Nelle attività del progetto di ricerca artistica internazionale DEBRIS/DETRITI Sergio Racanati (Bisceglie, 1982), vincitore del Bando MiC -Italian Council- XI edizione, presenta gli esiti della residenza che ha svolto tra dicembre 2022 e marzo 2023 nel centro culturale Campo de Heliantos, diretto dalla scrittrice Graziela Braum, nel villaggio Alter do Chao nella foresta amazzonica brasiliana. Dopo gli appuntamenti alla Pinacoteca Giuseppe De Nittis a Barletta, al Museo Madre di Napoli e presso Frigoriferi Milanesi Centro per l’Arte contemporanea, lo abbiamo raggiunto all’incontro tenuto al MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna.
Con il grant ricevuto dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura per la promozione dell’arte italiana all’estero, Racanati ha lavorato col supporto della curatrice e mediatrice culturale Cassia Regina Andrade Pereira raccogliendo materiale audio video, come da sua consolidata attività filmografica, e componimenti poetici, che propone coerentemente con le proprie modalità performative attraverso proiezioni, reading e sessioni d’ascolto, in questo caso di brani tradizionali e contemporanei dalle sonorità Carimbò. Interventi che ci consegnano a fondo i risvolti politici e poetici dei territori in cui si è immerso.
«Giriamo nella foresta / immaginatevi cosa accade nel fare una curva / ritrovarsi veramente su un altro pianeta / dentro un altro ecosistema». Il suo processo relazionale di scambio con il pubblico è parte integrante di una pratica rivolta nello specifico alle vertenze dei Sud del mondo, da quelle energetiche ambientali a quelle dei diritti umani, attingendo dai Global South Studies e contribuendo col suo sguardo d’artista ad affermarne l’attualità cocente.
Un SUD che sconfina la geografia, dal Sud italiano in cui ha scelto di vivere, la Puglia, a quello oggi universalizzato, a cui si interessa «interrogando il senso della storia, delle forme di colonizzazione, subalternità e dei necessari processi di emancipazione» afferma Racanati. La ricerca mira all’incontro con antropologi, studiosi, accademici e comunità locali e ha già avuto sviluppi nelle tappe in India/Himalaya, in Argentina/Buenos Aires, Rosario e Yuyuy, in Costa Rica/ San José oltre che in Italia a Palermo per il Public Program di Manifesta 2018, in Puglia naturalmente e in Calabria, a Cosenza.
Come emerge dalle restituzioni, prossimamente anche in istituzioni all’estero, DEBRIS/DETRITI è un racconto su più livelli per cui l’artista ricorre allo studio e l’analisi e allo stesso modo alla sensorialità, e che ci parla, oltre che di post colonialismo e post industrializzazione, di energie rigenerative.
Sergio, il tuo lavoro in Amazzonia riferisce di molte urgenze globali, quali estrattivismo, industrializzazione e sfruttamento dei corpi. Che ruolo ti dai come artista practitioner in questa società cinica?
«Quello che è emerso e che sta emergendo sono le riflessioni sulle nuove necessità del fare arte, del ruolo dell’artista, delle reti di muto soccorso, delle reti di coproduzione, progettualità di economie solidali, nuove traiettorie ecosostenibili sia per le politiche culturali sia per le politiche sociali ed economiche. In questo particolare momento storico, attraversato da multiple e repentine crisi di diverso carattere, sono sempre più convinto che “noi” artisti abbiamo un’occasione unica per attivare progetti-processi che aiutino a immaginare un più equo e ottimistico futuro comune. Io sono ormai focalizzato sulle molteplici e intricate relazioni tra comunità, cultura e geopolitica e sono sempre più orientato all’incrocio e allo scambio tra territori, culture e ibridazione dei linguaggi restitutivi.
In un mondo pervaso da profonde divisioni politiche e disuguaglianze economiche sempre più crescenti, continuo a immaginare spazi-tempi in cui possiamo vivere insieme: sono interessato alla sperimentazione sempre più insistente di modelli ecosostenibili di coabitazione. Questo non solo da una prospettiva meramente architettonica. Lo penso veramente come processo per re-immaginare i processi di nuove polis.
