
Tra una cosa e l’altra, la Woolf trovò il tempo di diventare una delle figure della letteratura più influenti del suo tempo, autrice di romanzi come Orlando, Gita al faro e La signora Dalloway, che verranno tradotti in oltre 50 lingue, che assieme ai saggi Le tre Ghinee e Una stanza tutta per sé daranno vita all’usuale pletora di riduzioni e traduzioni teatrali e cinematografiche (ci sentiamo di segnalare qui la trasposizione per il grande schermo della vita della Woolf The Hours, tratta a sua volta dall’ottimo e omonimo romanzo di Michael Cunningham, in cui la scrittrice è interpretata da Nicole Kidman).
Più volte, parlando di numi tutelari della letteratura, abbiamo usato il termine attualità per rendere conto della validità dell’opera letteraria: ed in effetti è questo un metro di giudizio valido, tanto più in funzione della distanza temporale. Ma nel caso di Virginia Woolf è più adatto usare un termine parente, per quanto parente prossimo, che trattasi di modernità, ed è una modernità su entrambi i piani fondamentali della narrazione. Dal punto di vista tematico, infatti, buona parte dell’opera di Woolf si occupa della condizione femminile vista vuoi sotto il profilo della discriminazione (Una stanza tutta per sé), vuoi sotto quello storico della predominanza della figura maschile (Le tre ghinee), vuoi ancora sotto quello della relazione fisica-sentimentale tra donne (Orlando), influenzato dalla relazione che la scrittrice ebbe con Vita Sackville-West, a sua volta poetessa e scrittrice. Inoltre, Woolf fu critica anche in modo aspro rispetto alla classe media britannica, che reagì a volte etichettandola superficialmente come priva di profondità, in modo questo sì superficiale e del tutto gratuito.
Ma a questo punto dobbiamo chiarire che, nonostante questa mole impressionante di punti di interesse per l’opera della Woolf multiforme, per la Woolf-scrittrice, per la Woolf-saggista, per la Woolf-attivista, quello che ci appassiona maggiormente è la figura della Woolf-persona, per quanto sia possibile conoscere una persona attraverso il resoconto episodico degli episodi di una vita, oltretutto così aliena rispetto a noi.
La vita della Woolf fu caratterizzata dalla prolifica, gratificante vicinanza con la massima espressione culturale dell’epoca, fu fatta di frequentazioni di George Meredith e Henry James, di suffragette, di impegno politico, di fabianesimo, di Bloomsbury Group, della la Hogarth Press che pubblicò Katherine Mansfield, Italo Svevo, Sigmund Freud, Thomas Stearns Eliot, James Joyce: e davvero, si può ben dire che Woolf prese il suo cuore spezzato e ne fece arte. Ma dopo un primo tentativo di suicidio nel 1913, il 28 marzo del 1941 Virginia Woolf si recò al fiume Ouse, si riempì le tasche di sassi e si lasciò annegare. Nel biglietto d’addio al marito scrisse, tra le altre cose, «Carissimo, sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare», stabilendo per l’ennesima volta il legame indissolubile tra follia, arte, intelligenza, sensibilità e suicidio.
Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia.
A. Camus
Vieri Peroncini per MIfacciodiCultura
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