Quando i sogni non fanno rumore

Quando i sogni non fanno rumore
Questo articolo è pubblicato sul numero 7 di Vanity Fair in edicola fino al 16 febbraio 2021

Per superare l’ora del lupo è necessario tenere gli occhi aperti: «Soffro di insonnia da quando sono nata e di notte, quando il silenzio stimola la creatività e restituisce le suggestioni, scrivo». Maddalena Morielli, in arte Maddalena, ha 22 anni. Mentre parla muove le mani e si tormenta una spalla. L’unico consuntivo possibile, alla sua età, ha a che fare con i sogni. Il primo lampo, da bambina «con la lettura di Le voci del mondo di Robert Schneider». Come il protagonista del romanzo, spiega: «Fino a non molto tempo fa non sapevo leggere una nota né suonare uno strumento, ma avevo già tutta la musica in testa».

In attesa della laurea in Filosofia, finito il liceo scientifico: «Dovevo imparare a memoria interi pezzi del libro di Fisica perché, pur essendo una secchiona, quella materia non mi entrava proprio in testa». Parallelamente agli studi si è iscritta al CET, il Centro Europeo di Toscolano per l’arte musicale fondato in Umbria da Mogol, ha colmato le lacune e si è incamminata in silenzio in direzione del suo desiderio proteggendone il segreto: «I miei genitori hanno sentito la mia prima canzone solo due anni fa e molti miei amici sono ancora all’oscuro di tutto perché aspiro a non farmi vedere e a essere solo un vettore. Vorrei che la mia musica prendesse forma al di là di me». Non sarà possibile.

E anche le paure attraversate con l’ironia: «Ogni tanto penso con terrore all’idea di dover tenere un live per 3.000 persone» si diluiranno in un verso. I primi li ha scritti per Anxiety Is a Modern Cliché, un brano uscito da un ciuffo di giorni in cui in lingua madre e in inglese Maddalena parla di ansia: «Paradossalmente è un testo ottimistico», dice, «perché se riesco a parlarne significa che con l’ansia ho saputo fare i conti. L’ho visualizzata e quindi, di conseguenza, resa inesistente e innocua».

Sostiene che la musica sia «autoanalisi» e che nonostante la canzone non sia stata scritta recentemente racconti uno stato d’animo «che forse nella storia recente non è mai stato così presente». Per ritrovare la spensieratezza di un mondo prepandemico, riflette: «Servirà tempo. Veniamo da mesi di alienazione e solitudine e l’impatto psicologico di questo periodo rischia di avere un lungo riverbero soprattutto sui ventenni». Anche per questo, dice Maddalena: «È necessario un colpo d’ala, il riscatto delle energie sopite, la rivincita sui troppi luoghi comuni che vogliono la mia generazione etichettata come peggio non si potrebbe: fannulloni, social addicted, eternamente sottovalutati. Il pregiudizio lo sconfiggi solo con la forza delle idee».

Essere nati nel 1998 presenta un quadro in cui essere incisivi non è un dettaglio: «La soglia dell’attenzione in media dura otto secondi. Che tu sia davanti a un’opera d’arte, osservi un film o ascolti una canzone il contenuto deve arrivare tutto e subito, in maniera chiara». Vale per quel che saprà produrre in futuro e per i rapporti personali. La sua attenzione è per chi «vuole e può raccontarsi anche nelle debolezze perché le persone che non sanno farlo mi insospettiscono. Alla fine tutti i miei amici veri sono quelli che si sono mostrati vulnerabili o a disagio. È lì che si accende un rapporto, nella verità, altrimenti saremmo tutti marionette».

Si è sentita in un teatro che non le apparteneva a Londra. Partì a metà delle scuole superiori per tentare l’esperienza all’estero: «Fu un fallimento perché trovai la città fredda e dispersiva, ma forse non era neanche tutta colpa di Londra e si trattava solo del momento sbagliato». Un giorno Maddalena andrà in America: «Ho la doppia cittadinanza, l’obiettivo di domani è lavorare a stretto contatto con i grandi studi di registrazione di New York», ma per adesso, in omaggio «a un’anima sudista», è di stanza a Roma «dove fino a un anno fa, in certi bar, potevo passare un paio d’ore in cerca di ispirazione ad ascoltare frammenti di conversazioni e di vita reale da rielaborare e reinventare per dare vita alle canzoni».

Quando era piccola suo padre le faceva ascoltare De André prima di dormire: «Sceglieva La canzone di Marinella, un’imposizione traumatica», sorride, «che diede il via al mio primo vero moto di ribellione». Oggi riconosce nel suo lavoro «un’impronta del nostro cantautorato». Ma sa che non saranno le formule a disegnare il suo futuro: «È un terno al lotto, un’industria difficile ed è necessaria una componente di fortuna» perché, come in Persona di Ingmar Bergman, «l’ho recuperato durante la quarantena e mi ha sconvolto», «ogni parola è menzogna, ogni gesto falsità, ogni sorriso una smorfia».

Maddalena, che afferma con gusto flaianeo di vivere «su Marte o sulle nuvole» e di non avere «una memoria di ferro», ha imparato però a fare i conti con la finzione sociale. Non tutto è perfetto: «Se sorrido forzatamente purtroppo mi faccio beccare, non sono così abile da dissimulare», ma c’è comunque sempre una porta da chiudere, «una parte nascosta della mia casa», un angolo in cui inventare e un traguardo da condividere «con chi mi è stato e mi sarà vicino nel mio lavoro: Andrea, Giovanni, Valentina, Ivan e Primiano». L’equipaggio di una nave che è partita da lontano ed è arrivata in porto. «Ho sempre saputo che avrei fatto questo mestiere», e mentre lo dice, sicuramente, non finge.

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