Decameron Now

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Questo articolo è pubblicato sul numero 51 di Vanity Fair in edicola fino al 22 dicembre 2020

Mi trovavo a Firenze a un concerto in Santo Stefano al Ponte, sito nei pressi del Ponte Vecchio. L’evento era gratuito. Le cose gratis m’hanno sempre intrigato molto e non per i motivi che pensate, ma semplicemente perché chi si dà senza prezzo fa di tutto per risultare d’avere un valore. Sacrarium si intitolava il concerto e, come si capisce dal nome latino, erano cose di Chiesa, musiche, brani più o meno sacri reinterpretati. Mi sono seduta – ero andata anche a farmi la permanente, perché mi garba essere a posto in certi casi – e accanto a me c’era una signora, che ritengo fosse sulla sessantina, bionda, tipo la Jessica Fletcher, coi capelli più lunghi però, come la Nicoletta Orsomando. L’era vestita con una giacca classica, beige, modello Chanelle, o almeno così mi piace ricordare.

Non erano abiti costosi, i suoi, probabilmente, ma erano abiti appropriati: camicetta rosa, gonna, tinte pastello, il tutto indicava una signora come tante, normale avresti detto… Se ci penso, ora, devo dire assomigliasse parecchio a Shelley Winters quando interpretò la saponificatrice di Correggio, la qual cosa, forse, mi avrebbe potuto mettere in allerta, ma all’epoca non avevo ancora visto il film e dunque ignorai. Mi attaccò bottone, e fin lì capita, stavamo aspettando l’inizio del concerto. Lei era sola, io pure. Nella voce era vagamente frenetica, ma non mi disse nulla di preoccupante, al principio. Parlammo della bellezza della chiesa, della sua architettura insolita, di come si stesse bene lì, un po’ a frescheggiare, e poi, d’un tratto, commentò: «Qui fanno spesso concerti gratuiti, per cui ci son venuta volentieri. Anche se non fosse stato gratis ci sarei venuta lo stesso. Lo faccio sempre. Me ne sono ascoltati di bellissimi, all’aperto, nelle chiese, concerti classici, lirici, a me piace molto la musica di un certo spessore. Con mio marito andavamo spesso al Maggio, al Maggio Musicale, poi son rimasta vedova. Sa, per eventi come questo riservano sempre dei posti a sedere nella prima fila per il sindaco, gli assessori o personalità importanti. Ma mi ci siedo io. Tanto sono ignoranti, a loro non interessa la musica di livello, vengono per far presenza, imbellettati, a volte molte sedie rimangono vuote. A loro non interessa. Non mi sembra giusto. E allora mi ci metto io». Prima che potessi aprire bocca e intervenire sulla cosa, approfondì: «Sì, a volte, viene un inserviente e prova a dirmi qualcosa tipo: “Mi scusi signora, questo posto è riservato”, ma a quel punto io urlo: “CHE COSA VOLETE?! LASCIATEMI STARE! ANDATE VIA, VIAAAA!”». Io sbiadii tutta, perché aveva gridato veramente come un’invasata quella frase.

«Sicché», continuò lei, «questi si spaventano, e mi lasciano stare». E poi, dopo una piccola pausa durante la quale gli occhi le erano diventati grossi come madreperle, proseguì calma: «Mi temono, capisce? Hanno paura faccia la pazza e disturbi il concerto, sicché mi lasciano in pace. Mi sono goduta tanti di quei concerti in questo modo, anche a pagamento, che non sa, signora mia». Ora, nessuna perizia mi ha mai rinfrancato che questa donna, di cui non seppi mai neanche il nome, fosse realmente pazza. Ma in fondo chi se ne importa. Il limite o il baratro, a volte, è molto lieve. E spesso non c’è. Ognuno è folle a modo proprio. Spesso segretamente folle. Io preferisco l’apertamente pazza. Come la signora della prima fila che a ragione si prendeva quello che, senza di lei, sarebbe rimasto vuoto e diaccio. E se è vero che a volte una donna è costretta a fare la stronza, a volte fare la stronza è la sola cosa che resta a una donna, perché come dice Kathy Bates nel ruolo di Dolores Claiborne nell’Ultima eclissi: «Spesso fare la pazza è l’unica cosa che ci resta. L’unica cosa che ci salva in un mondo di assurdità». E da quel giorno, io, ai concerti, solo in prima fila.

BESTSELLER – Narrato da un gatto onniscente, «Rollone il Vichingo», Il cielo stellato fa le fusa è il quarto scoppiettante (e a volte pure un po’ piccante) romanzo di Chiara Francini, dopo i bestseller, da oltre 60 mila copie, Non parlare con la bocca piena (2017), Mia madre non lo deve sapere (2018) e Un anno felice (2019), tutti editi da Rizzoli.

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Foto di Maria La torre

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