Paul Gauguin: una vita in bilico tra libertà e senso di costrizione

Paul Gauguin: una vita in bilico tra libertà e senso di costrizione

Autoritratto, 1889

L’8 maggio del 1903 morì a Hiva Oa, nell’arcipelago delle Isole Marchesi appartenenti alla Polinesia Francese, Paul Gauguin. Se la sua morte dovuta alla sifilide passò inosservata, tanto che la sua lapide fu ritrovata solamente vent’anni dopo, sicuramente più significativi sono luogo e data della sua nascita: avvenuta a Parigi il 7 giugno del 1848. Sarà un caso che la nascita coincida con la cosiddetta Primavera dei Popoli che tanto sconvolse l’Europa, ma in egual misura la sua arte portò scompiglio in campo artistico, rivoluzionando mezzi, tecniche espressive e tematiche. Innovativo al punto di inventare una nuova tecnica di stampa: la oil transfer drawnings.
Le sue abilità non si limitarono alla pittura, benché essa sia la forma più conosciuta del suo lavoro.

E dire che io ero nato per creare un’industria artistica, e non posso riuscirci. Le vetrate, l’arredamento, la ceramica eccetera… ecco in fondo le mie attitudini, molto più di quanto non lo sia la pittura propriamente detta.

E. Ragusa, Gauguin, Skira, Milano 2011, p. 176

Colpevole fu probabilmente proprio quella data di nascita che lo distaccò generazionalmente sia dai suoi precursori impressionisti, nati negli anni ’40 dell’Ottocento, sia dai puntinisti, venuti al mondo intorno agli anni ’60. Quest’ultimi, rappresentati da Geroges Seurat (1859 – 1891), più giovani di una decina d’anni, furono lentamente superati dalla pittura innovativa di Paul Gauguin. Alla divisione del colore preferì l’unione, procedendo con l’uso di una pennellata sempre più appiattita ed unificata. Finì per cancellare la presenza della prospettiva, come si evince da la Visione dopo il sermone del 1888. Molti artisti successivi in un primo momento si affiancarono alla tecnica del Puntinismo e del Divisionismo, basti pensare a Lusso, Calma e Voluttà di Henri Matisse, ma la strada intrapresa da Gauguin ebbe la meglio (Henri Matisse, La danza, 1909).

L’idolo, 1898 / Oviri, 1894

Paul Gauguin fu massimo esponente del Simbolismo avanguardista francese ed erede dell’Impressionismo, al quale si affiancò per un breve periodo senza condividerne i soggetti, in quanto non era interessato ai temi di vita moderna. La sua fonte di ispirazione principale fu il museo, senza concentrarsi sulla classicità, approfondì i greci, gli egizi, i pittori pre-rinascimentali e le culture extra-europee.

Anno cruciale per il suo operato fu il 1886. In occasione dell’ultima mostra degli impressionisti, tenutasi tra maggio e giugno, conobbe l’abile ceramista Ernest Chaplet che gli insegnò a lavorare e a cuocere il gres. L’intensa produzione ceramica lo avvicinò alle sue origini, in quanto prese ispirazione dalle sculture inca che aveva potuto ammirare da bambino in Perù, patria della famiglia materna. Questa nostalgia per i luoghi esotici frequentati durante l’infanzia gli consentì di prendere le distanze dall’Impressionismo e di dare inizio ad una ricerca più intima. Rimase talmente soddisfatto dei suoi manufatti da riprodurli in molti dei sui dipinti. Esemplificativo in merito il quadro L’idolo, dove inserì la raffigurazione della sua scultura più riuscita: Oviri (ossia il selvaggio), opera che segnerà nel 1894 la fine del suo rapporto con la lavorazione della terra.

Andy Warhol, Vesuvio, 1985

Sempre nel 1886 soggiornò per la prima volta a Pont-Aven in Bretagna dove conobbe, oltre a Vicent Van Gogh, Emile Bernard (1868 – 1941). Fondamentale l’incontro con il più giovane Emile. Fu Bernard con i sui arditi vent’anni di meno a teorizzare il Sintetismo, ispirato all’arte medioevale e alle vetrate gotiche, e a dare vita alla tecnica del cloisonnisme. Gauguin ne divenne però il maggior interprete, in grado di superare l’amico imprimendo alle sue opere un sapore più concreto ed audace. I due arrivarono così alla sintesi estrema del disegno, della composizione e del colore. Questa tecnica consentì l’accesso all’iconicità, spostando l’attenzione dall’io caro al romanticismo verso una raffigurazione improntata sulla generalità. Tale metodo anticipò la Pop Art impostata sull’ambiguità del valore iconico ed attenta a valori cromo-luminari di una campitura piatta, basti pensare ai lavori di Andy Warhol.

La sua vita da quel fatidico anno fu una continua ricerca della pura e semplice libertà. Spinto dalla volontà di ritorno ad una naturalezza perduta, prese posizione contro la società industriale e meccanica, iniziando a seguire tendenze anti moderne. Trascorse un breve periodo ad Arles lontano dalla corruzione borghese, rimanendone deluso. Scrisse in proposito a Bernard: «trovo tutto piccolo, meschino, i paesaggi e le persone».

Ta matete, 1892

Nel 1891 Paul Gauguin lasciò le terre europee e si diresse a Tahiti con un intento quasi antropologico, tanto che da quello stesso anno appaiono sulle sue tele uomini appartenenti all’etnia maori. Nonostante i suoi intenti sinceri, si ravvisa in alcune sue opere un residuo di colonialismo culturale. Ne è esemplificativo il fatto che in Bretagna si esercitava sulle spiagge con arco e frecce alla ricerca del primitivo nascosto in sé, mentre si presentò a Tahiti con un cappello da cowboy.
La fuga dalle sovrastrutture culturali parigine si dimostrò un fallimento, in quanto la sua profonda ammirazione per la società polinesiana finì per essere contaminata dal colonialismo. Trascorse gli ultimi anni della sua vita lottando contro la missione cattolica e affermando che l’unica vera scuola possibile fosse la natura. Tanto che venne multato e condannato a tre mesi di prigione, non scontati a causa del decesso nel 1903.

La sua forza fu quella di riconoscere ed accettare l’esistenza di una prospettiva diversa. Il suo limite fu forse quello di volerla a tutti i costi fare propria.

Greta Canepa per MIfacciodiCultura

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