La National Portrait Gallery di Londra riscrive la storia. Al femminile
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Arte:la rivoluzione al femminile della National Portrait Gallerydi Londra
«If you can see it, you can be it», parafrasando: se lo vedi, ci credi. È l’idea alla base del rinnovamento della National Portrait Gallery di Londra, uno dei musei più amati, fotografati e visitati della capitale britannica. «If you can see it, you can be it», sono le parole che Flavia Frigeri, storica dell’arte e docente alla University College di Londra, ha usato per descrivere in anteprima a Tatler il nuovo progetto cui sarà a capo. Si tratta di un riallestimento mai tentato prima: con Reframing Narratives: Women in Portraiture, il museo di Londra nei prossimi tre anni ripenserà completamente sé stesso. Alla sua apertura, prevista nel 2023 con circa 40 milioni di euro d’investimento, scopriremo una National Portrait Gallery diversa. Il progetto nasce dalla collaborazione con il Chanel Culture Fund, programma mondiale della maison volto a sostenere iniziative speciali a favore dell’inclusività nella cultura e nella società.
«Celebreremo nel museo le donne del passato e del presente, con la speranza che un giorno le giovani donne che visiteranno le sale vedranno questi ritratti e troveranno dei modelli cui ispirarsi», spiega Frigeri, a capo di un dream-team al femminile di storiche dell’arte impegnate nella ricerca. Chiusa prima a causa dalla pandemia e ora anche per questi lavori di ristruttazione, la National Portrait Gallery di Londra conserva attualmente qualcosa come 11mila ritratti, ma solo un terzo della collezione ha come soggetto una protagonista femminile. E le firme in calce alle opere? Percentuali ancor più risicate: ferme a poco più del 10% del totale.
Le cose cambieranno: l’obiettivo della nuova National Portrait Gallery è offrire al visitatore unritratto inclusivo della storia recente del Paese: saranno recuperati dagli archivi i lavori di tante pioniere che hanno contribuito a plasmare la cultura e la storia inglese del Novecento e sarà avviata anche una campagna-acquisti per fare entrare nella collezione nuove opera.
Leggete anche il nostro articolo sulle donne designer che hanno contribuito a dare forma alla moda del Novecento
Haute Couture: le grandi designer di moda del 900
Madame Grès
Scultrice di tessuti, Germaine Krebs, nota come Madame Grès (1903-1993), è antesignana della moda come ricerca estetica, come un processo di riscoperta dell’arte e delle culture antiche che rivivono sotto forma di peplo. “Volevo diventare una scultrice in quanto per me lavorare un tessuto o la pietra è la stessa cosa”. Amante della bellezza ellenica, della tradizione scultorea greco-romana cui si ispira per i suoi abiti, ha anticipato nelle sue creazioni il minimalismo di The Row, l’utilizzo di stampe e stoffe africane e tribali di Dolce & Gabbana. Giocando con volumetrie, linee e drappeggi senza cuciture, Madame Grès ha guidato per oltre cinquant’anni la sua maison, Alix, fondata nel 1942, vestendo nel corso degli anni grandi dive del cinema fra cui Marlène Dietrich e Greta Garbo.
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Abito di Alix by Madame Grès, ottobre 1937.
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Mrs. Leo d’Erlanger (Edwina) in abito Alix by Madame Grès fotografata da Horst P. Horst, 1936.
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Abito di Alix by Madame Grès e gioielli Boucheron. Foto di Horst P. Horst per Vogue USA, settembre 1937.
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Madeleine Vionnet
Corsetti, pannier, rigidità. Parole che non erano congeniali alla visione di abbigliamento di Madeleine Vionnet (1876-1975), e che grazie a lei iniziarono il processo di decadimento completato da Coco Chanel. Nota per l’assoluta morbidezza delle sue creazioni, Vionnet è celebre per essere stata la prima a introdurre il taglio di sbieco nella couture. Si tratta di un taglio in diagonale di 45° rispetto al verso della trama e dell’ordito, sul quale la maison possiede i diritti d’autore, in grado di donare estrema elasticità agli abiti, rendendoli più elastici, fluidi e sensuali. Sua caratteristica era anche la silhouette a sirena, amatissima a Hollywood, fra i modelli più desiderati dalle donne negli anni 30 e 40. Abilissima sarta, disegnava bozzetti che, per la maggior parte delle modelliste, si rivelano impossibili da cucire, e lei stessa seguiva l’intero processo di creazione delle sue collezioni.
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Mme. Jean Bonnardel indossa un abito creato da Vionnet e gioielli Cartier.
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Mme. Jean Bonnardel indossa un abito in georgette con ampia cappa e guanti, tutto Vionnet, cui abbina gioielli Cartier.
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Un design originale di Madeleine Vionnet, 1935.
