Donna riservata, silenziosa e molto intelligente, scrutò la realtà e intuì i cambiamenti della pittura europea. Il suo nome è spesso legato al grande Eduard Manet, cognato e punto di riferimento artistico che la ritrasse nel 1872. Nel ritratto la luce è intensa ma laterale, gli occhi verdi sono profondi e neri come l’abito e il cappello, il suo sguardo fisso è quasi ipnotico. Paul Valery nel 1932 scrive: «Nell’intera produzione di Manet non c’è nulla che eguaglia il ritratto di Berthe Morisot».
La grande abilità di Morisot fu proprio quella di rendere attraverso la pittura gli stati d’animo delle donne che amava ritrarre. Visse all’ombra dei grandi pittori impressionisti francesi, ma questo fu per lei un vantaggio perché le diede la possibilità di sganciarsi man mano da quella sua maniera di immortalare luce e colori, per sperimentare e anticipare un nuovo linguaggio artistico.
Nel 1892 ritrae la figlia Lucie Leon al piano immersa nel fondo blu che l’avvolge e quasi l’assorbe, come la musica che evidentemente sta risuonando nella stanza. Le pennellate sono lunghe e veloci, irregolari seguono l’emozione del momento che, come in una foto, viene velocemente impresso nell’opera. Il dipinto rimanda da un lato ai ritratti di Renoir e dall’altro a Matisse, lo sguardo di Lucie è lo stesso che Berthe ha nel ritratto di Manet, ma qui volutamente non trapela nessun riferimento emotivo. La protagonista non è la giovane pianista ma la musica che lei sta suonando, ogni nota è diventata una pennellata che si distende, sale e scende, balza e si acquieta restando sospesa nell’aria.
Il Novecento sarebbe stato il secolo ideale per lei che aveva saputo mostrare e celare una grande sensibilità, consapevole che i tempi non erano ancora maturi per comprendere che un donna è cuore, cervello e soprattutto grande intuito, prima di essere moglie e madre.
Felicia Guida per MIfacciodiCultura
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