Tijuna, il confine immobile resiliente

Tijuna, il confine immobile resiliente

Testo e fotografie di Federico Mirto

Oh maledizione di Malinche, malattia del presente
quando lascerai la mia terra?
quando renderai libera la mia gente?

(La malediciòn de Maliche, Gabino Palomares)

Tijuana, città messicana della frontera Norte, si trova nello stato della Baja California al confine Nord- Ovest con gli Stati Uniti. La ricca San Diego dista solo circa trenta chilometri e, come nelle migliori tradizioni occidentali, la separazione territoriale è stata marcata con chilometri di muro che attraversano la costa, deturpandone la naturalezza selvaggia del paesaggio. 

Negli anni del proibizionismo americano la città è stata ribattezzata “Sin City” (città del peccato) per l’alcool e gli stript clubs a poco prezzo e sarà proprio la vicinanza con gli Stati Uniti a trasformare Tijuana in una delle città più ricche del Messico, meta ambita per le maggiori possibilità di lavoro rispetto al resto del paese. 

La bipolarità identitaria della città si respira ovunque: da una parte rimane forte l’orgoglio delle ricche tradizioni messicane, dall’altra c’è il desiderio di imitare lo stile di vita dei gringos. Ne sono un esempio i moderni centri commerciali e il diffuso utilizzo dei dollari americani. 

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Marcia per la difesa del diritto di asilo, Tijuana, ottobre 2020

In Messico, per descrivere l’idealizzazione delle altre culture e l’esaltazione di altre nazioni oltre la propria, usano la parola malinchismo. Il termine ha la sua origine ne La Malinche, la donna che accompagnò Hernán Cortés come guida e interprete verso il dominio del suo popolo, c’è anche una famosa canzone popolare La maldición de Malinche che racconta lo sfruttamento delle popolazioni native da parte degli europei e dei nord americani. La rincorsa del sogno americano è sempre stata una costante nella storia del paese e ancora oggi non si è fermata.  

Le delimitazioni strutturali  del confine nascono quando nel 1994 l’amministrazione Bush senior attivò il programma “Guardian” inaugurando la costruzione della barriera che da semplici reti metalliche e filo spinato iniziò a trasformarsi fino a prendere le forme di un muro composto da lastre d’acciaio quasi invalicabili. Negli anni, con l’inasprimento delle politiche migratorie, il Congresso Americano ha approvato a più riprese l’integrazione di sensori di movimento, visori infrarossi, illuminazione notturna ad alta densità e il raddoppiamento degli agenti alla frontiera, tanto che oggi molti migranti scelgono di attraversare il confine passando per zone rischiose e affidandosi ai trafficanti (coyotes) che promettono di raggiungere il territorio statunitense chiedendo anche fino ai 12 mila dollari. 

L’anima delle città di frontiera va vissuta fino in fondo per capirne le contradizioni e la ricchezza, lasciando da parte ogni naturale istinto consuetudinario di filtrare e guardare attraverso schemi di convinzioni che diamo per scontato siano assolute. Nell’immaginario collettivo generalmente una città come Tijuana rappresenta un luogo dinamico di passaggio, infatti con i suoi 20 milioni di transiti (non clandestini) all’anno è una delle frontiere più trafficate del mondo ma allo stesso tempo può racchiudere diversi punti fermi. 

Il modello urbanistico su cui si evolve la città stessa include micro-luoghi immobili come El Canal che dà riparo ai senza tetto, Las Playas dove si trovano le barriere di acciaio del muro che sfiorano l’oceano, le baraccopoli che contornano la città e i tanti albergues (centri di accoglienza) dove trovano riparo i migranti. 

