Ritratto a mano: le voci di Francesco Arena, Giuliana Benassi, Giuseppe Pietroniro

Ritratto a mano: le voci di Francesco Arena, Giuliana Benassi, Giuseppe Pietroniro

Alle mie spalle c’è l’orizzonte dell’Adriatico, quando arrivo nel luogo che accoglie la sesta edizione di “Ritratto a mano”, workshop-residenza d’arte contemporanea, nato nel 2014 nell’ex Convento delle Clarisse di Caramanico Terme. Verso l’ora del tramonto c’è un cielo incerto: preannuncia un probabile cambiamento, come quello che si respira al Royal Gallery Hotel di Giulianova, diretto da Andrea Scarazza, dove ad attendermi ci sono Giuliana Benassi, curatrice del progetto, e l’artista Giuseppe Pietroniro, artista “tutor” della prima edizione e organizzatore insieme ad Angelo Bucciacchio.

Mi chiedo perché questo cambiamento di sede – prima la montagna, ora l’orizzonte del mare – e so già che Giuliana spiegherà il senso di questa diversa immersione. Cosa ha spinto lei e gli organizzatori a cercare nuovi ambienti in cui innestare il senso del loro dibattere, confrontarsi, dare vita a nuove forme d’esperienza creativa?

È il tempo che viviamo, ne sono certa: questa pandemia distanziante ci ha costretti a retrocedere come infanti in un immaginario utero primigenio, per tornare vulcanici a parlare col mondo e a sperare in un diverso stare vicino agli altri. “Ritratto a mano”, infatti, vuole questo: riflettere sul vuoto e l’assenza come spazi di ricostruzione; spingere a raccontare se stessi per cogliere le potenzialità di ogni linguaggio artistico a confronto. E il workshop-residenza curato da Giuliana Benassi, interamente autogestito, ha chiaro l’obiettivo della sesta edizione: la volontà di fare incontrare e dialogare l’artista “tutor” Francesco Arena con dodici artisti selezionati tramite open call, chiamati a presentare i loro lavori conclusivi il 30 maggio 2021, dopo una residenza di otto giorni.

Al mio arrivo sono tutti lì, gli artisti selezionati: ascoltano Francesco Arena presentare i suoi progetti, nella continua conferma di un mutamento da ricercare nell’opera e nel contatto che si instaura con chi la osserva. Una certezza ripetuta con incedere anaforico: «L’opera vive in un perenne presente».

Ad ascoltare Arena ci sono gli artisti Sebastian Contreras, Matteo Costanzo, Flavia Carolina D’Alessandro, Zhang Yuan, Devin Kovach, Silvia Listorti, Tamara Marino, Giorgia Mascitti, Giuseppe Mongiello, Lorenzo Morri, Elisabeth Pfeifauf, Chris Roccheggiani. Immersi come sono tutti – e io con loro – nella penombra di un ambiente che spinge a dirsi e a raccontarsi, viene voglia di assorbire tutto, persino l’aria che tanto ci è mancata nei mesi scorsi, orfani di contatto e d’amore per la bellezza.

Mi siedo con Giuliana Benassi, Francesco Arena e gli organizzatori. Alcune domande per capire, per chiarire. La coralità è figlia di questo nuovo tempo.

“Ritratto a mano” nasce a Caramanico Terme, nel Convento delle Clarisse. Come si arriva a Giulianova e cosa accade in questo spostamento?

Giuliana Benassi «Si verifica un’altra occasione di sperimentazione. Ritratto a mano nasce come workshop contenitore in cui gli artisti sono chiamati a sperimentare il processo artistico. C’è l’aspetto metaforico: ci interessava indagare uno spazio vuoto come quello dell’Hotel scelto, che a livello simbolico rappresenta un vuoto contemporaneo che stiamo vivendo. Poi c’è l’aspetto pratico: occorreva infatti gestire una comunità nel rispetto delle norme di sicurezza in piena pandemia».

