche il luogo dove si esprimono molti disagi di natura psicologica. Non dimentichiamo però allo stesso tempo che tutta la rivoluzione psicanalitica si è fondata sul corpo, femminile in particolare: il sintomo isterico è proprio il corpo che parla. Nella scelta delle artiste si sono riverberati questi temi. Out of order – progetto multimediale ideato ad hoc per la mostra da Debora Vrizzi e più legato ai temi bavaglini – ha preso le mosse dallo studio di alcune lettere e cartelle cliniche di pazienti manicomiali internate nel Ventennio. Vrizzi si è confrontata molto in tal senso con il volume di Annacarla Valeriano Malacarne (Donzelli, 2017). Nelle cartelle cliniche delle pazienti analizzate dall’artista, al centro non c’era solo la malattia mentale ma proprio il corpo, che diventato disfunzionale, doveva essere medicalizzato: ovvero normalizzato, ricondotto alla norma sociale. L’opera di Ulla Rauter invece si riconnette più sottilmente al tema, ma in modo altrettanto interessante. Le emozioni più intime, gli stimoli inconsci, gli impulsi involontari che normalmente devono essere repressi, silenziati, controllati, diventano parte integrante del processo creativo dell’artista, concorrono alla produzione del suono, come accade in Glissando (2007), dove il semplice nervosismo modificando la conduttanza cutanea, influisce sull’emissione del suono. E’ una riflessione interessante in una società come la nostra che continua ad essere ossessionata dal controllo del corpo, soprattutto quello femminile. Infine quando a Caterina Morigi, l’artista evidenzia tutti quei segni che dovrebbero essere cancellati, rimossi, dissimulati perché ritenuti antiestetici. Anche qui c’è un interesse per ciò che è letto socialmente come difetto o errore, storicamente addirittura marchio anomalo. Questi segni sono però la storia, lo scorrere del tempo della vita, una narrazione che non va censurata ma valorizzata».

Bruno di Marino «La rivoluzione basagliana è stato un fatto oltre che clinico profondamente culturale, ma la riflessione sulla malattia mentale e sulla pratica dell’internamento non è affatto esaurita. È chiaro che l’arte può e deve fare ancora molto per riportare alla luce questo problema che resta comunque irrisolto, raccontando tutto il dolore e i drammi individuali di chi ha patito questa condizione».

Credo che la riflessione sul corpo inteso come limen – ovvero come confine, soglia – alla luce di questo anno di isolamento, assuma un ruolo particolarmente significativo. La condizione in cui abbiamo vissuto, quasi al limite dell’emarginazione, ci ha forse portati a sviluppare un dialogo diverso con il nostro corpo, ognuno a seconda della propria soggettività, e in relazione agli stimoli del mondo esterno, fuori dalla propria porta di casa. In che modo questo aspetto potrebbe aver influenzato le opere realizzate dalle tre artiste?

GC «Non è tra le opere presente in mostra, ma è significativo darne nota. Molto interessante è come Caterina Morigi ha saputo ‘mettere in valore’, elaborare sia concettualmente che materialmente le questione posteci dalla pandemia, in una sua nuova serie di opere cui sta lavorando in questo periodo, ovvero Elitropia (Melusine). Sono lavori realizzati applicando su carta varie sostanze disinfettanti ormai di uso comune, anche mescolate fra loro, per ‘osservarne’ gli esiti estetici. In questo senso il (nostro) tempo si fa materia dell’arte. Sono lavori questi nati nella quotidianità della quarantena, dalla cattività ravennate dell’artista, partendo da qualcosa che comunemente entra in contatto con il corpo per preservarne l’immunità. È interessante come gli artisti sappiano tenere traccia ed elaborare il trauma, andando anche oltre».