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Jeanne Lanvin
Con una maison che tutt’oggi porta il suo nome, Jeanne Lanvin (1867-1946) è certamente fra i talenti più avanguardisti del 900. Romantica e femminile, la sua estetica si compone di ricchi ricami floreali, di colori delicati e di design vaporosi ed eterei, che rappresentano la controparte fiabesca del costume anni 30. Colonna portante della sua maison era però il suo ruolo di madre: con la nascita della figlia Marguerite nel 1897, la sua ispirazione sarà catalizzata dalla forza e dalla tenerezza del rapporto madre figlia, che sceglierà anche come simbolo e logo della maison Lanvin (ad oggi, il brand conserva ancora il celebre logo noto come “la donna e la bambina”). Sarà proprio la maternità a renderla la prima designer della storia a creare una linea di abbigliamento per bambini, con completi coordinati a quelli delle mamme. Eclettica creatrice, Jeanne Lanvin è una donna d’affari a tutto tondo, fra le prime a espandere una maison di haute couture nel campo degli accessori e dei profumi.
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Una modella posa con abito Lanvin.
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Una modella, fotografata da Horst P. Horst, indossa un abito da sposa Lanvin in organza bianca con fiori ricamati abbinato a un cappello a falda larga.
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Un design originale di Jeanne Lanvin, con cappello in feltro conico e velo di tulle, 1937.
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Sorelle Fontana
Zoe, Micol e Giovanna Fontana sono le sorelle dietro la cui intraprendenza si cela il successo dell’omonimo atelier romano, la cui fama internazionale ha contribuito a creare il mito del Made in Italy. Nato in concomitanza con il fiorire di Cinecittà e del Neorealismo, l’atelier diventa meta obbligatoria per tutte le grandi attrici dell’epoca, da Audrey Hepburn a Ava Gardner e Lauren Bacall, passando per le dive nazionali tra cui Gina Lollobrigida e Sophia Lauren. A consacrare definitivamente la maison delle Sorelle Fontana, sono i costumi che le designer crearono per Anita Ekberg per il suo ruolo ne La Dolce Vita di Federico Fellini (1960), abiti sontuosi e raffinati, fra i più celebri della storia del cinema. Loro sono anche le prime divise del personale di volo Alitalia, realizzate nel 1950. Oggi, molti dei modelli dell’atelier sono conservati presso prestigiosi musei, tra cui il Metropolitan e il Guggenheim di New York e il Louvre di Parigi.
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Ava Gardner a Roma nell’atelier delle Sorelle Fontana, mentre indossa un abito della maison in taffetà nero e pizzo di Spagna, decorato con una rosa di tessuto sui fianchi.
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Un abito da cocktail delle Sorelle Fontana in broccato di seta, con gonna plissé e una giacca peplo che si apre sui fianchi.
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Una modella indossa un abito con guanti a tre quarti e cappello con veletta coordinati, creati dalle Sorelle Fontana negli anni 50.
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Claire McCardell
Claire McCardell (1905-1958) è considerata la madre della moda americana, nonché la prima designer statunitense ad aver creato una linea d’abbigliamento sportivo. Nonostante un periodo di apprendistato a Parigi, immersa nell’atmosfera della couture europea, sarà lo street style americano a influenzare maggiormente le sue creazioni. Affascinata dalla moda maschile, da cui prenderà in prestito fusciacche, cravatte e completi per le sue collezioni femminili, utilizzava tessuti comodi e pratici, come il calicò, il denim e il jersey di lana. Grande amica dell’iconica Diana Vreeland, che le farà da mentore e consigliera, Claire McCardell pone la prima pietra dell’American Look che oggi trova il suo rappresentante in Ralph Lauren.
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Lisa Fonssagrives posa con un ampio abito a righe bianche e rose di Claire McCardell.
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Due ensemble creati da Claire McCardell: a sinistra, una mise con cappotto reversibile; a destra un completo con gonna e giacca in total denim.
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Un design originale con gonna plissé e giacca sagomata di Claire McCardell, cui si abbinano un cappello di paglia di Brewster e una borsa Phelps. La modella è fotografata da Horst P. Horst.
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Mary Quant
Se oggi indossiamo la minigonna, lo dobbiamo a Mary Quant (1934). La stilista britannica creò questo capo iconico negli anni 60, e sin da subito si impose come simbolo dell’abbigliamento rock femminile. Appassionata di musica e grande fan dei Beatles, la designer plasmerà le sue collezioni nelle subculture musicali londinesi, concentrate nelle variegate Carnaby Street e King’s Road. Oltre alla minigonna, a lei si devono gli stivali di gomma, quelli alti al ginocchio, le maxi zeppe, senza contare l’abito a quadri e le giacche corte in vinile. Stilista prediletta della modella Twiggy, è stata definita dallo scrittore Bernard Levin come “l’alta sacerdotessa della moda degli anni 60”. Amica di Vidal Sassoon e attiva frequentatrice dei salotti più chic dell’epoca, Mary Quant è stata insignita, nel 2014, del titolo di Dama Comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico dalla Regina Elisabetta II“per i servizi resi alla moda britannica”.