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Playas de Tijuna, ottobre 2020

I centri di accoglienza 

Tijuana è nota per essere la città di frontiera per eccellenza, il punto di arrivo per tanti ma negli anni anche tristamente nota per essere un luogo di rimpatrio per i deportados. Le deportazioni di immigrati illegali non si sono mai interrotte, anche con la presidenza Obama i deportati furono circa due milioni e mezzo tanto da far guadagnare al presidente l’appellativo di deporter in chief (deportatore in capo). La situazione è precipitata con l’amministrazione Trump che ha dato ordine di separare i figli dai genitori entrati illegalmente nel Paese e ha introdotto il divieto di aspettare in territorio americano l’esame della richiesta d’asilo. Anche i flussi di migranti provenienti dal Sud sono incessanti e neanche la pandemia del covid- 19 è riuscita a rallentare il fenomeno. Le cause che spingono i migranti provenienti da Guatemala, Honduras ed El Salvador sono di origine politica, economica ed ambientale ma il denominatore comune è la violenza che subiscono durante il viaggio caratterizzato da minacce, estorsioni e violenze sessuali. 

La grandezza di Tijuana sta nell’ accogliere tutti, ne sono testimone le comunità di haitiani perfettamente integrate in un contesto linguistico e culturale diverso dalle proprie origini. I flussi migratori non vengono gestiti da strutture pubbliche, statali o federali ma il sistema di accoglienza si regge sulla forza delle associazioni volontarie per la maggioranza religiose. Queste strutture, chiamate albergues, oltre a dare un posto letto e un pasto caldo offrono servizi per aiutare gli ospiti rifugiati a integrarsi nella società. 

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Un’ospite migrante prepara le popusa, piatto tipico del El Salvador, Casa del Migrante , Tijuana 

Uno dei centri di accoglienza più grandi della città è la casa del migrante gestita dalla congregazione degli Scalabrini aperta nel 1987. Il centro è accogliente e offre molti servizi, tra cui quello legale, psicologico e un percorso per l’inserimento al lavoro. Nell’arco del soggiorno che in media è di 30 giorni gli ospiti possono seguire dei corsi di formazione, usufruire del servizio medico, avere tre pasti giornalieri e un posto letto. Le regole per l’ingresso sono chiare: ogni ospite deve collaborare nella pulizia giornaliera, in cucina e in altre attività richieste.

Da quando è scoppiata la pandemia del covid 19 il centro ha dovuto dimezzare gli ingressi perché la paura è tanta e nonostante si siano attrezzati con varie camere per la quarantena, termometri, gel disinfettanti tutti sono consapevoli dei rischi e del sistema sanitario messicano al collasso. In pochi mesi la casa del migrante si è attrezzata per ospitare anche le famiglie, molte delle quali provenienti proprio da stati messicani dove impera la criminalità e la lotta fra gangs legate al narcotraffico.

Quando chiedo alle giovani madri perché proprio Tijuana mi rispondono che non si è mai abbastanza lontani dal pericolo e mi confermano che stati come Michoacan e Guerrero sono a tutti gli effetti una delle zone più pericolose al mondo. L’istinto materno, la forte fede cattolica spinge al viaggio anche donne in stato di gravidanza avanzato perché non c’è sogno più grande che poter far nascere i propri figli al di là del confine messicano. I più piccoli un giorno dimenticheranno, ma non tutti, perché le vittime di sequestri e minacce portano la paura negli occhi. È il caso di Gabriel, 17 anni, unico ospite della sua età: viene dallo stato di Michocan, mi confessa di sentirsi solo ma è contento di essere qui, dopo essere stato rapito temeva per la vita di sua madre e del fratellino così sono stati costretti a fuggire. Avverto il suo forte bisogno di raccontarsi e provare spiegare qualcosa a chi come me la violenza non la vive tutti i giorni.  Per i ragazzi della sua età è normale essere ricattati e finire a essere reclutati come manovalanza dalle gang locali,  gli piace Tijuana anche se non ha avuto modo di visitarla, passa le giornate ad ascoltare  la musica pop e a disegnare, ha voglia di innamorarsi e di conoscere qualcuno e qui finalmente si sente libero di vivere la sua omosessualità, ridiamo insieme quando mi chiede consigli sulle relazioni e lo ringrazio per rendermi testimone della sua grande voglia di vivere la sua adolescenza lontano dalla brutalità di cui è stato vittima. 

