Tina Modotti: un volume (e una mostra) dedicati alla sua opera

«Tina Modotti, sorella, tu non dormi, no, non dormi: forse il tuo cuore sente crescere la rosa
di ieri, l’ultima rosa di ieri, la nuova rosa.
Riposa dolcemente, sorella.

La nuova rosa è tua, la nuova terra è tua:
ti sei messa una nuova veste di semente profonda
e il tuo soave silenzio si colma di radici.
Non dormirai invano, sorella».

Sono  i primi versi dell’epitaffio che Pablo Neruda compose in morte di Tina Modotti. Accadeva esattamente 79 anni fa, a Città del Messico.
Parliamo di Assunta Adelaide Luigia Saltarini Modotti – detta Tina – nata in quel di Udine nel 1896 e morta, in circostanze mai del tutto chiarite, il 5 gennaio del 1942 per vari motivi. Uno ovvio: non se ne parla mai abbastanza. Fotografa, attivista e già attrice italiana, fu donna di tale impeto e talento da meritare di essere conosciuta molto più di quanto già non sia: vi basterà osservare gli scatti in bianco e nero che vi proponiamo qui per capirlo oppure navigare qui per osservare alcune opere da vicino o, su Instagram, seguire questo hashtag su Instagram.

Tina Modotti, “Donne, Messico e libertà” (24 Ore Cultura)
Tina Modotti, “Donne, Messico e libertà” (24 Ore Cultura)

Un libro in uscita e una mostra di prossima apertura al Mudec Museo delle Culture di Milano ci aiutano a capire meglio la complessità di Tina Modotti. Biba Giacchetti cura il volume Tina Modotti. Donne, Messico e libertà (edito da 24 ORE Cultura, in libreria dal 4 febbraio), un viaggio attraverso gli scatti della fotografa, simbolo di emancipazione e modernità, la cui arte è indissolubilmente legata all’impegno sociale. «Al centro dei suoi scatti – dicono Paolo Ferrari e Claudio Natoli, che firmano due saggi nel volume fotografico -, ci sono la figura del contadino indio come soggetto di storia, la conquista della sua autonomia politica e culturale e poi le forme di un lavoro oppressivo e defatigante, della disuguaglianza e della miseria urbana, le immagini di bambini e di madri nella povertà e insieme i simboli della liberazione del lavoro: la falce e il martello, la pannocchia e la cartucciera, la chitarra e il sombrero».

Alcuni di questi scatti  – un centinaio tra fotografie, stampe originali ai sali d’argento degli anni Settanta realizzate a partire dai negativi di Tina – saranno in mostra al Mudec Museo delle Culture di Milano nelle prossime settimane (la data ufficiale di apertura non è ancora stata comunicata, ma per la Museo City Week dal 2 al 7 marzo dovrebbero essere ormai aperte tutte le mostre in città) insieme a lettere e documenti conservati dalla sorella Jolanda e un video-racconto dedicato allo spirito libero della fotografa friulana.

Tina Modotti. Le donne di Tehuantepec portano frutta e fiori sulla testa, dentro zucche dipinte chiamate jicapexle. Anno: 1929 © Tina Modotti

Tina Modotti. Le donne di Tehuantepec portano frutta e fiori sulla testa, dentro zucche dipinte chiamate jicapexle. Anno: 1929 © Tina Modotti

La biografia di Tina Modotti è un romanzo con pagine chiaroscure. Tina nasce in una famiglia operaia con pochi mezzi: a 12 anni è già in fabbrica, per contribuire al ménage familiare, a 17 s’imbarca dall’Italia per raggiungere il padre, emigrato in America a cercar fortuna. Prima di partire dallo zio Pino, fotografo, apprende le prime nozioni di quell’arte che tanto la affascina. Approda a San Francisco: è sveglia, bella e giovane e si fa conoscere nei teatri locali, in rappresentazioni amatoriali dove incontra il pittore Roubeaix de l’Abrie Richey, detto Robo, che diventa presto suo marito. I due si trasferiscono a Los Angeles: il fascino esotico di Tina – pelle di luna, capelli corvini – non lascia indifferenti gli studios dell’epoca e per lei cominciano i primi provini e successi, tra cui la pellicola The Tiger’s Coast, del 1920. Ma Tina Modotti non è tagliata per fare l’attrice: deplora il sistema cinematografico, disprezza i mezzucci di Hollywood e decide presto di lasciare la recitazione. Nel frattempo,  la vita le riserva altre giravolte.

