Amicizia: Participio passato del verbo Amare

Amicizia: Participio passato del verbo Amare

Ripenso spesso ai temi della scuola, a quando l’Amicizia aveva la a maiuscola e per loro avrei fatto tutto, ma proprio tutto… e lo dico quasi in senso biblico! Eravamo un bel gruppo, noi del Palazzetto! Certo mi sono sempre diviso tra cuore e mente facendo spola con gli ambienti universitari della mia Napoli ma con loro vivevo la luce e la quotidianità dell’essere di provincia. La vita poi fa sì che tutto questo diventi ricordo e storia ed a rileggerla oggi i contrasti si affievoliscono e tutto mi appare più dolce e poetico. Da qualche parte Peppe dovrebbe avere ancora un foglio scritto a macchina in un pomeriggio a casa dei suoi genitori, dove ci prendevamo tutti in giro coi nostri nomignoli e le nostre paranoie reciproche. Qualche decennio fa lo rileggemmo insieme e ridemmo tanto, e pareva già preistoria. Oggi il pensiero di quello scritto fa librare la mente e mi fa volare ai tempi in cui avevamo usato una macchina da scrivere per metter giù noi stessi ed il nostro essere, nero su bianco.

Erano i tempi della vespa e delle orde alle feste improvvisate, quando il passaparola ci portava ad occupare le case di sconosciuti, feste di compleanno di persone mai incontrate prima. I tempi in cui me ne stavo sdraiato sulla sella del mio bolide bianco a guardare le stelle perchè non mi sono mai piaciute più di tanto le feste con la musica da discoteca. Erano i tempi in cui Max, il playboy del gruppo, pescava a strascico nella moltitudine di ragazzine ammaliate dai suoi colori nordici e Ceccio giocava a fare il teppista. Erano i tempi delle Harley 50, le Rose Rosse monoposto tirate a lucido ed i Sì truccati fino all’inverosimile. Facevamo colletta per comprare le sigarette che ci dividevamo tra noi e se qualcuno riusciva a comprarle di suo si festeggiava. Proprio nel comunicarmi questo, un pomeriggio, io e Antonio ci siamo schiantati contro un 127 e siamo finiti all’ospedale. Pochi minuti dopo, visto che non arrivavamo, MAx e Giovanni erano venuti a cercarci, facendo a loro volta un incidente in Vespa rossa. Due vespe rosse ognuna con due ragazzi finiti in ospedale.

Strane coincidenze unite dal filo dell’Amicizia, la A maiuscola cerchiata dal sentimento e dalla consapevolezza di vivere insieme gli anni migliori delle nostre vite. Peppe giocava a fare il DIGGEI ed improvvisava le attrezzature dalla sera alla mattina. Non era un granchè bravo se non a montare tutto in un batter d’occhio con qualsiasi cosa avesse a disposizione ed in condizioni da equilibrista degno delle migliori scuole circensi dell’Est. La musica suonava fino alle prime ore della notte e poi il silenzio.

Gli amici andavano via e restavamo noi, con le voci della notte e tutta la ferma intenzione di attendere l’alba. Non eravamo solo Amici: eravamo una piccola famiglia in cui ognuno aveva un ruolo né scritto né istituzionale ma un ruolo dettato dai caratteri di ognuno di noi e ci accettavamo proprio così (Ho detto proprio così!). Ad esempio io e Max avevamo stabilito di comune accordo di non discutere mai veramente di cose “serie”, vale a dire di politica o di musica o di “filosofia”. Eravamo troppo diversi e convinti per accennare ad un confronto. D’altronde se uno ha le idee ben chiare ed opposte a chi gli sta di fronte perchè tentare di scardinare solide convinzioni? C’era tantissimo altro su cui crescere insieme, l’amore, la visione del futuro, il sentirsi vicini quando la vita sembrava girare al contrario. Come quando è finito all’ospedale per una triplice ulcera perforata! E’ rotolato giù dalle scale in preda alle fitte che gli assalivano lo stomaco. Il giorno dopo era in ospedale a fare una gastrosopia e noi abbiamo fatto filone a scuola per assisterlo. Certo c’era sua madre ma noi non potevamo mancare. Gli avevano vietato di colpo di mangiare schifezze, di bere birra e di fumare… quasi tutte cose di cui solo noi sapevamo dell’abuso! Quando lo ricoverarono andammo in ospedale con una busta piena di panini schifosissimi ipercalorici, pieni fino all’inverosimile di salse ignote ed ingredienti malsani accompagnati da birre gelate! Mangiammo lì con lui, con lui che ci guardava e rideva di noi che eravamo stati così bastardi da presentarci lì con tutto ciò che lui poteva solo desiderare! Ma il vero, l’unico desiderio che avevamo era di stare insieme tra noi!

Nelle notti delle feste ci cucinavamo qualcosa con pessimi risultati, fossero stati pure quattro spaghetti. Non ne eravamo capaci, neppure Mario che era forse l’unico ad avere il coraggio di accollarsi un fallimento. Ma mangiavamo tutti, di gusto, e ci complimentavamo apertamente per lo schifo che aveva preparato. Per trascorrere la notte si ricordavano i momenti dei giorni addietro, e mai tristi episodi riaffioravano anzi le risate a profusione riempivano la cantina. Conservo ancora, come un tesoro dei più preziosi, qualche VHS di quelle nottate. Qualche accordo di chitarra, tastiera ad accompagnare e si improvvisavano canzoni di sfottò reciproche. Bruciavano le sigarette, palese simbolo di evasione e contestazione. Si fumava di nascosto da tutti allora, senza farci vedere dai nostri genitori che, allora, fumavano quasi tutti!

E poi arrivava l’alba, quella che stavamo tutti aspettando. Gli occhi gonfi di sonno e giubotti indossati per coprirci dal fresco mattino che si poggiava sulla pelle. Il sole alla destra spuntava tra gli alberi e la luna tenace a guardarlo insieme a noi. Guardavamo in silenzio e distrutti dalla stanchezza quello spettacolo che a nostra insaputa si ripeteva ogni santo giorno. Eravamo tutti consapevoli che vederlo dal vivo, di tanto in tanto, ci avrebbe reso tutti un po’ più umani. Si ripuliva quindi la rugiada dalle selle dei motorino 50 e qualcuno andava a prendere i cornetti caldi. Ci riempivamo la faccia ed i vestiti di cioccolato caldo che colava da ogni dove e ad uno ad uno ci salutavamo, dandoci appuntamento da lì a qualche ora per ritrovarci di nuovo insieme.

Non ricordo bene cosa facessimo durante il tempo che trascorrevamo insieme. So solo che parlavamo e parlavamo e ridevamo e ridevamo, ma tanto. Ognuno riportava ciò che aveva visto o sentito a scuola o in famiglia o in televisione. Film idioti, prof antipatici, interrogazioni ed affari di famiglia. Ci ascoltavamo tutti, nessuno escluso, e facevamo scorrere le nostre adolescenze nella condivisione dei nostri reciproci momenti privati, dei quali non vedevamo l’ora di parlarne tra di noi. Erano altri tempi quelli, erano i tempi in cui si condivideva a voce e s’interpretava liberamente il senso dei racconti. Erano i tempi in cui le partite di calcio si giocavano la domenica e si poteva fare tredici. Erano i tempi in cui i pazzi del paese erano custodi di verità e noi dovevamo carpirne i segreti, tempi di santoni della cabala e prime guide in Fiat 126. Erano i tempi in cui eravamo curiosi e sapevamo ascoltarci… erano i tempi in cui stava nascendo il presente!

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