Presentato negli spazi di AlbumArte nelle giornate del 19 e del 20 gennaio scorso, “BARCODE” è un progetto di Sonia Andresano (Salerno, 1983) selezionato in collaborazione con la curatrice Lori Adragna e curato da AlbumArte, Dimora OZ e Analogique. La doppia videoinstallazione, concepita come una scansione ritmica che organizza e abita lo spazio, è parte di ARKAD, progetto vincitore della VII edizione dell’Italian Council del MiBACT, sviluppato nel contesto di Manifesta 13 – Les Parallèles du Sud (Marsiglia) e organizzato da KAD (Kalsa Art District).
Il progetto attiva e ricalibra lo sguardo dello spettatore nel riconoscimento del ruolo della barriera come trama sottesa del vissuto quotidiano, allegorizzandola nella forma riconoscibile del cancello. Tale elemento simbolico non risulta solo come principale elemento visuale, ma è anche evocato dalla struttura installativa del video, che sta quasi a richiamarne le due ante semiaperte. Così, in questo rimando, l’artista interroga uno spazio che contiene in sé la determinazione di un confine così come la possibilità di attraversarlo, indagando le possibili prospettive per ripensarne o immaginarne una funzione altra.
Un cancello, quasi come un ready made, innalza una barriera sul nulla: l’assenza di mura, recinzioni, e finanche della stessa proprietà di cui questo dovrebbe definire il limite, crea un’ambientazione straniante, squarciata dall’atto del paradossale scavalcamento del performer. Allo stesso modo, nella seconda metà del video, l’attraversamento diviene un esercizio di equilibrio, espressione di una condizione liminale, dove la vertigine diviene impulso antropologico irrazionale. Così, Andresano offre un contrappunto romantico alla perentorietà della barriera, che si compie in un gesto sovversivo e di appropriazione poetica.
L’associazione della fisionomia del cancello a quella del codice a barre introduce una riflessione non solo morfologica, ma anche identitaria. Se da una parte entrambi gli elementi esistono in una condizione di anonimia, che ne determina un inevitabile processo di sovraesposizione visiva, dall’altra entrambi esprimono una dimensione di unicità, che lega il codice a barre a un singolo e inconfondibile prodotto così come un cancello a un dato spazio privato, della quotidianità, del ricordo.
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