Ritratti di artiste

Ritratti di artiste

Sofonisba Anguissola, Autoritratto

Oggi vi proponiamo i alcuni ritratti di artiste che nel corso dei secoli hanno contribuito a riscrivere una storia dell’arte esclusivamente maschileDa Sofonisba Anguissola a Lavinia Fontana, dalla celebre Artemisia Gentileschi alla meno conosciuta Rosalba Carriera, senza dimenticare Berthe Morisot, Mary Cassatt e Camille Claudel parliamo di donne che hanno faticosamente conquistato il loro posto nell’arte e ne hanno fatto poi, nei secoli più recenti, il veicolo dei loro messaggi raccontando loro stesse e spogliandosi degli stereotipi sapientemente cucitogli addosso.

Sofonisba Anguissola (1532-1625) è stata la prima donna a ottenere il riconoscimento internazionale come pittrice. Insieme alle sorelle, studiò presso le botteghe di Bernardino Campi e del Sojaro e grazie all’interessamento  del padre, pittore  a sua volta e uomo modernissimo per i suoi tempi, ottenne commissioni importanti. Dipinse alla corte di Filippo II di Spagna, poi a Palermo e a Genova. La sua arte è popolata da sapienti ritratti  dove l’animo umano viene indagato con grande sensibilità  leonardesca e  dove la ricercatezza dei particolare si sposa con una resa chiaroscurale di grande maestria.
Ricercata da Rubens, ripresa dal Caravaggio nel suo iconico Fanciullo morso da un ramarro, ammirata da un ventiduenne Van Dyck che la ritrae ammirato a Palerm ormai 96enne, Sofonisba è una delle personalità più eccelse dell’arte cinquecentesca, capace di sfidare il genere e il tempo.

Ritrattista sublime era anche Rosalba Carriera (1675-1757), pittrice veneziana di grande talento che con i suoi pastelli e i suoi ritratti seppe incantare le maggiori corti europee e numerosi amateurs d’arte. Tra le sue opere ricorrono le affascinanti dame della sua tanto amata e mondana Venezia, i delicati ritratti degli uomini e delle donne più illustri del tempo fino a scene mitologiche di grande grazia. Divenne quindi una protagonista indiscussa del Settecento italiano, tanto che una visita allo studio di Rosalba Carriera diventò una tappa indiscussa dei viaggiatori del Grand Tour che volevano conquistarsi un suo ritratto. La sua fama la rese artista appetibile per gli uomini di potere che se la contendevano nelle loro corti, con una proliferazione di commissioni ed incarichi. Con i suoi tratti delicati e il suo grande fascino animò i salotti mondani di tutta Europa, sempre accompagnata dal fratello, e divenne una presenza indiscussa in ogni collezione degna di nota. Il suo gusto rococò e la leggerezza dei suoi pastelli ispirarono i ritrattisti francesi e si imposero sul gusto del tempo, creando una vera e propria moda.

Se nell’Ottocento le donne erano ancora vincolate alla dimensione domestica e faticavano ad ottenere un riconoscimento professionale nel Novecento riuscirono a svincolarsi dal dilettantismo. L’affermazione nel mondo dell’arte era quasi ormai raggiunta ma negli anni successivi si ebbe un’inversione di rotta e quella che doveva essere una realtà si delineò come una nuova lotta per la riaffermazione artista e professionale delle donne.

Rosalba Carriera, Autoritratto

Di pari passo con la lotta sociale per la parità dei diritti, l’espressione artistica si vestì di femminismo e trovò nelle nuove arti digitali e soprattutto nel video la sua più florida espressione. Il corpo divenne il luogo privilegiato di un’arte controcorrente, eccessiva e provocatoria che chiedeva spazio nei luoghi deputati alla cultura e faticava ad emergere  in un mondo dove l’immagine della donna forse era ancora più ricca di stereotipi del passato. Se nelle collezioni d’arte del Settecento c’era spazio per i pastelli di Rosalba Carriera, per il Metropolitan Museum nel 1989 non c’era ancora posto per le donne. La storia dell’arte “femminile” di questi anni è una storia di clamorose assenze, in cui scoppia la questione femminile e la videoarte diventa l’emblema di un nuovo racconto, svincolato dalle rotte canoniche dell’arte e con il pieno controllo del processo creativo.In questi ritratti di artiste non possono mancare coloro che si impossessano dei nuovi dispositivi, così da Gina Pane a Francesca Woodman, fino alle performance di Marina Abromivić il corpo diventa il veicolo di un racconto personalissimo come l’esperienza del proprio dolore che dagli autoritratti di Frida Khalo si era evoluta in autorappresentazione. Il racconto della propria femminilità non poteva però prescindere dalla decostruzione degli stereotipi, un bisogno incalzante che da Dara Birnbaum ad Alina Marazzi attraversa il nostro secolo.

Alina Marazzi

Alina Marazzi dal dolore di Un’ora sola ti vorrei alla critica silente di Vogliamo anche le rose, racconta se stessa e un nuovo modo di essere artiste che parte dal racconto  personale della propria identità, nello svelamento straziante della morte della madre al bisogno di riaffermarsi e dare la propria versione dell’essere donna, fuori da ogni ingabbiamento sociale, politico e culturale. I suoi film, dove documentario, montaggio e narrazione si incontrano, rappresentano una voce alternativa alle immagini cui siamo abituati, una lettura critica della realtà dove la donna mira a costruire una nuova dimensione di sé, che non deve nascondersi e che In tutto parla di te, può raccontare anche l’oscuro dolore di essere madri e tutto il dramma di un femminile non convenzionale, non detto ma vivo e presente.

Questi che vi abbiamo mostrato sono ritratti di artiste diverse, animate da sogni e bisogni divergenti, figlie di epoche lontane che cercano però incessantemente di non fare del loro essere donne un limite, ma la cifra della loro arte.

Martina Conte per MIfacciodiCultura

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