Il 30 marzo del 1746 nacque a Fuendetodos, nelle vicinanze di Saragozza, Francisco José de Goya Lucientes. La sua produzione artistica segnò un importante momento di passaggio, che permise di rivolgere lo sguardo al futuro.
Considerato l’ultimo artista del Settecento, ponendo l’attenzione sulle vulnerabilità umane, aprì la strada ad artisti come James Ensor (1860 – 1949), Edvar Munch (1863 – 1944) e ancora Francis Bacon (1909 – 1999). Rappresentò infatti un ponte tra il raziocinio illuminista e l’avanzare dei tormenti interiori tipici dell’uomo romantico.
Se da un punto di vista formale Goya arrivò a dar vita a composizioni senza precedenti, segnate da una radicale quanto precoce affermazione dei valori emotivi sulla mimesi (aristotelicamente intesa), dalle sue opere emerge la ricerca di un equilibrio tra follia e ragione, dove la prima priva della seconda produce null’altro che atrocità. Questo ci consente di capire le salde radici illuministe dalle quali si sviluppa la personalità e l’arte dell’artista, genio del suo tempo. Non a caso a rappresentare l’articolo in copertina è l’incisione n°43 della serie I Capricci: Il sonno della ragione genera mostri (1797).
A segnare il suo lavoro in maniera netta furono due precisi avvenimenti. In primis la sordità, che lo colpì nel 1792, maturata in seguito ad una grave malattia. I colori ed i temi all’interno delle sue opere mutarono drasticamente a partire dai Quadritos, undici piccoli ed originali dipinti su latta, siano alla realizzazione della monumentale serie incentrata sulla rappresentazione dei vizi e delle follie umane: I capricci; il ciclo fu esposto e pubblicato per la prima volta nel 1799 e censurato immediatamente. Passando dalla luminosità e spensieratezza delle opere antecedenti la malattia, alla raffigurazione del brutto, ritraendo le bassezze della società spagnola a lui contemporanea, prese le distanze dalla compostezza morale illuminista spalancando le porte alle pulsioni dell’animo.
L’altro fattore che lo spinse ad anticipare i tempi rispetto a quella che era all’epoca la tendenza europea in campo pittorico, furono gli avvenimenti sanguinosi che coinvolsero il popolo spagnolo durante l’invasione napoleonica. Così tra il 1808 e il 1814, attraverso lavori come I disastri della guerra (1810 – 1820), La sepoltura della sardina (1812 – 1814) e Il 3 maggio 1808: fucilazione alla Montaña del principe Pio (1814), con cruento sarcasmo e cruda brutalità raggiunse un linguaggio fortemente espressivo, che si rispecchia nelle angoscianti pitture murarie eseguite nel 1819, a decorazione delle pareti della Quinta del Sordo: Le pitture nere, dalle quali emerge l’incapacità dell’uomo di reagire ed intervenire sulla brutalità del male.
Questa drammaticità esistenziale che Goya cerca di sopraffare, a differenza dei successivi artisti romantici, prendendone le distanze tramite l’uso spietato dell’ironia o ritraendo gli avvenimenti attraverso l’occhio senza scrupoli tipico del reporter, scandalizzò profondamente al tempo e continua a provocare lo stesso effetto ai giorni nostri. Basti pensare al lavoro portato avanti da artisti come i Fratelli Jake e Dinos Chapman, che tramite un realismo violento creano uno stravolgimento emotivo. Non a caso uno dei loro primi lavori, esposto durante l’esposizione Sensation, organizzata nel 1997 dal collezionista Charles Saatchi alla Royal Accademy of Art di Londra, fu la scultura in vetroresina Great Deeds! Against the Dead, una riproduzione in 3D di Grande Hazaña! Con Muertos realizzata da Goya per la serie I disastri della guerra.
Francisco Goya fu dunque uomo del suo tempo, ma dotato di una capacità espressiva in grado di donare alle sue opere una potenza emotiva immortale, i cui temi trattati risultano sempre attuali: il mancato superamento delle atrocità umane e l’incapacità della società di apprezzare deformazioni, in alcuni casi anche disgustanti, dei canoni di bellezza tradizionali.
Greta Canepa per MIfacciodiCultura
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