La mia pratica e ricerca sono rivolte alla possibilità di raccogliere e rinarrare un insieme di racconti, una costellazione di storie in grado di riflettere l’affascinante, splendido caleidoscopio dell’umanità, delle geografie, dei sogni e dei bi-sogni delle comunità, attraverso voci laterali, marginali, defilate ma significative per tratteggiare e individuare nuovi ecosistemi.
Il cambiamento è un processo graduale, lento, faticoso, complesso, ricco di inceppi e di dolore. Questo lo devo dire. Dolore perché vivo in stretto rapporto con soggettività fragili per n motivi. Aspetto fondamentale per me, di quello che negli anni ho definito “materiale fragile dell’umanità”, è il rispetto, catalizzatore, motore ed energia per far accadere il miracolo – passatemi questa espressione scevra da ogni forma di credo religioso – dei cambiamenti. Mi piace accostare il mio lavoro come artista practitioner alla dimensione del facilitatore, che necessita, attiva e implementa approcci e strutture dialogiche con e nelle comunità».
Sei stato l’unico italiano nel programma pubblico della ruruHaus durante dOCUMENTA 15 2022, che responsabilità hai sentito di avere?
«Non credo che la mia responsabilità fosse quella di essere unico italiano, ma da artista di svolgere un lavoro e una riflessione all’altezza di una platea globale, come quella che attraversa Kassel durante cento giorni. Rispetto al fatto di essere italiano, mi piacerebbe dire che le istituzioni artistiche forse non sono sintonizzate ancora su processi artistici e culturali che interessano me. Forse sono invisibile ai loro occhi. Oppure sono io che le “invisibilizzo” per nel lunghissimo termine intercettare e captare crepe al loro interno e potermi infiltrare. Mi piace molto questa immagine che porta con sé un sogno politico e poetico».
Ti rivolgo la stessa domanda che ho posto ad Anna D’Elia autrice di Arte per il pianeta (Meltemi, 2023) in questo scambio per exibart. Vista la necessità di “responsabilità collettiva” su questi temi globali ci si aspetterebbe un’organizzazione internazionale di artisti riuniti. Tu ti muovi da solo?
«Ho abbracciato il movimento NO GLOBAL: ne venni travolto, fulminato istantaneamente. Era la fine degli anni ’90. Ho preso parte nell’estate 2000 ad uno dei raduni più incisivi del movimento, a Londra dove mi ero trasferito come mio solito per un viaggio-studio. NO GLOBAL e di lì in poi approfondimenti, radicalizzazioni, revisioni, trasversalità. Anni di attivismo ambientale, veganesimo radicale e movimenti di liberazione da ogni forma di pregiudizio e tabù di genere, orientamento sessuale, culturale e religioso-spirituale, per approdare e abbracciare il grande sentimento/movimento QUEER.
Oggi, all’alba del 2024, sto cercando di tenere insieme diverse lotte. Non sento ancora una forza dirompente, coesa. Una forza di movimento in senso quasi fisico. Corporeo. Energetico. Avverto sicuramente l’emersione e la presenza di movimenti che ruotano intorno alle questioni climatiche, eco-trans-femminismo e nuove identità politico-sessuali e di genere. Faccio parte di diverse reti di discussione, gruppi formali e informali.
Il clima globale è interconnesso a tutte le nostre azioni. Ogni nostra azione è poi connessa con potenti energie invisibili. Nel mio quotidiano cerco di curare le energie invisibili affinché possano riverberare nei fasci di luce portando cambiamenti verso il polo positivo. Mi impegno attraverso una serie di pratiche a tenere il mio stato vitale alto, nella speranza di far avvenire reazioni a catena cercando di contagiare il più possibile chi mi circonda. Siamo veramente tutt* messi male in questo momento. Sulla Terra gravitano energie negative. Prova a dare un’occhiata ai Pianeti. Spero vivamente in un cambio di rotta. E di orbita».
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