BdM «Non so quanto abbia influenzato il lavoro di Debora Vrizzi, ma penso che sicuramente abbia avuto ripercussioni sulla vita di ciascuno di noi, dunque, a prescindere dalle intenzioni delle tre artiste, credo che sia soprattutto la ricezione di questi lavori, la loro lettura, ad essere condizionata dal periodo che stiamo ancora vivendo. Del resto l’arte serve proprio a questo, a mettere in risalto i nostri stati d’animo personali e anche una situazione collettiva e, attraverso la rappresentazione, svolgere una funzione catartica e terapeutica».

Mind the gap “ha anche l’obiettivo di rafforzare negli anni, attraverso una molteplicità di azioni, processi culturali partecipativi”. Quali sono stati gli effetti del progetto sul panorama artistico di Gorizia durante e in seguito alle tre edizioni precedenti?

GC «I processi partecipativi che si intendeva avviare riguardano soprattutto il tessuto socio-culturale, la cittadinanza. Il progetto d’arte contemporanea Mind the Gap fin nella sua prima edizione è nato nel segno della figura di Franco Basaglia, che proprio a Gorizia negli anni Sessanta ha dato inizio alla sua rivoluzione medica e culturale. Fin dalle prime annate tra i partner principali e le principali sedi espositive c’è stato non a caso il Centro di Salute Mentale di Gorizia, che ha sede nell’omonimo Parco, dove si trova l’ex manicomio ora in riqualificazione. L’idea era proprio di partire dal Parco Basaglia per andare ad occupare degli spazi altri della e nella città, anche spazi non propriamente adibiti al contemporaneo, per rideclinare in qualche modo la riflessione di Basaglia sul superamento dei limiti “tra fuori e dentro” l’istituzione. L’idea è di avviare o riavviare una riflessione, un dibattito. Pur con i cambiamenti intervenuti, la questione della salute mentale, del disagio mentale è e rimane ancora oggi, soprattutto una questione culturale e sociale, prima ancora che medica. Per certi versi anche l’arte contemporanea non è del tutto estrana a etichette e stigmi. Così a Mind the Gap due realtà ‘liminali’ si incontrano e trovano reciprocamente forza nella sinergia reciproca. Gorizia, come molte città ‘periferiche’ e di confine, e forse proprio in virtù di questo, ha un tessuto artistico con una propria peculiare vitalità. Certamente un progetto come questo, contribuisce a portare stimoli nuovi e diversi anche agli artisti, oltre che al pubblico. Ad esempio sia nell’edizione 2020 che in quest’edizione, spazio è stato dato alla digital art e alle new media art, universi per molti aspetti ancora da scoprire in Italia come gli stessi addetti ai lavori rilevano».

BdM «Non è evidentemente una domanda che va rivolta a me ma agli ideatori e organizzatori del progetto. È la prima volta che vengo chiamato come curatore in questo contesto ed è la seconda volta in vita mia che mi trovo a contatto con l’ambiente culturale goriziano: ricordo anni fa di aver portato qui a Gorizia un grande sperimentatore, Zbigniew Rybczynski, presentando il suo lavoro. Mi auguro naturalmente anche in futuro, naturalmente “in presenza” di poter seguire criticamente qualche altro artista per Mind the Gap o di poter curare qualche altro evento in questa città e in questo territorio così significativo dal punto di vista creativo e del dialogo interetnico e multiculturale».

La mostra allestita presso studiofaganel, a Gorizia, resterà aperta fino al primo maggio, dal lunedì al venerdì, dalle 16 alle 19, e il sabato dalle 9.30 alle 13 e dalle 16 alle 19, secondo disposizioni, con possibilità di proroga, e sarà visitabile su appuntamento, ingresso contingentato (due persone alla volta), con obbligo di mascherina. L’esposizione sarà inoltre arricchita da alcuni eventi collaterali e vedrà la realizzazione di un catalogo, con i contributi dei tre co-curatori – Giada Centazzo, Bruno Di Marino, Rachele D’Osualdo – e un testo critico del filosofo Simone Furlani, ordinario all’Università degli Studi di Udine.

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