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Stanza del dormitorio della Casa del Migrante, Tijuana, novembre 2020

Gli effetti a lungo termine della pandemia colpiranno soprattutto i ragazzi in età scolare perché le scuole sono chiuse da un anno e anche se il centro fornisce una sala per giocare, educatori e aule con il computer non tutti possono seguire le lezioni online e molti bambini arrivano analfabeti presentando disturbi del linguaggio e dell’apprendimento. I bambini si abituano facilmente per loro la casa del migrante è un luogo sicuro dove ricevono le attenzioni del personale che propone attività quotidiane e prova a colmare le lacune scolastiche.  

Nel centro il tempo sembra immobile, a causa del covid si può uscire solo per andare al lavoro e tutte le altre uscite devono essere autorizzate dal personale, la routine è scandita da orari rigidi, la maggior parte dei residenti esce presto per andare a lavorare e torna la sera in tempo per la cena nella mensa. Non posso non notare la stanchezza di alcuni volti e la resilienza negli occhi di alcune madri che dopo ore di lavori fisicamente estenuanti non mancano di aiutare con i lavori domestici e di accudire i bambini. I migranti lavorano quasi tutti ma gli stipendi rimangono bassi per potersi permettere gli affitti della città che rimangono molto cari e fa paura la vita fuori dal centro soprattutto ora che il sogno americano rimane ancora più lontano. Nelle attività quotidiane, soprattutto in cucina, si condividono le storie, la cultura ma anche la sofferenza e la stanchezza di aspettare per chissà quanti altri mesi vivendo con la costante aspettativa alla quale anche il nuovo presidente Joe Biden sta cercando di porre rimedio.  

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Una bambina ospite della Casa del Migrante partecipa alla celebrazione della vergine di Guadalupe, Tijuana,  dicembre 2020

Gli ospiti del centro sono consapevoli di essere fortunati ad essere riusciti ad avere un posto o intere camere riservate ai nuclei famigliari, con la pandemia arrivare al nord dal sud è sempre più difficile, molti migranti rimangono bloccati nella città di Tapachula al confine con il Guatemala. In nome della sicurezza nazionale da marzo 2020 non è stato più possibile entrare negli USA per i viaggiatori non essenziali anche se i cittadini americani hanno continuato ad entrare in territorio messicano senza nessuna limitazione. Inoltre l’amministrazione Trump ha strumentalizzato l’emergenza sanitaria per chiudere i confini nazionali e sospendere le richieste di asilo in corso. Le prime conseguenze concrete per continuare le politiche di contenimento dell’immigrazione furono applicate tra la metà di marzo e l’inizio di Settembre per respingere alla frontiera oppure espellere dagli Stati Uniti con procedure sommarie circa 200.000 individui tra richiedenti asilo, originari dell’America centrale e dell’Africa, e immigrati irregolari, prevalentemente ispanici, in base a una legge del 1944 che autorizza il presidente a ricorrere ad azioni straordinarie, compresa la deportazione degli stranieri, per impedire l’introduzione di malattie contagiose.

I centri di accoglienza fanno un ottimo lavoro e si reggono sulla forza del volontariato e delle donazioni: è sorprendente vedere come questi mesi di sofferenza e d’impoverimento per molte famiglie non abbiano fermato il flusso di donazioni, c’è chi passava solo per lasciare un pacco di tortillas calde o a regalare del vestiario a qualsiasi ora del giorno. La sensazione che si percepisce al momento, complice anche la pandemia, rimane molto statica finché non ci sarà un’accelerazione delle procedure per i richiedenti asilo e la riapertura regolamentata degli ingressi negli Stati Uniti. Il pericolo è dunque quello di trasformare questi centri in grande sale d’attesa dove l’obiettivo, nella maggior parte dei casi, è aspettare la riapertura del confine. 

L’articolo Tijuna, il confine immobile resiliente proviene da Witness Journal.

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