But Still, It Turns (in italiano, E pur si muove, ndr), il titolo scelto dal fotografo Paul Graham per la splendida mostra che ha curato all’International Center of Photography di New York (fino al 9 maggio), è il commento, mormorato appena, attribuito a Galileo dopo l’imposizione a ritrattare la sua dimostrazione che la Terra gira intorno al Sole. Aveva ragione, ovviamente, ma sin da allora la verità scientifica si è scontrata con dogma e negazionismo. Per Graham, la citazione scelta segnala una preferenza per le istantanee di lavoro senza pretese, basate sull’osservazione e non sull’immaginazione. Il suo sottotitolo è Fotografie recenti dal mondo – un posto che è stato quasi ignorato, in mezzo a tanta fotografia contemporanea così concettuale e costruita.

La mostra riunisce il lavoro di sette fotografi e un duo artistico che si muovono nel solco della tradizione del paesaggio sociale, esemplificato al meglio dallo stesso Graham e dominato negli anni recenti da Alec Soth. Nonostante non tutti i fotografi vi siano nati, il soggetto delle loro immagini sono gli Stati Uniti – la sua gente, le case, le strade statali e la vita sociale. Nulla a che vedere, però, con “America the Beautiful” o qualsiasi altra versione dell’autocelebrativo, e sempre più disilluso, mito nazionale. Più che festoso, l’umore è ansioso, diffidente e disperato. Eppure, benché cupa, la mostra è lucida e impegnata, mai pessimista.

Un’immagine da “she dances on Jackson” (MACK, 2012) di Vanessa Winship, nella mostra “But Still, It Turns” curata da Paul Graham (catalogo MACK, 2021).
Un’immagine da “she dances on Jackson” (MACK, 2012) di Vanessa Winship, nella mostra “But Still, It Turns” curata da Paul Graham (catalogo MACK, 2021).

FOTO COURTESY DELL’ARTISTA E MACK.

Graham definisce questo tipo di approccio “post-documentario” – un nuovo genere di fotografia attivamente coinvolta, libera dai vincoli e dalle esigenze del fotogiornalismo editoriale e di conseguenza più personale, più sfumata, e di solito realizzata pensando a un libro, non a una rivista. Quando, nel catalogo della mostra, Graham racconta della sua prima esperienza con la fotografia, dice: «Mi ha mostrato, in realtà, che c’erano modi per trovare un po’ di senso nel mondo. La fotografia, il semplice atto di guardare, di registrare le tue percezioni, con sincerità, apertura e integrità, permetteva di aprire una sorta di cammino attraverso la cacofonia – così da comprendere e accogliere la tempesta».

Ciascuno dei fotografi presenti in mostra ha trovato il proprio cammino. Vanessa Winship ha viaggiato dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti nel 2011 e 2012. Le sue fotografie in bianco e nero, tutte prive di didascalie, sono state scattate nel corso di diverse escursioni attraverso il Paese. A proposito dell’immagine qui sopra, non ha detto dove ha trovato questa giovane coppia, ma solo che Latham, a sinistra, aveva incontrato Bethany online ed «era venuto da Chicago a vivere con i genitori di lei, per vedere se potevano far funzionare la loro relazione nel mondo reale, fuori dal cyberspazio». Winship fa notare che Latham indossa una volpe pupazzo a forma di guanto, unico accessorio nell’outfit assolutamente minimale della coppia, ma non fa ipotesi sulla loro identità sessuale, così, forse, non dovremmo farne neppure noi. «Erano due giovani persone che speravano di creare una connessione», scrive. E a giudicare dalle loro espressioni, dai loro gesti e dallo stile nel vestire, così simile, l’hanno trovata.

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Vince Aletti è critico fotografico e curatore. Vive e lavora a New York dal 1967. Collaboratore di “Aperture”, “Artforum”, “Apartamento” e “Photograph”, è stato co-autore di “Avedon Fashion 1944-2000”, edito da Harry N. Abrams nel 2009, e ha firmato “Issues: A History of Photography in Fashion Magazines”, pubblicato da Phaidon nel 2019.

Da Vogue Italia, n. 847, aprile 2021