Qual è la costante del progetto RAMO?

GB «Sicuramente la continuità. È una parola che ricorre e a cui teniamo molto io, Giuseppe Pietroniro e Angelo Bucciacchio. RAMO è un appuntamento fisso, è così che lo intendiamo: ogni anno un artista tutor diverso dialoga con altri artisti provenienti per selezione dalle Accademie di tutta Italia. Si pone un confronto libero fra loro, che va oltre il mero insegnamento accademico. Qui viene messo in discussione tutto, il processo del lavoro, le scelte fatte. La chiave è il contraddittorio».

Giuseppe Pietroniro «Tra gli artisti selezionati si crea una tensione molto forte. Devono raccontarsi e la loro partecipazione emotiva è significativa. Circa il cambiamento spazio temporale  – Caramanico / Giulianova – è che nel luogo d’origine eravamo in una dimensione di “clausura”, qui a Giulianova invece ci sarà l’indagine di uno spazio sì chiuso, come quello dell’Hotel che ci ospita, ma anche votato all’apertura, perché ha di fronte il mare, l’orizzonte. Si è passati da uno spazio totalmente naturale a uno più urbano».

Rispetto alle altre edizioni, ha influito questo nuovo spazio d’accoglienza sulle prime presentazioni degli artisti?

GB «Notiamo che l’approccio dei partecipanti corrisponde a quello degli altri anni. C’è sempre l’esigenza di trovare uno spazio di libertà. È come se cercassero, nel confronto con l’artista tutor, di liberarsi dagli schemi che vengono dati in ambito accademico».

E qual è un’altra peculiarità del progetto, che lo differenzia dagli altri workshop-residenza?

GB «Noi non chiediamo di produrre un’opera perché alla fine della residenza ci sarà una mostra. Noi invitiamo a riflettere con grande attenzione sul processo e non ci poniamo la finalità primaria di avere fisicamente l’opera. Ci interessa che i partecipanti riflettano sui loro linguaggi come processi creativi e non sull’opera come mero oggetto. Il 30 maggio ci sarà in Hotel una presentazione e restituzione al pubblico dei lavori nati da questa esperienza, che ha l’obiettivo di mettere tutti e tutto in discussione».

Come avete lavorato sulla scelta degli artisti selezionati?

GB «Hanno tutti età diverse. Non ci interessa che siano giovani a livello anagrafico ma che abbiano una varietà di linguaggio, anche molto distante da quella di Francesco Arena, e che vengano da contesti diversi. La cosa che è emersa subito quest’anno, rispetto alle altre edizioni, è che fra loro c’è stata subito unione. Forse perché si viene tutti da una condizione di isolamento e c’è la voglia di confrontarsi di persona. Un confronto che fino ad oggi è stato duro e sincero».

GP «È un’esperienza, quella del confronto così concepito, in cui si crea una sorta di terapia collettiva. Sono molto curioso, perché qui a Giulianova siamo in un ambiente che produrrà certamente nuove forme di approccio al lavoro, un vero e proprio nuovo laboratorio rispetto a quello conosciuto e già sperimentato a Caramanico. Mi interessa molto vedere cosa accadrà quando gli artisti cominceranno a confrontarsi con il mare».

Francesco, com’è stato il dialogo con gli artisti?

Francesco Arena: «Al momento si sono presentati: un momento fondamentale in cui ci si confronta sul proprio lavoro e non è mai facile. Alcuni lavori mi sono sembrati di immediata comprensione, altri un po’ più complessi».

Che cosa ti aspetti da loro?

FA «Credo che rifletteranno molto su quanto è stato e verrà detto. L’opera, frutto della residenza, risentirà in qualche modo dei discorsi fatti. Resta sempre la libertà di esprimersi, ovviamente. Siamo a disposizione per dare consigli e soprattutto per mettere in crisi. La crisi è fondamentale nel processo creativo».

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