William Blake (Londra, 28 novembre 1757 – ivi 12 agosto 1827) rappresenta una figura chiave del Preromanticismo inglese, atipica rispetto ai suoi successori. La sua opera poetica recepisce l’influenza del mentore del Romanticismo europeo, il ginevrino Jean-Jacques Rousseau con la sua teorizzazione del “buon selvaggio”. Questa si nota particolarmente in Songs of Innocence and Experience: Shewing the Two Contrary States of the Human Soul (1789-1794, Canti dell’innocenza e dell’esperienza: che mostrano i due stati contrari dell’animo umano). In essa, il magistero di Rousseau si fa sentire nel modo in cui Blake descrive i due stati dell’essere umano: l’innocenza e l’infanzia non sono toccate dalla malvagità dell’uomo e, soprattutto, della società (forte è il riferimento all’Emilio). Simbolo dell’infanzia di Blake è l’agnello, che non rimanda come ci si potrebbe aspettare a Cristo, quanto alla fanciullezza e alla sua incorruttibilità.
Il contatto col consorzio umano è inevitabile ed è lì che, sintetizza Blake, lo splendore dell’infanzia è completamente perso, per lasciar posto agli orrori dell’età adulta. Assurge a simbolo di questo fase la tigre, alla quale l’Io lirico rivolge la sua lancinante domanda: come è possibile che il Dio che ha creato l’agnello abbia creato anche la tigre? Per rispondere a questa domanda è opportuno conoscere la riflessione teologica del mistico tedesco Jakob Böhme (1575-1624): Dio, in quanto sostanza, non può essere ritenuto né buono e né cattivo e, conseguentemente, la Creazione contiene istanze sia positive che negative.
Tigre! Tigre! divampante fulgore | Nelle foreste della notte, | Quale fu l’immortale mano o l’occhio | Ch’ebbe la forza di formare | La tua agghiacciante simmetria?
da Tigre, in Canti d’esperienza, 2000
Il manifesto della perversione della vita adulta è rappresentato da London (1794): la capitale inglese si contraddistingue per lo sfruttamento industriale e per il colore nero che sporca i muri di palazzi governativi e chiese (a indicare anche l’indifferenza delle due istituzioni). Il Tamigi è sfruttato e insudiciato e non esiste libertà di pensiero e parola.
La mitopoiesi di William Blake risente dell’influenza di Milton, della Bibbia, delle visioni di Swedenborg e di Böhme. Essa è coerentemente esposta in Vala, or The Four Zoas (1797, rimasto incompiuto). Si tratta di una complessa riscrittura biblica a cui si assommano anche influenze druidiche e, in generale, pre-cristiane. Dopo la caduta del gigante Albion (dal nome del leggendario gigante che abitava l’Inghilterra) nascono i quattro Zoas (quattro parti) e, da essi, discendono quattro derivazioni femminili. Anche nella sua mitologia è da ritenere la presenza di una critica sociale.
Blake non è stato soltanto un grandissimo poeta, ma anche un fine illustratore e incisore.
I suoi Canti sono stati da lui magistralmente illustrati, così come gli Zoas. Ma il suo lavoro più importante è di sicuro quella fatta per illustrare la Divina Commedia: l‘incarico di illustrare l’Inferno di Dante fu affidato a Blake del 1824 da John Linnell. La morte, però, lascia il lavoro incompiuto: oggi abbiamo 102 acquarelli (72 dall’Inferno, 20 dal Purgatorio, 10 dal Paradiso), non tutti completi.
William Blake ci lascia un’importante eredità socio-letteraria, dove è forte la dialettica tra critica sociale e l’aspirazione a un mondo migliore, uno scontro reso ancora più palpabile ed evidente dai suoi disegni.
Una verità detta con tristi intenti | è peggior d’ogni bugia che tu t’inventi.
Andrea Di Carlo per MIfaccioDiCultura
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