
«La nostra epoca non ha più un gusto: viviamo nell’era dei moltissimi gusti». Così diceva Gillo Dorfles in un’intervista susseguente alla pubblicazione di un suo lavoretto: il volume Estetica senza dialettica che raccoglie, per un totale di 2.600 pagine, tutti gli scritti critici apparsi tra il 1933 e il 2014, ora raccolti da Bompiani in una delle collane più intellettualmente nobili dell’editoria italiana, Il pensiero occidentale.
Anche al lettore più distratto non sarà probabilmente sfuggito che tra il lasso di tempo in cui sono stati elaborati gli scritti in questione è di 81 anni: chi è addentro anche solo alla lontana al lavoro e alla figura di questo personaggio, che è stato uno degli intellettuali più insigni, chiari ed importanti del secolo breve, sa già che Gillo Dorfles è nato a Trieste il 12 aprile del 1910, per cui oggi si è spento a Milano, città dove viveva da molti anni, all’età di anni 107, di cui appunto un’ottantina abbondante spesi nella critica d’arte, nella pittura in prima persona e nella filosofia. Una figura di spicco della cultura italiana che grazie allo straordinario tempo passato su questa Terra ha potuto osservare con lucidità i mutamenti e gli stravolgimenti del XX secolo, testimone preziosissimo di quel secolo breve che ha cambiato non solo l’arte ma anche l’essere umani, approdando al 2000 completamente rinnovato.
Dorfles “nasce” intellettualmente parlando come scienziato: nato appunto nel 1910, si laurea in medicina e specializza in psichiatria, ma fin dai primi anni ’30 si dedica allo studio dell’arte in genere ed in particolare della pittura e della branca dell’estetica. Ergo, di quest’ultima diventa professore nelle Università di Milano, Cagliari e Trieste.
Nel frattempo, iniziata quella che alla fine sarà una produzione smisurata di scritti di natura varia e struttura variegata (articoli, saggi e manifesti artistici), da un lato orienta la sua arte pittorica verso il misticismo, denotando una vicinanza più ai temi dominanti dell’area mitteleuropea che a quelli propri della pittura italiana anche grazie all’avvicinamento alle teorie di Rudolf Steiner e all’antroposofia, dall’altro fonda il Movimento per l’arte concreta.
Discorso tecnico delle arti (1952), Il divenire delle arti (1959), Nuovi riti, nuovi miti (1965), Il Kitsch (1968); La moda della moda (1984); Il feticcio quotidiano (1988); Horror pleni. La (in)civiltà del rumore (2008): dall’elenco dei lavori potremmo estrarre le soprastanti, solo però per avere un’idea dell’ampiezza del ragionamento dorflesiano. Ma nell’indagine di una vita Dorfles si è soffermato ad analizzare l’aspetto socio-antropologico dei fenomeni estetici e culturali, facendo ricorso anche agli strumenti della linguistica: si diletta a scrivere monografie di grandi autori, Bosch e Dürer, su tutti e già nel 1951 rintraccia tendenze barocche nell’arte moderna, coniando il concetto di neobarocco.
Ma tra un incontro d’eccezione e l’altro, da Italo Svevo ad Andy Warhol, l’indagine ondeggia, oscilla, si sposta: già il discorso sul kitsch (il nonno del trash, in un certo senso) aveva fortissimi connotati sociologici. Conformisti (2009) e Fatti e Fattoidi (2009), Arte e comunicazione (2009, in cui mette la teoria alla prova con alcune applicazioni concrete particolarmente rilevanti e problematiche come il cinema, la fotografia, l’architettura) sono tutte importanti divagazioni, quattro passi nella filosofia, nella sociologia, nella linguistica e relative interazioni e correlazioni; Irritazioni – Un’analisi del costume contemporaneo del 2010 è una raccolta di prove ironiche della inconciliabilità di Dorfles con i tempi che corrono, imperniata su uno critica sarcastica e corrosiva all’attuale iperconsumismo.
Come potrebbe, quindi, destare stupore l’elenco di riconoscimenti e lauree honoris causa: accademico onorario di Brera, Albertina di Torino, membro dell’Accademia del Disegno di Città del Messico, Fellow della World Academy of Art and Science, dottore honoris causa del Politecnico di Milano e dell’Università Autonoma di Città del Messico, l’Università di Palermo gli conferisce la laurea honoris causa in Architettura, riceve dall’Università di Cagliari la laurea honoris causa in Lingue moderne.
Ecco, a grandissime linee questo è il personaggio Gillo Dorfles, una mente che non ci vergogniamo di accostare ad Umberto Eco se non altro per il metodo e per la visione disillusa della modernità, in cui il rumore che aveva fatto oggetto di analisi viene sia del mezzo tecnologico che dalle persone a cui il mezzo stesso ha dato inconsultamente parola.
Ma i grandi pensatori, le grandi menti, sono sovente accomunate dalle disposizioni dell’animo. Ecco che, come un fil rouge, anche in Dorfles è stato sempre possibile individuare il fil conduttore dell’ironia. Abbiamo detto come consideriamo il trash, disposizione d’animo della nostra decadente contemporanea epoca, orientamento del gusto basato sul recupero e sulla valorizzazione, spesso compiaciuta, di ciò che è deteriore, grottesco, volgare, come un nipote del kitsch – la produzione di presunti oggetti artistici, in realtà banali e di pessimo gusto indagato da Dorfles: in sostanza, due manifestazioni susseguenti, che non si possono oggettivamente apprezzare.
A meno che, non si voglia considerare che «Il kitsch? Per fortuna non tramonta mai. La vera opera d’arte esiste solo in contrapposizione a esso».
Vieri Peroncini per MIfacciodiCultura
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