La prima ha le vesti affascinanti di un amico del marito, il fotografo Edward Weston: in poco tempo, Tina diventa la sua modella preferita e, poi, la sua amante. La situazione precipita: Robo scappa in Messico per la delusione, Tina cerca di raggiungerlo dopo un po’, ma arriva tardi. L’uomo ha preso il vaiolo ed è morto. Passerà qualche anno e Tina tornerà con Weston in Messico, il Paese che diventerà la sua patria d’adozione.

Tina Modotti. Contadini che leggono «El Machete». Anno: 1927, Messico © Tina Modotti

Tina Modotti. Contadini che leggono «El Machete». Anno: 1927, Messico © Tina Modotti

Seguiranno anni pazzeschi. Modotti e Weston, alla perenne ricerca di committenti per i ritratti del fotografo, intrecciano relazioni con gli espatriati europei e americani e con tutti i circoli bohèmien di Città del Messico: Tina, in particolare, seduce tutti. Sono suoi amici (e amanti) vari esponenti di punta del Partito Comunista Messicano (i più radicali: Xavier Guerro, Julio Mella, Vittorio Vidali) e instaura relazioni fortissime anche con Diego Rivera e Frida Kahlo (del suo rapporto con la celeberrima artista si vocifera subito sia molto più che un’amicizia).

Tina Modotti fa politica attiva (è tesserata del Partito Comunista Messicano) ma continua a lavorare in camera oscura, grazie a Weston. Viaggia col marito nel Paese come ritrattista ed è, per volontà di Rivera, la fotografa ufficiale del movimento muralista. Ama anche la fotografia di paesaggio, quella dei fiori in particolare e affina la sua tecnica.
Nel ‘29 una tragedia: muore Julio Mella, suo compagno da pochi mesi, in un agguato politico. Tina Modotti entra nel cosidetto “periodo rivoluzionario”: ormai è certa che l’arte fotografica debba essere messa al servizio delle cause politiche in cui crede e parte, con intraprendenza rara, per un viaggio sull’Istmo della regione Tehuantepec per documentare le donne indigene che vi abitano, in tutta la loro forza e bellezza. A vederli oggi, gli scatti sono di una potenza commovente.

Ennesima giravolta del fato: quel Messico che tanto amava ora la esilia, come rivoluzionaria sediziosa è costretta ad andarsene. Ufficialmente farà l’infermiera per il Soccorso Rosso ma è cooptata dalla polizia segreta sovietica per varie missioni di spionaggio in Europa. In Spagna ritrova Vidali e i due cementano la loro unione sentimentale con l’adesione alle Brigate Internazionali fino all’arrivo del regime di Franco, quando scappano in Messico, sotto copertura.

Tina Modotti. Concha Michel suona la chitarra. Anno: 1928, Messico © Tina Modotti

Tina Modotti. Concha Michel suona la chitarra. Anno: 1928, Messico © Tina Modotti

L’epilogo è triste e macchiato di infami dicerie. Tina Modotti e Vittorio Vidali vengono accusati di complicità per l’assassinio di Trockij, avvenuto in Messico il 21 agosto del 1940, ma nessuno ha mai fornito prove certe del loro coinvolgimento. Nebulosa è anche la vicenda che circonda la morte stessa della fotografa, accaduta quando si trovava in taxi, sulla via di casa, dopo una cena con amici, il 5 gennaio del ‘42.

Assassinata perché “sapeva troppo”? Vittima di un amante deluso? Oppure del controspionaggio? Probabilmente la causa della morte fu un malore. All’indomani dell’accaduto e per mettere a tacere ogni pettegolezzo Pablo Neruda volle omaggiare la grandezza della friulana pasionaria con una poesia.

Eccoli, i versi finali del suo epitaffio:

«Nelle vecchie cucine della tua patria, nelle strade
polverose, qualcosa si mormora e passa,
qualcosa torna alla fiamma del tuo adorato popolo,
qualcosa si desta e canta.

Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il tuo nome,
quelli che da tutte le parti, dall’acqua, dalla terra,
col tuo nome altri nomi tacciamo e diciamo.
Perché il fuoco non muore.»

Il fuoco non muore, la fotografia di Tina Modotti ancora oggi, per noi, ha una messa a fuoco straordinaria.

Tina Modotti. Calle. Anno: 1924, Messico © Tina Modotti

Tina Modotti. Calle. Anno: 1924, Messico © Tina Modotti