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Da sinistra: Anne Goddet indossa una scarpa ‘Pin Up’ e uno stivale in suede con nastri modello ‘Plantagenet’; la modella Ika indossa la stringata con zeppa in suede ‘Sprinter e gli stivali al ginocchio con allacciatura posteriore modello ‘Jacob’s Ladder’. Tutte le calzature sono firmate Mary Quant.
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Una modella indossa il tubino ‘Shoe-fly-pie’ di Mary Quant, creato per valorizzare le forme del corpo femminile.
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Una modella posa per le strade di Londra in total look Mary Quant, 1970.
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Elsa Peretti
Elsa Peretti (1940) è considerata una delle più grandi disegnatrici di gioielli del XX secolo, un talento eclettico e multiforme che per anni ha collaborato con Tiffany & Co. Dopo una carriera da modella, si dedicò interamente al design, spostandosi dall’Europa a Manhattan, centro dell’Alta Gioielleria dell’epoca. Le sue creazioni si distinguono per il loro approccio dinamico e moderno, lontano dallo sfarzo dei monili classici, e più vicino a un’ideale di eleganza minimale e sofisticata. Fra i suoi materiali prediletti svettano l’argento sterling, giada, lacca e rattan, che si univano in gioielli dalla silhouette fluida e leggera, spesso ispirati alla cultura asiatica. Sin dalle prime collezioni per Tiffany & Co., il suo successo fu enorme, soprattutto fra i consumatori più giovani che ne apprezzavano l’originalità, e ancora oggi restano fra i più venduti.
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Alcune creazioni in oro e argento di Elsa Peretti realizzate per Tiffany & Co., tra cui un candelabro e un porta carte, 1980.
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La modella Lois Chiles posa con un abito Halston e una collana di perle e onice di Elsa Peretti.
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L’iconico reggiseno in mesh di oro puro realizzato da Elsa Peretti per la New York Fashion Week del 1975.
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Sonia Rykiel
Nel documentario Karl Lagerfeld si disegna del 2014, il designer afferma che un chiaro ricordo di sua madre era il suo guardaroba, interamente firmato Sonia Rykiel. Soprannominata come la “regina del tricot” Sonia Rykiel (1930-2014) inizia la sua carriera nella moda creando maglioni in pura lana molto ampi, realizzati durante la gravidanza per la necessità di indossare capi comodi, e passati alla storia come i maglioni Poor Boy. Grande conoscitrice della lana, tessuto che rimarrà sempre al centro delle sue collezioni, sperimenterà molte tecniche di lavorazione e ricamo, tra cui le cuciture a vista e gli orli incompiuti. A lei si devono inoltre i primi capi in maglieria con slogan e scritte stampate. Amante del total black e di un’eleganza semplice e ricercata, è da molti paragonata a Coco Chanel sia per l’impiego di tessuti elastici e confortevoli, sia per la passione condivisa per il colore nero. Molti designer iconici, tra cui Yves Saint Laurent, Giorgio Armani e Jean-Paul Gaultier, hanno affermato di considerarla musa, ispirazione e maestra per il proprio stile.
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Sonia Rykiel presenta la collezione Autunno Inverno 1979-80.
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La sfilata Primavera Estate 1985 di Sonia Rykiel.
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La collezione Autunno Inverno 1983-84 di Sonia Rykiel.
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Per ora, sappiamo che compariranno di sicuro i volti di Anna May Wong (1905-1961) stella della pellicola Shanghai Expresss, del ‘32, ma anche di donne dalle vite avventurose come Noor Inayat Kham (1914-1944), principessa araba diventata una spia al servizio di Sua Maestà o Georgina Masson, che oggi ha un’ottantina d’anni ed è stata la prima donna ufficiale nera del Servizio Territoriale Ausiliario, il ramo femminile della British Army durante la Seconda Guerra Mondiale. E poi ancora: Lilina Lindsay, professione dentista (la prima del Regno Unito), la pittrice Ray Strachey o Alma Reville, talentuosa ma semi-sconosciuta sceneggiatrice di radio-drammi (il cui marito ebbe un discreto successo nel cinema: si chiamava Alfred Hitchcock…).
In una Inghilterra lacerata dalle proteste femministe in piazza, in seguito all’omicidio della 33enne londinese Sarah Everard, la National Portrait of Gallery di Londra vuole mettere in cornice – come monito, esempio, ispirazione – le donne che in diversi campi hanno fatto la storia. Se lo vedi, ci credi.
(A proposito, qui potete fare un virtual tour gratuito delle sale principali del museo).