Nathaniel Hawthorne: l’indagine diretta nella letteratura di metà Ottocento

Nathaniel Hawthorne: l’indagine diretta nella letteratura di metà Ottocento
Nathaniel Hawthorne: l'indagine diretta nella letteratura di metà Ottocento

Nathaniel Hawthorne, nato a Salem il 4 luglio 1804 e scomparso il 19 maggio del 1864 a Plymouth, nonostante le sue origini inglesi si inserisce perfettamente nell’immaginario letterario americano di metà Ottocento, assieme ad autori quali Herman Melville e Edgar Allan Poe. Chi lo ha definito il nuovo Shakespeare, chi l’ Alessandro Manzoni d’oltreoceano, Hawthorne è divenuto famoso per romanzi quali La lettera scarlatta (1850) e La casa dei sette abbaini (1851).

Nathaniel Hawthorne

La poetica dell’autore non va di pari passo con i suoi colleghi contemporanei, i quali sono rivolti a descrivere lo sviluppo della società contemporanea. Infatti, Hawthorne guarda al passato, i suoi romanzi narrano di vicende che risalgono al XVII secolo, al periodo dei famosi Puritani che giunsero nel Nuovo Mondo.

Il tema del puritanesimo è sì strettamente connesso con le altre tematiche dei suoi lavori ma ne è anche la voce principale. Hawthorne, difatti, si affida totalmente alla sua personale esperienza al fine di indagare in profondità il significato del peccato, in modo tale da far emergere quanto nel pensiero puritano, al quale egli è legato, esso sia sempre stato inteso in modo ipocrita. Le sue sono ragioni di discendenza: come egli esplicita nell’introduzione a La lettera scarlatta, due dei suoi antenati sono stati tra i primi puritani che giunsero in America, i quali parteciparono alle persecuzioni contro i Quaccheri e le streghe. In questo modo, l’autore sente una sorta di peso, una macchia da estirpare sulla propria origine.

I, the present writer, as their representative, hereby take shame upon myself for their sakes, and pray that any curse incurred by them […] may be now and henceforth removed. 

La società che egli descrive è così composta da gente rispettabile e lavoratrice, convinta di essere sempre nel giusto nel momento in cui giudica l’altro.

In questo senso, la scelta dei titoli non è mai casuale ma rappresenta il senso di tutto il romanzo: la lettera “A” di adulterio è sì il segno indiscutibile del peccato, ma indica altrettanto l’analisi di Nathaniel Hawthorne sulla apparente perfezione della comunità che ammonisce. La dimora della famiglia Pyncheon rappresenta la concretezza di quel gesto di appropriazione iniziale che ha portato alla condanna della famiglia e dei suoi eredi.

Vi sono due riflessioni importanti inerenti allo stile dell’autore. La prima riguarda la scelta del romance, grazie al quale egli è libero di poter descrivere a suo piacimento il comportamento della psiche umana nei suoi personaggi, evitando la fedeltà al reale del novel. In secondo luogo, la presenza invadente dell’autore, la cui voce risuona continuamente: egli non si limita a raccontare, ma informa il lettore dei propri pensieri e conclusioni inerenti la storia, la sua è una soggettività narrativa completamente estranea a qualsiasi altro autore.

La lettera scarlatta – film 1995

Infine, all’interno del romanzo La casa dei sette abbaini emerge una tematica che inserisce l’opera in una proiezione assolutamente moderna. Infatti, Hawthorne guida il lettore attraverso una simbologia basata sulla tecnica fotografica, o meglio la dagherrotipia, messa in opera già dal 1837. Innanzitutto, uno dei protagonisti è proprio un fotografo, visto dalla comunità come uno stregone da tenere a distanza. In più, la stessa casa funge da ambiente oscuro all’interno del quale prendono forma immagini mai viste prima, prospettive diverse della realtà, dove troviamo Phoebe, simbolo di luce. La luce nella dagherrotipia è quell’elemento che dà corpo all’opera, ma è in via generale anche simbolo di vita. Basti pensare al nome stesso della giovane protagonista, che deriva da Febo – o Apollo – dio del Sole, dal latino “colui che splende”.

Ecco che il simbolo, il magico e il mistico vengono in aiuto all’autore come espedienti per un’analisi della realtà di una società in continua evoluzione, la sua come quella dei suoi avi. Le credenze popolari, in ogni forma, si insediano come radici nella comunità, la quale dà ad esse un nome e un riferimento ben preciso.

Fabio De Liso per MIfacciodiCultura

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